venerdì 30 gennaio 2015

Visioni - Gennaio 2015

Mentre cresce l'attesa per Vizio di forma, il nuovo P. T. Anderson, nelle ultime settimane ci è toccata un'abbuffata di biopic! Dopo i cinepanettoni, pare che gennaio (oltre all'influenza che anche quest'anno mi ha colpito senza pietà) sia consacrato a questo genere.

Big eyes 
Tim Burton  (Usa, uscita 1 gennaio)

Lei brava, Christoph Waltz irritante, Burton non pervenuto.




Hungry hearts
Saverio Costanzo  (Italia, uscita 15 gennaio)

L'insostenibile (mancanza di) leggerezza dell'essere.




The Imitation game
Morten Tyldum  (UK - USA, uscita 1 gennaio)

"Sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose quelle che fanno cose che nessuno può immaginare..."
 


La teoria del tutto
James Marsh  (Gran Bretagna, uscita 15 gennaio)

Le equazioni più elementari e l'elusione di argomenti scomodi sono sempre le vie più sicure per la vendemmia degli Oscar. Tutto (troppo) calibrato al punto giusto.




Medianeras - Innamorarsi a Buenos Aries
Gustavo Taretto  (Argentina - Spagna - Germania, uscita 2 ottobre 2014)

Ignorato dalla distribuzione (era stato presentato al Festival di Berlino addirittura  del 2011) e poi stranamente fatto uscire con tre anni di ritardo. Un ritratto leggero sulla solitudine e sulle nevrosi contemporanee della nostra società iperconnessa.





The Drop - Chi è senza colpa
Michael Roskam  (USA, Torino Film Festival 2014)

Se uscirà in Italia non s'è ancora capito. Qualche idea originale all'interno del solito film di malavita metropolitana (qui siamo a Brooklyn) che a conti fatti non va oltre la sufficienza. Ultima buona prova di James Gandolfini affiancato da Tom Hardy nella gestione di un bar che nasconde attività illegali.





The Guest
Adam Wingard  (USA, Torino Film Festival 2014)

Violenza e umorismo si intrecciano in maniera divertente, supportati da una strepitosa colonna sonora sintonizzata direttamente con gli anni '80 (riferimento costante in tutta la pellicola).




Turner
Mike Leigh (Gran Bretagna, uscita 29 gennaio 2015)

Rigorosa e impeccabile ricostruzione storica sulla vita del grande pittore inglese, però due ore e mezza che producono il classico effetto mattone.

giovedì 22 gennaio 2015

Non se ne può più di...





















- Ridicoli personaggi a braccia conserte con lo sguardo da duri.

- La retorica di cani e porci su Je Suis Charlie.

- TotoQuirinale (nel sondaggio del Fatto Quotidiano tra i primi dieci risulta Magalli)
   Io a questo punto propongo Alvaro Vitali.

- Biopic! Hanno monopolizzato solo il cinema di gennaio o sarà così tutto l'anno?
  (Se ne riparlerà a breve).

lunedì 19 gennaio 2015

Hungry hearts, ovvero l'insostenibile (mancanza di) leggerezza dell'essere

Hungry Hearts di Saverio Costanzo - uscita 15 gennaio 2015

Ispirato al romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso, Saverio Costanzo conferma con questo film il suo percorso originale e coraggioso, soprattutto se rapportato al cinema nazionale. Un dramma familiare durissimo e claustrofobico che nella seconda parte sfocia in un thriller psicologico dalle tinte horror per come è girato (l'utilizzo ripetuto di ottiche deformanti) e raccontato (i contrappunti musicali di Nicola Piovani tesi a creare un clima di suspense).
Dell'ottima performance dei due protagonisti, entrambi premiati al festival di Venezia, si è già molto parlato. Alcuni aspetti della sceneggiatura però non mi hanno del tutto convinto; principalmente la mancanza di gradualità e sfumature nel percorso psicologico di Mina (Alba Rohrwacher), che ritroviamo di punto in bianco fulminata dal manicheismo purificatore d'ispirazione vegana nei confronti del figlio e troppo presto sprofondata in una patologia irreversibile. Parteggiare per il marito Jude (Adam Driver) nonostante la madre inquietante, risulta fisiologico!
Ho colto più di un richiamo alle atmosfere del primo Polanski, anche se nel complesso il risultato (seppur apprezzabile) è prevedibilmente distante dalle vette magistrali di Rosemary's baby o L'inquilino del terzo piano.
Fantastica l'irruzione straniante di Flashdance... What a feeling come colonna sonora nella sequenza della festa di matrimonio.

