lunedì 25 maggio 2015

Cannes 2015, le solite polemiche

I film di Nanni Moretti, Sorrentino e Garrone li ho visti e sono (nello stesso ordine in cui ho elencato i registi) buoni film, ma non da meritare premi importanti. 
Sull'indipendenza di giudizio dei fratelli Coen non ho il minimo dubbio, come del resto sulla Francia sempre schierata Pro Domo Sua: troppe, cinque opere in concorso con in più il film d'apertura nonché quello di chiusura. Quest'anno, perlomeno, ho la quasi certezza che la palma d'oro sia andata ad un'opera di alto livello (Jacques Audiard è una garanzia) e non a qualcosa di inaccessibile come nel 2010 quando la giuria, presieduta da Tim Burton, premiò ลุงบุญมีระลึกชาติ...
... Non vi dice niente? Il titolo che avete appena letto in thailandese, produce lo stesso tipo di straniamento che ho avuto nella visione del film: tradotto in italiano sarebbe Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti.

In ogni caso, prendendo in esame gli ultimi quindici anni di Cannes, i francesi hanno trionfato tre volte, mentre per trovare la terzultima vittoria italiana a Venezia dobbiamo risalire al 1988 con Ermanno Olmi
Non è scontato, però si spera che con Dheepan, Audiard abbia mantenuto i livelli dei suoi ultimi film (Il Profeta e Un sapore di ruggine e ossa) e soprattutto ci si augura che venga distribuito: cosa non scontata in Italia.

La giuria

giovedì 21 maggio 2015

Un poker noioso e poi finalmente un bel racconto

Con la visione del film di Matteo Garrone ieri sera mi sono risollevato, perché ero reduce da tre mattoni di due ore ciascuno, più una commedia francese abbastanza noiosa. Dedico non più di tre righe a film, per non perdere ulteriore tempo e convincervi a non perdere il vostro.

Forza Maggiore
Film del regista svedese Ruben Östlund che scandaglia la frantumazione di un nucleo familiare in vacanza sulle nevi francesi. Come è scritto in una recensione che approvo in pieno: Bergman tra i ghiacci, dunque, ma con quarant'anni abbondanti di ritardo... Un prodotto di altissimo artigianato, o se non altro un articolo Ikea molto ben assemblato, ma si arriva alla non-catastrofe conclusiva tra uno sbadiglio e un fondato sospetto d'irrancidimento.




Leviathan
Dal russo Andrej Zvyagintsev, due ore e venti per raccontare il disfacimento morale e la corruzione nella Russia di Putin, ma anche per mettere a dura prova le mie palpebre. Ho saputo resistere!




Humandroid
Delusione totale dal talento sudafricano Neill Blomkamp. Dopo l'ottimo esordio con District 9 e il discreto Elysium, stavolta siamo finiti nella fantascienza più scontata e marchettara.



Sarà il mio tipo?

Lo spunto della storia è interessante, però il professore di filosofia parigino che regala Critica del Giudizio di Kant alla parrucchiera di provincia non si può reggere. Il finale almeno è una sorpresa intelligente.



Il racconto dei racconti
L'illustrazione di Andrea Lupo dedicata al film di Garrone


mercoledì 20 maggio 2015

Better Call Saul (and Mike)




















Per chi come il sottoscritto ha nostalgia Breaking Bad, la nuova serie che ha come protagonista il mitico avvocato di Walter White è stata un balsamo. Non so se verrà trasmessa in Italia, ma dopo le prime dieci puntate la AMC ha già confermato una nuova stagione con 13 episodi. Sì, perché non si può lasciare a metà una storia così travolgente, difficile da incasellare in un genere ben definito; sempre in bilico tra la commedia (grazie alle spacconate e alle trovate geniali di Saul) e la tragedia di un uomo che tenta di farsi strada in un mondo di squali, quello dei grandi studi pronti a schiacciare la concorrenza più debole: figuriamoci quella di un cane sciolto che si è laureato in legge per corrispondenza con le Isole Samoa.
Bob Odenkirk dimostra tutta la sua bravura nel rappresentare tutte le sfaccettature di un personaggio complesso e carismatico, andando oltre la strepitosa macchietta di Breaking Bad in una storia che mantiene un livello alto, al pari della serie madre. Oltre a Saul, in parallelo viene narrata anche la storia di Mike, l'ex poliziotto dal passato tragico le cui vicende si incroceranno con quelle dell'avvocato con doppiopetto e riporto che sono già diventati un cult.
L'ascesa di Saul prende il via dal tri­bu­nale di Albu­quer­que come difen­sore d’ufficio e sarà costellata da alti e bassi, all'ombra del fratello maggiore, avvocato di successo nei confronti del quale soffre di un complesso di inferiorità, soprattutto a causa del suo passato da truffatore che gli era valso il soprannome di Slippin' Jimmy. La generosità d'animo e il desiderio di approvazione del fratello; la volontà di emergere grazie alle proprio intuizioni e al duro lavoro, si contrappongono alla voglia di scorciatoie poco legali, vizietto e tentazione permanenti.
Tutto ciò fa parte integrante del personaggio che alla fine dell'ultima puntata, dovrà decidere quale strada intraprendere. Il monologo conclusivo, mentre estrae i numeri del bingo nella casa di riposo dove ha assunto la difesa legale degli anziani, oltre ad essere un capolavoro di recitazione, è illuminante.
Chi ha visto Breaking Bad sa già qual è l'indirizzo, un luogo dove i confini tra legalità e illegalità sono molto labili. Il pregio di questo prequel e spinoff è quello di poter essere visto e apprezzato comunque.  Trailer

