lunedì 30 giugno 2008

20 album: 2° Ho visto anche degli zingari felici - C. Lolli 1976


In un imprecisato giorno del 1976 ebbi in dotazione il mio primo giradischi decente. Fino ad allora avevo sempre ascoltato la musica attraverso registratori più o meno scalcagnati. Questo fu il mio primo 33 giri acquistato alla modica cifra di 3500 lire (prezzo politico imposto dall'autore). Conoscevo già Lolli per i dischi precedenti e non mi entusiasmava, anche se avevo apprezzato brani come Michel o Vecchia piccola borghesia. Questo disco l’ho amato sostanzialmente per tre motivi: primo perché l’avevo sentito suonare dal vivo; secondo mi aveva colpito il fatto che tutti i brani fossero concatenati, senza stacchi, in un'unica suite; terzo perché Lolli fu forse il primo dei cosiddetti cantautori ad introdurre elementi musicali nuovi a livello compositivo che non fossero le solite chitarre acustiche o il piano. Nell’estate del ’77 Lolli venne a suonare in paese al festival dell’Avanti su nostro suggerimento. In quel periodo il partito socialista locale contattò i cosiddetti giovani, categoria che anche allora veniva sempre tirata in ballo, per coinvolgerli nell’organizzazione della festa e dare un tono di creatività. Malgrado le perplessità iniziali accettammo e armati di pennelli e vernici disegnammo all’interno dell’area della festa un murale psichedelico; convincemmo inoltre i responsabili a contattare Claudio Lolli per suonare alla festa. Era l’estate successiva agli scontri di Bologna, alla chiusura di Radio Alice e all’uccisione di Lorusso; alcuni di noi frequentavano l’Università e tutti più o meno eravamo orientati politicamente in un certo modo, perciò la scelta di Lolli non fu affatto casuale. Malgrado il nostro scetticismo, il concerto si fece; era uscito da poco il nuovo album che prendendo spunto proprio dai fatti di Bologna non risparmiava bordate anche alla sinistra con brani polemici come La Socialdemocrazia. Ricordo le discussioni furiose la sera dopo la fine del concerto con il segretario della FGCI che accusava noi e Claudio Lolli di provocazione politica ed esaltazione della violenza. In seguito nessuno ci convocò mai più, probabilmente anche quell’unica volta, dopo aver visto i primi disegni e alcuni slogan del murale, i responsabili si pentirono quasi subito di averci chiamato, ma ormai era troppo tardi: dovettero subire la commistione improbabile che si era creata tra una festa di paese e un mini-raduno underground. L’esperimento del murale ci era talmente piaciuto che qualche giorno dopo, con i resti delle vernici, dipingemmo la facciata della casa, nostro abituale luogo di ritrovo, dove viveva da solo mio cugino ventenne. A fine lavoro il disegno che faceva più spicco era un cammello in primo piano su uno sfondo a tema orientaleggiante. Da allora il cammello divenne, a nostra insaputa, l’emblema famigerato della casa. Imparai infatti, diversi anni dopo, che la gente del paese aveva soprannominato il nostro covo “la cà de camel”. Per noi era tutto così naturale da non renderci conto che molti abitanti di un piccolo paese potessero andare fuori di testa di fronte a cose simili. Non so se per iniziativa propria o se sollecitato da qualche cittadino, un pomeriggio si presentò alla casa un Ufficiale della Polizia Municipale che in modo informale e con un certo imbarazzo ci invitò a cancellare il murale. Questo non fu mai fatto malgrado altri blandi solleciti e attualmente il murale, seppure sbiadito, è ancora al suo posto.

