sabato 30 novembre 2019

Pink Floyd, The Wall, ricordi e cambiamenti

Il 30 novembre del 1979, esattamente 40 anni fa, stavo sbavando davanti alla vetrina di un negozio di dischi ad Amsterdam (dove da un paio di mesi lavoravo come lavapiatti) in attesa della paga per comprarlo. Abitavo in uno squat ed ero passato di lì per caso; fu una sorpresa assoluta, non ne sapevo nulla: un tempo le notizie giravano poco. All'epoca ne avevo appena compiuti diciannove. Tempo e musica sono un'accoppiata bastarda, perché con l'andar degli anni i gusti cambiano; nel mio caso non so dire se in meglio o in peggio. Un dato di fatto è che The Wall non l'ascolto più da una vita. Col tempo ho apprezzato altre cose dei Pink Floyd, soprattutto i primi album e brani come questo.

lunedì 25 novembre 2019

Capitalismo e parassiti

Un film e un libro con approcci distanti anni luce affrontano lo stesso tema tristemente comune e attuale: gli effetti nefasti del capitalismo globalizzato.
Nella Corea del Sud rappresentata in Parasite la lotta di classe è stata ormai soppiantata dalla guerra tra poveracci. Bong Joon-ho racconta la marginalità contemporanea con sarcasmo e humour nero in una metafora geniale e tagliente della nostra società sempre più competitiva e nello stesso tempo indifferente verso gli ultimi o con chi è caduto in disgrazia. Senza dubbi uno dei film dell'anno. Se non l'avete ancora visto, non leggete assolutamente nulla della trama e ve lo godrete al cento per cento.

La prima volta che ho conosciuto Marta Fana (ricercatrice di economia a Scienze politiche a Parigi) era in TV, contrapposta all'intoccabile Farinetti, il cui perenne sorriso di fronte alle critiche centrate della ragazza, si è congelato in un ghigno. Sto leggendo il suo libro (scritto col fratello Simone) che va in profondità, alle radici delle imprese parassitarie che hanno fatto impoverire milioni di lavoratori in Italia e in tutto il mondo con la complicità di quei governi che hanno contribuito a far diminuire i redditi, le tutele, i diritti, fino a far scomparire la prospettiva di un futuro decente.


Uno dei tantissimi esempi è quello di mio figlio, neo-laureato in scienze statistiche: per poter lavorare ha dovuto accettare due diversi impieghi (un contratto di sei mesi, poi un altro di un anno) il primo a 600 e il secondo a 700 euro mensili. L'affitto dell'appartamento in cui vive a Bologna è di 900 euro (devono dividerlo in quattro).

Si tratta di attrezzarsi, di giocare in anticipo, prima che qualcuno possa utilizzare la rabbia e la disperazione per dividere gli ultimi dai penultimi. Ci stanno già provando i nuovi imprenditori della paura, a scavare nei drammi che lo sfruttamento impone nelle vite di milioni di persone, in quel senso di insicurezza che travolge chi non ha nulla. Stanno provando a scaricare la rabbia verso il basso per poter liberare l'alto...

venerdì 22 novembre 2019

Io, gli altri e la musica


Breve post ispirato da un tweet letto qualche giorno fa. Lo trovate snob? E' solo una battuta con un fondo di verità. Il fatto è che la musica allontana o avvicina come poche altre cose. Sarò talebano, ma nella mia mente c'è una lista nera di gruppi, dischi e cosiddetti artisti che d'istinto mi fa allontanare dalle persone. Non intendo la mancanza di rapporti, necessari ed auspicabili per la convivenza civile a tutti i livelli, quanto l'impossibilità di quell'intimità che può invece scaturire dal piacere ineguagliabile di certe condivisioni. Oltre il fottuto lavoro, oltre i legami parentali; qui si parla di musica, ma ovviamente ci si può allargare ad altri campi: dall'arte, al cinema, alla letteratura.

STORIELLA
Un giorno io e la mia compagna siamo invitati a cena a casa di un'amica; vuole farci conoscere il nuovo moroso. Io ero sempre quello che portava i dischi. Ne prendo su una decina, fra cui Naked dei Talking Heads, appena uscito. Lo metto sul piatto tutto gasato e il moroso ascoltando Blind così sentenzia: Cos'è questa schifezza?
Fine della breve storia del fighetto piacione alla Biagio Antonacci che mai uscì con noi (e dopo poco tempo neanche con l'amica che peraltro è ancora una nostra amica). 