sabato 17 gennaio 2015

Grandi film incompiuti: DUNE di Jodorowsky

Ho visto il film documentario presentato lo scorso anno alla Quinzaine des Réalisateurs  a Cannes che racconta la madre di tutte le opere incompiute. Dopo due cult movie come El Topo e La Montagna Sacra, avrebbe dovuto realizzarlo a metà degli anni '70 quel geniaccio di Alejandro Jodorowsky con la collaborazione di una serie incredibile di artisti ed attori (Moebius, Giger, Chirs Foss, Orson Welles, Salvador Dalì, David Carradine, Pink Floyd, ecc...)
Si tratta di Dune, realizzato effettivamente dieci anni dopo da David Lynch. La story board di Moebius è tutta raccolta in un librone impressionante che Jodo e la sua banda presentarono a tutte le major di Los Angeles. Dopo l'interesse iniziale, alla fine tutte rinunciarono alla produzione forse impaurite dalla portata rivoluzionaria e dissacrante del progetto. Merito al regista Frank Pavich per avere ridato luce con un racconto scoppiettante a una delle vicende più incredibili della storia del cinema.
Qua tutta la storia.

Guardate queste immagini e immaginate a cosa sarebbe potuto essere. Un sacco di idee e spunti che poi sarebbero comparsi nei film di fantascienza degli anni a venire.






















Le scenografie di Giger (creatore di Alien)











Palazzo dell'imperatore di Chris Foss (predisposto per essere costruito) 
Astronave pirata con la spezia che si disperde
Ambienti ideati da Moebius (più grande)

giovedì 15 gennaio 2015

Musica e ricordi: quando i piloti della teiera si incontrarono

L'inverno più gelido del secolo. Fuori ci sono i lupi e dopo la neve è calato un sereno glaciale. Il termometro è precipitato a -18°

La prima volta a casa sua è un momento cruciale. Per tante ragioni.
Poi le tue mani, dopo aver accarezzato la sua pelle, sfogliano curiose una collezione di dischi e subito ti rimbomba il cuore nel vederne tre che ami e conosci a memoria. 
Se mai ti era venuta l'ombra di un dubbio, capisci allora di essere nel posto giusto.










Era appena uscita quella meraviglia di nome Stop Making Sense: alla regia Jonathan Demme e sul palco Talking Heads nel loro massimo splendore.
Una goduria totale grazie all'utilizzo per la prima volta della tecnologia digital audio.

mercoledì 7 gennaio 2015

Cinema e censura: I Diavoli di Ken Russell

Dopo l'abbuffata di classifiche e visioni di fine anno, qualche sera fa dopo infiniti rimandi, ho visto per la prima volta "I Diavoli" di Ken Russel. Probabilmente la versione meno tagliata in circolazione che, complici le vacanze natalizie, mi ha ispirato uno dei post più lunghi nella storia della teiera. Il tema affrontato e le ricerche svolte nei ritagli di tempo lo meritavano.

