mercoledì 31 gennaio 2018

Chiamami col tuo nome, Lady Bird e dei film sull'adolescenza

A partire da I 400 colpi, tutti i film che parlano di adolescenza e delle scelte cruciali che si compiono in quest'età, esercitano su di me un fascino irresistibile. Sarà che quando è stato il mio turno, dai 15 ai 20 anni, ho vissuto una ribellione talmente radicale e spiazzante per i miei genitori e per le persone che mi conoscevano, da segnare un solco indelebile che mi ha accompagnato fino alla giovinezza per poi proseguire all'età adulta. L'ho raccontato a più riprese, soprattutto nei primi anni del blog. Lady Bird, esordio di Greta Gerwig alla regia, rientra in questa tipologia di film, quelli cioè in grado di catturare la complessità di un periodo irripetibile in maniera intelligente e da diverse angolature: il conflitto con i genitori, le aspirazioni, l'importanza delle amicizie, la voglia di libertà, la scoperta del sesso. In tutto questo Saoirse Ronan, nonostante l'età non proprio più adolescenziale, è perfetta nel rappresentare tutte le sfumature: dall'ironica alla più drammatica.








Non mi unisco al coro di soli elogi, pur ritenendo il film di Guadagnino un'opera ben riuscita.

Poetico ed elegante, con una ricostruzione storica impeccabile che restituisce tutto il fascino dei primi anni '80.

L'estate italiana protagonista voluttuosa di un romanzo di formazione che ogni adolescente potrebbe aver vissuto, al di là dell'estrazione sociale e dell'orientamento sessuale.

L'inquietudine amorosa e il fascino del desiderio raccontati con grazia.

Altri aspetti positivi: le interpretazioni e la colonna sonora. Bellissima Mistery of Love di Sufjan Steven

Il monologo del padre (molto esaltato) l'ho trovato inizialmente commovente, ma da un certo punto in avanti talmente nobile ed elevato da risultare inverosimile.

Premetto che non ricerco l'azione nel cinema. Forse è solo un'impressione soggettiva, ma l'evolversi della trama ha un andamento costantemente prevedibile. Ti portano là, esattamente dove immagini ti vogliano portare fin dalla prima inquadratura. Per questo, momenti di noia hanno rischiato di prendere il sopravvento. Per ora nessuno, da quello che ho letto in giro, l'ha sottolineato o forse l'ha voluto ammettere.




Filmografia Coming of age: i migliori 10 visti negli ultimi 10 anni
  • Juno - Jason Reitman (2007)
  • L'amore che resta - Gus Van Sant (2011)
  • This is England - Shane Meadows (2011)
  • Broken - Una vita spezzata - Rufus Norris (2012)
  • Moonrise Kingdom - Wes Anderson (2012)
  • Noi siamo infinito  - Stephen Chbosky (2012)
  • Boyhood - Richard Linklater (2014)
  • Divines - Houda Benyamina (2016)
  • Sing Street - John Carney (2016)
  • Tutto quello che vuoi - Francesco Bruni (2017)

giovedì 25 gennaio 2018

Un orso matto che ti vuole bene

Tra il serio e il faceto, la metà femminile della teiera sostiene che se io vivessi da solo diventerei un vero orso, col passare del tempo sempre più isolato, asociale e destinato alla pazzia. Resterei in disparte, perso con le mie passioni: i blog, le letture, il cinema, la musica, gli scacchi; niente facebook (quello poi da sempre). Orso matto, mi chiama affettuosamente. 
Non me la sento di darle completamente torto, perché un po' è vero: oltre ad essere cresciuto con l'immaginario dell'ultimo sopravvissuto sulla Terra, non sopporto le convenzioni e in certi periodi dell'anno tendo a fare mio il concetto di Bukowski qui sotto rappresentato. A mia parziale giustificazione, una professione che mi vincola a stretti rapporti con le persone dove la pazienza viene sollecitata a livelli considerevoli. Per ora ciò non mi impedisce di guardare ancora dritto in faccia agli esseri umani, provare a trovare una corrispondenza e perché no, sorridere. Due cose però non devono essermi sottratte: lo spazio da dedicare alle passioni di cui sopra e il tempo da trascorrere con le persone che hanno la dote di far uscire il meglio da me stesso. Una su tutte.


venerdì 19 gennaio 2018

Influenza all'italiana e poi un libro, un film e un disco

Non sono superstizioso, se però il 2018 dovesse mantenere questo indirizzo per me potremmo anche chiuderlo qui, o perlomeno saltare i primi mesi evitando così lo starnazzìo della campagna elettorale.