domenica 17 novembre 2019

On the Beach


Nell'epoca pre-internet gli spartiti musicali erano carissimi e introvabili. Io avevo solo quello di Harvest, che sapevo suonare a memoria. Quando il mio grande amico Gigi (detto Belgio perché risiedeva con la famiglia a Bruxelles) tornò al paese per le consuete vacanze estive con lo spartito di On the beach, fu un regalo molto gradito.
Blues, malinconico e struggente: è uno dei miei dischi preferiti di Neil Young. La sua copertina enigmatica mi ha sempre affascinato, a cominciare dal rottame di Cadillac che spunta dalla sabbia, simile ad un razzo schiantatosi sulla spiaggia. Il giallo è il colore dominante, ma l'insieme trasmette tristezza, come una giornata di fine estate. Forse il definitivo addio all'utopia di Woodstock e al movimento hippie? Neil Young, di spalle, è solo di fronte all'oceano della vita: il rimorso per la morte da eroina degli amici Bruce Barry e Danny Whitten (chitarrista dei Crazy Horse); la solitudine per il fallimento della relazione con la moglie, l'attrice Carrie Snoodgress; la scoperta della malattia cerebrale del figlio Zeke. Dopo i trionfi di Harvest, due anni terribili dai quali se ne uscì con un capolavoro, all'epoca poco compreso. Una parte della stampa specializzata lo bollò come deprimente.
Un altro oggetto significativo della copertina, anche se non in gran evidenza, è il giornale: il titolo della facciata richiama il caso Watergate che portò alle dimissioni di Nixon. Neil Young non aveva mai nascosto il suo disprezzo nei confronti presidente americano, reso esplicito nel testo della famosa e tragica Ohio (Tin soldier and Nixon coming) in cui vengono rievocati gli avvenimenti del 1970, quando quattro studenti vennero uccisi durante una manifestazione dalla guardia nazionale.
On the beach è uno di quei dischi degli anni settanta che periodicamente non posso fare a meno di ascoltare, specie nei periodi in cui la scena musicale non offre niente di entusiasmante. Un album da isola deserta.
Tutta la mia devozione a colui che considero quasi come un fratello maggiore che mi ha insegnato a suonare la chitarra.


il manifesto promozionale

sabato 9 novembre 2019

Il VARCO

Le storie esistono ovunque, basta andarle cercare. Poi bisogna poi saperle raccontare, ma pochi ne sono veramente capaci. E' quello che sono riusciti a fare in maniera formidabile Federico Ferrone e Michele Manzolini, già autori di Il treno va a Mosca, con questo lungometraggio realizzato con materiale d'archivio e presentato a Venezia nel sezione Sconfini. Per completare l'opera i due registi si sono affidati alla voce di Emidio Clementi dei Massimo Volume e alla penna di Wu Ming 2. Due anni di ricerca in vari archivi hanno portato alla scoperta di materiali eccezionali girati privatamente da due soldati italiani durante la campagna russa della seconda guerra mondiale. Documenti incredibilmente preziosi che si sono salvati grazie al ritorno dei due militari da una licenza prima di un disastro che si può definire il cuore di tenebra italiano.


Dai registi:“La ricerca che abbiamo fatto ci ha portato a scoprire vari fondi archivistici realizzati dai soldati in Russia. Molti sono noti, come quelli dell’Istituto Luce, altri completamente inediti, come quelli delle famiglie Franzini e Chierici. Il punto forte è stato usare questo materiale per rompere con il documentario e inventare una storia verosimile, legata alle coordinate storiche. Usare un personaggio nuovo, di finzione, con particolari precisi (ha un passato sporco che lo perseguita dalla sua esperienza in Africa, ha legami famigliari con la Russia) ci ha dato una libertà. Creare questo personaggio pone delle questioni narrative e morali importanti, non tanto quando le immagini raccontano una storia collettiva ma quando si affronta la sua parte intima. Abbiamo utilizzato l’archivio personale di una persona reale per raccontare la vita privata nel nostro protagonista.