Il grande regista inglese morto tre anni fa, oltre ad essere ricordato per il musical Tommy, è passato alla storia per aver diretto uno dei film più controversi del secolo scorso: un'opera considerata maledetta che all'epoca fu accusata di blasfemia, nonché sequestrata ovunque. Talmente censurata che ancora oggi è di fatto impossibile riuscire a vedere una versione integrale. La Warner deve essersi pentita amaramente perché a distanza di 40 anni continua a rifiutarsi di far uscire una versione uncut, così com'era stata ideata e girata da Ken Russel. Ciò ha scatenato le ire del regista Guillermo Del Toro che di recente ha dichiarato “Ci sono poteri forti della Warner Bros che si rifiutano di dare l’ok per il rilascio dell’home video" definendo la posizione della major un vero e proprio atto di censura. I primissimi tagli che il regista aveva accettato prima dell'uscita erano infatti andati smarriti per poi essere ritrovati trent'anni dopo in un magazzino grazie alle ricerche del critico britannico Mark Kermode. Ricevuta l'autorizzazione dalla Warner e grazie all'aiuto del montatore originale, le sequenze erano state reinserite per una versione finalmente completa che venne proiettata a Londra nel novembre 2004. Da qui ci si attendeva una pubblicazione definitiva che però non è ancora stata realizzata.

Il film fu presentato alla mostra del cinema di Venezia del 1971 e subito si scatenarono le polemiche fino a chiedere la testa del neodirettore Gian Luigi Rondi, colpevole di averlo ammesso al concorso e addirittura a rischio di scomunica. L’Osservatore Romano attaccò il film definendolo “un lungo e convulso spettacolo di sadismo, di sesso, di violenza.” Giovanni Raboni, all'epoca critico del giornale cattolico L'Avvenire, fu licenziato in tronco per averne scritto una recensione positiva. In Italia la procura di Verona ne ordinò il sequestro, atto che fu poi smentito dal tribunale di Milano con una sentenza in cui si dichiarava che "le sequenze di un'opera cinematografica di carattere rigorosamente storico non sono da considerarsi oscene quando abbiano impostazione grottesca e caricaturale e siano dirette non soltanto a sottolineare la parodia di un'epoca e delle sue crudeli usanze ma a rendere attuale il perenne conflitto tra libertà individuale e sopraffazione statuale o religiosa. Peraltro sarebbe ingiusto per il giudice soffermarsi sulle singole scene isolandole dal contesto per valutarne l'oscenità perché così facendo si introdurrebbe una valutazione morale a cui normativamente si sottrae l'opera d'arte."  Un giudizio equilibrato che tuttavia non fu sufficiente, perché l'opera fu di nuovo sequestrata per poi essere definitivamente assolta dalla Cassazione.

Che cosa c'era di così sconvolgente da scatenare le ire di censori e benpensanti di mezzo mondo?
Il film ricostruisce le vicende storiche che a Loudun, nella Francia del 1634, portarono al famoso processo per satanismo e alla condanna del prete Urbain Grandier. In realtà si trattò di un processo politico che in pieno periodo controriformista fu voluto dal cardinale Richelieu per abbattere una delle ultime zone di convivenza religiosa tra cattolici e protestanti. L'abate Grandier ne era il garante, essendo anche succeduto temporaneamente al morente governatore Saint Marthe e avendo ricevuto da Luigi XIII in persona il permesso all'autogoverno della città. Per colpirlo furono utilizzate delle testimonianze raccolte in un convento di suore guidate dalla priora Jeanne de Belcier (soprannominata Giovanna degli Angeli), personalità in apparenza algida, ma probabilmente in preda all'ossessione sessuale nei confronti dalla figura carismatica di padre Grandier. La priora fu la sua principale accusatrice in seguito al rifiuto del sacerdote di diventare confessore della comunità delle Orsoline. Gli eccessi di cui fu accusato Ken Russell (in Svezia l'opera fu immediatamente ritirata «per sacrilegio dei valori religiosi e spirituali») trovano in realtà riscontro nei documenti e nelle cronache del tempo: un caso emblematico di un periodo buio ed intollerante nella storia della Chiesa, quando l'inquisizione ebbe un nuovo impulso all'inizio del XVII secolo. All'epoca e negli anni successivi alla condanna al rogo, viaggiatori e folle di curiosi si recarono in visita a Loudun ed al convento delle orsoline in una sorta di pellegrinaggio dell'orrore.