Dopo il ritorno devastante la mattina di capodanno, sotto una bufera di neve che mi ha costretto a montare le catene riducendomi le mani come un minatore del primo '900, potrei parlare della vaccinazione antinfluenzale. Sono reduce da una settimana di febbre ed emicrania e vengo a sapere (fonte I.S.S.) che la trivalente distribuita in Italia non copriva il ceppo B Yamagata e che solo la tetravalente sarebbe stata efficace.
Va bene, cose a cui si può sopravvivere, soprattutto quando si recupera il tempo per leggere un libro che era in attesa da mesi, di vedere un bel film che pare abbia anche messo tutti d'accordo e riscaldare le ossa dai postumi della febbre con Glen Hansard . 














Era "pulita": niente piercing, né tatuaggi, né scarificazioni.
I ragazzi di oggi erano tutti così. E come dargli torto, pensava Alex, avendo visto tre generazioni di tatuaggi flaccidi afflosciarsi come tappezzeria mangiucchiata dalle tarme su bicipiti svuotati e culi cadenti? 
Una decina di personaggi incrociano le loro esistenze su diversi piani temporali ed in età differenti. Dal passato (siamo alla fine degli anni '70 in piena furia punk) verso un futuro prossimo asettico e uniformato. La musica e i suoi mutamenti nella società a fare da filo conduttore. Letto con anni di ritardo ma ne valeva la pena.


giovedì 11 gennaio 2018

L'eredità di Faber

La musica e le parole di De André mi accompagnano fin dall'adolescenza e l'unica cosa che mi infastidisce, a 19 anni dalla sua scomparsa, è quella piega sottile verso la santificazione o peggio ancora la banalizzazione del suo universo poetico e intellettuale. Bene allora i concerti tributo e la nuova fiction di Rai uno, ma la parte più intima resterà sempre e solo dentro di noi; nei ricordi legati a un viaggio con Non all'amore, non al denaro, né al cielo a fare da colonna sonora oppure nel furore giovanile alimentato da Storia di un impiegatoE ancora oggi nel desiderio di prendersi un'ora per mettersi lì a riascoltare Creuza de mä e Anime Salve, emozionandosi per l'ennesima volta.

La rivista A ripropone un'intervista interessante rilasciata all'epoca dell'uscita dell'album Le Nuvole, dove Faber spiega anche le radici del suo anarchismo. 
Due brevi estratti:

Già dalle tue prime canzoni ti sei occupato di problemi sociali. Perché?
Mi interessava raccontare storie di gente comune per capire di più il mondo in cui vivevo. Era una specie di autoanalisi. Poi ho trovato coinvolte in questo altre persone, prima quattro, poi quaranta, poi quattromila...

Io credo che in qualche maniera la canzone possa influire sulla coscienza sociale, almeno a livello epidermico. Credo che in qualche misura le canzoni possano orientare le persone a pensare in un determinato modo e a comportarsi di conseguenza. A me è successo con Brassens, non vedo perché agli altri non possa succedere.

A me è successo con Fabrizio De André.

giovedì 4 gennaio 2018

Juana Molina - Halo

Colpi di fulmine con la musica: succede sempre più di rado, ma succede ancora. In viaggio per la montagna, ascoltavo l'idealista su radio 3 (ottimo programma) e mi sono imbattuto in questa musicista di Buenos Aires molto apprezzata anche da David Byrne.
Il suo nome è Juana Molina e nella sua musica confluiscono un mix di generi: pop, folk e tropicalismo, sorretti da un tappeto di elettronica minimale. Bizzarro il suo percorso artistico, che l'ha vista esordire e riscuotere successo negli anni '90 come attrice comica alla tv argentina, per poi trasferirsi a Los Angeles e dedicarsi alla musica fra lo scetticismo generale. Dopo il ritorno in patria e la pubblicazione dei primi lavori si è capito qual era il suo vero talento. Halo è il suo ultimo album: un lavoro d'avanguardia, ma non di quella inaccessibile o estrema alla Bjork (artista a cui spesso viene impropriamente associata). Nel suo mondo la forma canzone non viene frantumata: il ritmo è essenziale e parecchi brani sono sostenuti da linee di basso pulsanti, su cui si innestano loop, sintetizzatori e chitarre. Juana Molina canta in lingua madre con una voce leggera e impalpabile e mi è apparsa subito come una musicista completamente libera da vincoli di genere.
Halo è un album fuori dagli schemi; spiritualmente indipendente e in grado di trasportarti in un'altra dimensione come è nel caso di In the Lassa, brano ipnotico e palpitante che ben rappresenta l'anima di questo disco che sto ascoltando in loop dall'inizio dell'anno.