Nell'estate del 1941, la Germania nazista invade l’Unione Sovietica e poco dopo l’Italia manda i suoi primi soldati sul fronte ucraino. I giovani volti sorridenti affacciati ai finestrini del treno sono totalmente ignari dell'inferno che li attende. Si attraversa l'Austria, l'Ungheria e la Romania fino ad arrivare in territorio sovietico, in un'Ucraina spettrale e devastata dai bombardamenti, dove incontrano i primi prigionieri russi. L'esercito di Stalin sembra vicino alla resa... ma i conti si salderanno più avanti con l'arrivo del Generale Inverno. Quei volti segnati, quei militari che marciano in mezzo alle macerie e al fango aprono uno squarcio nella Storia e rimandano ai film di guerra più prestigiosi della storia del cinema come Orizzonti di Gloria. Ho vagato con la mente ai pochi ricordi della storia di mio nonno, che ho conosciuto solo da bambino, tornato traumatizzato dall'Albania con i piedi amputati per la cancrena e finito al Manicomio di S. Maria della Scaletta di Imola.
Nel complesso un fantastico lavoro di montaggio, musica e sceneggiatura. Un film ibrido; un esperimento ben riuscito attraverso un tipo di narrazione che impatta con forza anche con l'attualità, soprattutto quando gli autori realizzano un parallelo utilizzando riprese dei giorni nostri, essendosi recati negli stessi luoghi dell'Ucraina solcati dall'esercito italiano nel 1941. 
Dopo la proiezione c'è stato l'incontro con l'autore della colonna sonora (Simonluca Laitempergher) e con uno dei registi (Minzolini) particolarmente legato alle nostre zone, perché il suo primo film è nato proprio grazie al materiale girato dal padre ex-partigiano di una nostra amica, recatosi a Mosca negli anni '50. In sala abbiamo portato la sua gloriosa telecamera in Super 8: la prima che probabilmente ha filmato senza i filtri e in diretta l'inganno del comunismo di Stalin.




mercoledì 6 novembre 2019

Il Male: una mostra a Roma e la volta che mi pubblicarono un racconto

E' stata da poco inaugurata la mostra “Gli anni de IL MALE 1978-1982” che ripercorre i cinque anni di vita del più importante fenomeno della satira italiana del dopoguerra. Fino al 6 gennaio 2020 al WeGil di Roma. Non posso mancare. In quegli anni universitari era un appuntamento fisso, soprattutto per i fumetti e le vignette geniali di Pazienza, ma anche le beffe clamorose, come il finto arresto di Ugo Tognazzi capo delle BR con tanto di foto ammanettato. Piazzammo una copia del giornale in un tavolino del bar e ridemmo tutto un pomeriggio vedendo le facce stralunate degli anziani che leggevano e commentavano la notizia in prima pagina.

Con mio stupore il Male nel 1979 pubblicò un mio racconto demenziale. Rileggerlo a distanza di trent'anni mi ha fatto ridere tantissimo, oltre a farmi tornare in mente quanto ero fulminato (poveri i miei genitori). D'altra parte l'età e l'epoca predisponevano parecchio. L'ho recuperato qualche anno fa grazie a Mr.Hyde di Cassetti Confusi che conserva ancora quasi tutti i numeri.

Se qualcuno mai volesse leggerlo, clic sull'immagine per ingrandire


venerdì 1 novembre 2019

C'era una volta al cinema

Il cinema di un tempo che fu...
L'ingresso del mio condominio si trovava a venti passi dal Cinema Italia dove lavorava mio zio. La domenica pomeriggio c'era la doppia proiezione in mezzo a nuvole di fumo (una era sempre un western). Sono cresciuto giocando e fantasticando davanti ai manifesti di quella galleria.


Incontro fatale
Un giorno, sicuramente per caso, arrivò El Topo di Jodorowsky: sembrava un western, ma era ben altro. Fu lì che intuii che esisteva anche un altro cinema.

Secondo incontro fatale
A dodici anni ho visto 2001 Odissea nello spazio. Probabilmente senza capirci quasi nulla, ma anche senza fare una piega. Di sicuro è nata allora la passione per la fantascienza.

Proiezione a ciclo continuo
Ovunque nei cinema si poteva entrare a caso, anche nel secondo tempo. Forse non era il massimo, però se ti piaceva un film potevi vederlo due volte consecutive.

La decadenza
Nel paesello dove sono cresciuto c'erano ben tre sale. Negli anni '80 due hanno chiuso dopo una breve agonia fatta di film a luci rosse.

Soddisfazioni
Era il periodo delle contestazioni dure. Con i primi amici patentati, una sera andammo in una grande sala per vedere A Ovest di Paperino. Per la prima volta tentarono di proiettare della pubblicità orrenda: ricordo che cominciammo e fischiare e protestare coinvolgendo tutti gli spettatori in una bolgia che costrinse all'immediata interruzione.

Il dibattito no!
Per chi non lo sa o non ricorda, esistevano i cineforum, dove alla fine scattava il pallosissimo dibattito di morettiana memoria. Giovani intellettualoidi gareggiavano a chi ce l'aveva più lungo. L'unica volta che prese la parola mio cugino, stroncò senza pietà Tre donne di Robert Altman, lasciando con la faccia di pietra gli estimatori cinefili. Novanta minuti d'applausi come Fantozzi con la Corazzata Potemkin.