Il racconto di Russell raggiunge l'apice quando descrive il clima delirante all'interno del convento con le monache che per salvarsi dalle accuse fingono o credono veramente di essere possedute dai demoni e nel corso dell'esorcismo pubblico si lasciano andare ad eccessi di ogni genere (una sorta di rituale orgiastico che comprende la famigerata scena tagliata, denominata "The rape of Christ") confessando di essere state istigate da padre Grandier a commettere svariate nefandezze. Russell descrive la crudeltà e l’insensatezza degli uomini della Chiesa in un'atmosfera surreale, carica di sarcasmo e di humour nero dove l'esorcista, dall'aria inizialmente spaesata, sembra un hippie teletrasportato dal festival dell'isola di Wight con i suoi occhialini alla John Lennon. Si rivelerà poi il più feroce nei confronti del prete, refrattario a confessare nonostante le terribili torture. Su tutti emerge un istrionico Oliver Reed nel ruolo di padre Grandier, prete libertino e anticonformista ma onesto ed umano in parallelo a Vanessa Redgrave, pure lei in un'interpretazione memorabile nelle vesti di Giovanna degli Angeli, una suora frustrata in quanto penitente contro la sua volontà, ingobbita e perennemente allucinata.
La complicità repressiva di Stato e Chiesa è mostrata in tutta la sua violenza con toni realistici e allo stesso tempo distorti come ad esempio nella scena della caccia al "corvo protestante" dove Luigi XIII si diverte a impallinare dei poveracci travestiti da uccelli neri; nelle sequenze farneticanti sulla peste di manzoniana memoria, oppure nelle visioni morbose di suor Giovanna prigioniera all'interno del convento ricostruito in modo asettico con rivestimenti bianchi.

L'impatto visivo è ancora oggi potente, grazie anche alle scenografie di Derek Jarman che si ispirò a Metropolis. Su richiesta del regista si cercò di realizzare un'ambientazione che andasse oltre le solite meticolose ricostruzioni storiche dei film in costume, optando per una scenografia "moderna" e per diversi aspetti anacronistica.
Grottesco, disturbante ed eccessivo sì, ma trattasi di un capolavoro: una pietra miliare per un certo tipo di cinema, quello che negli anni '70 ha conosciuto (come la musica) uno dei momenti più prolifici dal punto di vista artistico e per i contenuti di rottura su tutti i fronti. Un must nella formazione di ogni cinefilo.





Oliver Reed, Vanessa Redgrave e Ken Russell sul set

sabato 3 gennaio 2015

Horses: un ragazzo e una ragazza in un negozio dischi...

In quel tempo lontano si usava prendere i dischi e porgerli al negoziante confidando nella sua generosità, mossi anche dalla necessità di non buttare le poche lire a disposizione in qualcosa di cui pentirsi.

... lei ha un anno in più ed è cresciuta a Bruxelles dove ha potuto assistere al leggendario Station to Station Tour più altri concerti che l'Italia non la sfiorano neppure. Lui, assetato di musica, beve i suoi racconti e quelli del fratello.
La ragazza prende un album con la foto in bianco e nero di una donna magrissima con le bretelle, una camicia bianca e una giacca sulle spalle. Lo porge sorridendo al baffone che sta dietro al banco e dopo pochi secondi il vinile comincia a girare sul piatto: "Gesù è morto per i peccati di qualcun altro, non per i miei". Il giovane Lucien legge sulla copertina il titolo della prima canzone (Gloria) e una data (1975). Com'è possibile che negli ultimi due anni non abbia mai ascoltato Patti Smith? La galoppata di Gloria diventa frenetica e il tempo sembra sospeso. Il ricordo nitido è quello di un colpo di fulmine. Mai come quella volta i soldi sono stati spesi bene.
Qualche tempo dopo alla stadio Dall'Ara di Bologna arriverà un appuntamento imperdibile per entrambi.

Quest'anno Horses compirà quarant'anni: l'ultimo album protopunk o il primo album punk nella storia della musica? Forse entrambi o nessuno dei due, ma al di là della sua rilevanza storica, un disco ancora oggi di una bellezza struggente.
Buon compleanno per altri due grandi dischi usciti nel 1975 a cui sono particolarmente affezionato: Rimmel e Zuma.

Robert Mapplethorpe, autore della copertina di Horses