venerdì 27 giugno 2008

20 Album vissuti: 1° Harvest - Neil Young 1972

Nel 1975 a 15 anni mi fu regalata la prima chitarra insieme al mitico “Chitarrista in 24 ore”, il libretto che ha formato una generazione di chitarristi (scarsi) come me. Bisogna ammettere che la promessa del titolo fu quasi mantenuta perché, dopo appena qualche ora in più, ero già in grado di strimpellare il famigerato giro di DO. Cominciai a tenere un quaderno con i testi e gli accordi delle canzoni che col passare del tempo aumentava progressivamente, passando dai cantautori italiani (De Gregari, Guccini, Lolli e De Andrè i preferiti) a quelli stranieri, in primis Neil Young. C’era una canzone, “Don’t let bring you down”, che non faceva parte di Harvest: non riuscivo a suonarla, mi faceva dannare. Finché un giorno, grazie a CIAO 2001, scoprii che bisognava “scordare” opportunamente due corde per ottenere quel suono particolare che si sentiva nel live. Nella nostra compagnia c’erano altri tre chitarristi ufficiali e quando esibii la mia nuova scoperta, assunsi da lì in poi il ruolo di esperto in canzoni straniere ed in particolare quelle di Neil Young. In effetti ero in grado di suonare quasi tutto Harvest con i testi sotto cantando con il mio inglese scolastico. Grandissima fu la soddisfazione nell’imparare il dolce arpeggio di The needle and the damage done o altre ballate memorabili come Heart of gold, Alabama, Old man.
Quando la compagnia si spostava le chitarre erano onnipresenti: in campeggio, in spiaggia, nelle case e anche davanti al bar, abituale punto di ritrovo. Al bar Zampa trovavi sempre qualcuno; spesso era la base di partenza per qualche scorribanda; i patentati maggiorenni aumentavano con il passare dei mesi, io però essendo il più giovane in assoluto dovetti per molti anni affidarmi agli altri o usare il mio Ciao. C’era Toz con la sua Mini-Minor verde, Raffaele e Giampaolo con la Prinz dei genitori, Guido con l’A-112 che guidava come un pazzo e Fina, uno dei miei soci chitarristi con cui anni dopo formai un gruppo, con la Cinquecento.

Il momento di punta, il sabato pomeriggio, era anche il momento degli scherzi e degli scazzi. Il bar si trova tuttora sotto un portico; pochi metri distante c’era una sbarra di metallo fissata una certa altezza sotto ad un arco. Quando uno nuovo entrava nel giro del bar, la sbarra veniva utilizzata come scherzo d’iniziazione, al quale anch’io dovetti sottostare. Un giorno mi venne chiesto se fossi riuscito con un salto ad attaccarmi. Senza neanche pensarci con un piccolo salto mi aggrappai alla sbarra e immediatamente sentii quattro braccia afferrarmi le gambe che furono tirate all'indietro: se avessi lasciato le mani mi sarei fatto molto male. In questa posizione altri due “bastardi” provvedevano a sbottonarmi i pantaloni e tirarli giù alle caviglie insieme alle mutande. Ci fu qualcuno che dopo aver subito questo scherzo si incazzò parecchio, probabilmente perché a volte veniva fatto nelle ore di punta e si era costretti a rimanere appesi in mostra di fronte ad eventuali passanti sbigottiti. Io non me la presi e non feci altro che staccare una delle mani per tenerla pudicamente a copertura delle parti intime, fino alla liberazione finale. Naturalmente pregustavo già il momento della vendetta nei confronti di una nuova vittima.

Neil Young: "Don't let bring you down"


mercoledì 25 giugno 2008

Si parte: Un blog e gli album vissuti

Cosa sono gli album vissuti? Non si tratta di recensioni, ma come suggerisce il titolo, racconti di viaggi, esperienze personali, situazioni ed eventi filtrati attraverso la musica di album che per qualche motivo hanno segnato diversi momenti della mia esistenza. Non tutti i dischi hanno una storia. Buona parte della musica che ascoltiamo scorre senza lasciare tracce, ma spesso non è così. Con il passare degli anni, la lente dei ricordi entra in azione: a volte sfuocata, a volte deformata, altre volte nitida. Basta un particolare, un frase detta, una foto oppure proprio una canzone che non sentivamo da anni e quel meccanismo straordinario e imperfetto che è la memoria si mette in moto.