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martedì 5 maggio 2015

Ce lo meritiamo Nanni Moretti

“Margherita fai qualcosa di nuovo, di diverso. Dai, rompi almeno un tuo schema, uno su duecento.”
Così dice Nanni Moretti alla sorella regista Margherita Buy, suo alter ego, in una scena chiave, quando la protagonista percorre a ritroso una lunga fila di persone in attesa di entrare al cinema per vedere Il cielo sopra Berlino. [1]




















Forse Moretti sente di non avere più gli strumenti necessari per essere un interprete dei nostri tempi: due opere profetiche come Il Caimano e Habemus Papam su questo fronte hanno già detto tantissimo. In ogni caso la sua capacità di alternare comico e tragico è rimasta immutata: si ride di fronte alle improbabili pantomime di John Turturro (l'apoteosi nel balletto con la costumista); si soffre per la malattia e per il dolore che deriva dalla perdita della persona più cara. 
L'urlo finale di John Turturro "Take me back to reality!è quello di una persona disillusa nei confronti del cinema e stanca del suo ruolo di personaggio pubblico, regista e intellettuale. La lotta di classe (ancora una volta un film nel suo film) è solo una fiction grottesca e patetica, mentre prendersi veramente cura delle persone che amiamo affrontando con dignità e consapevolezza la malattia, gli ospedali e la morte è l'unico gesto politico ormai possibile.
“Ripeto le stesse cose da anni perché tutti pensano che io, in quanto regista, sappia interpretare la realtà, ma io non capisco più niente”  pensa Margherita Buy durante la solita, rituale conferenza stampa con i giornalisti.

Ce lo meritiamo Nanni Moretti? 
Tra le sue opere, Mia madre non è in cima alle mie preferenze, ma penso che grazie a lui e ai film di Sorrentino e Garrone l'Italia sia ben rappresentata al Festival di Cannes; almeno nel cinema ce lo meritiamo, visto quello che è accaduto in altri settori negli ultimi vent'anni.
Vidi Ecce Bombo quando uscì e avevo diciassette anni: da allora non ho mai perso un suo film; senza santificare la sua figura, ma semplicemente amando la qualità e l'originalità uniche del suo cinema. Non so quanto abbia ancora da dire e da raccontare, perché si intuisce in quest'opera un punto di non ritorno, un allontanamento forse definitivo dai temi che hanno caratterizzato la sua cinematografia.
Impossibile prevedere dove ci porterà la prossima volta, se ci sarà. 

[1] Il cielo sopra Berlino uscì realmente al Capranichetta nel 1987 e restò in programmazione in esclusiva per mesi, trasformandosi in un autentico caso, cosicché la fila davanti alla sala, sebbene meno chilometrica di quanto appare in Mia madre, appartiene alla cronaca vera. Repubblica - I set dei film di Nanni Moretti


domenica 3 maggio 2015

Timbuktu

Li ho conosciuti i Tuareg. Ho passato dieci giorni con loro in tenda nel deserto libico quando ancora si poteva. Persone splendide con la musica nell'anima, sempre con le chitarre appresso. Suonare con loro è stata una gioia e un privilegio. Mi si è straziato il cuore ieri sera durante la visione di Timbuktu. Ancor di più proprio nelle scene in cui suonano e cantano di nascosto per evitare le punizioni di quei criminali ignoranti che hanno proibito la musica, il gioco in ogni forma e la vista di ogni parte del corpo femminile, non appena preso possesso nell'aprile del 2012 della città del Mali. Sissako racconta quei mesi di oscurantismo prendendo spunto da un episodio realmente accaduto: la lapidazione di un uomo e una donna considerati adulteri perché conviventi senza essere sposati. Appena un flash di orrore disumano all'interno del racconto, che vede come protagonista principale un pastore Tuareg che va incontro con dignità ad un tragico destino.

Il film è stato girato in Mauritania non senza difficoltà per la paura di attacchi o attentati. Il risultato è un film corale che ci riporta sotto forma di immagini le testimonianze raccolte dal regista dalla gente di Timbuktu alle prese con la follia ipocrita e violenta dei jihadisti, capaci di vietare qualsiasi cosa ma non i telefoni satellitari. Due scene simbolo: la finta partita a calcio dei ragazzi che appena vedono l'arrivo dei controllori armati fingono di fare ginnastica e la splendida visione dall'alto del fiume Niger al tramonto.

C'era una volta il Festival au Désert dove un giorno saremmo voluti andare. Ora è in esilio a causa dell'instabilità politica della zona. Lontani dalla loro terra anche i Tinariwen, il cui chitarrista venne arrestato nel gennaio 2013, accusato con tutta la band di suonare musica satanica. Il loro ultimo album (Emmaar) è stato registrato l'anno scorso in un piccolo studio nel deserto di Joshua Tree.

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