domenica 17 gennaio 2010

Persi fra le montagne del Marocco

Ogni tanto sfogliare l'album dei propri ricordi è un esercizio gradevole. Sono passati trent'anni e la stesura del racconto che segue l'ho rimandato più volte, poi corretto e rivisto, perché ogni tanto emergevano nuovi particolari che la memoria mi restituiva. In certi momenti è stato come scorrere le sequenze di un vecchio film con un protagonista a me quasi estraneo.

Dopo aver viaggiato e anche lavorato per due mesi nel Nord-Europa (Bruxelles, Londra, Amsterdam) per poi trascorrere il Natale a casa, nel gennaio del 1980, con i soldi risparmiati partii con due amici in treno: destinazione Marocco. Ero iscritto al secondo anno di università, ma la voglia di viaggiare era più forte dei richiami al dovere e delle lamentele dei miei genitori. Lo zaino con il sacco a pelo, qualche indumento, un paio di libri e l'avventura poteva cominciare.
Dopo un interminabile trasferimento di quasi due giorni con pause a Malaga e Casablanca, raggiungemmo Marrakech e quindi in autobus Agadir, nel sud del paese a pochi chilometri dalla nostra meta finale: un villaggio di pescatori senza luce, nè acqua corrente di nome Taghazout. Lì affittammo una stanza con una scala che ci permetteva di salire sul tetto dal quale si godeva la splendida vista dell'oceano; il momento più bello era il tramonto, quando il muezzin chiamava i fedeli alla preghiera. Alla partenza, un amico con qualche anno in più, ci aveva raccontato di una valle sperduta fra le montagne, soprannominata Paradise Valley, dove fin dalla metà degli anni '70 si era formata una comunità di ragazzi provenienti da tutta l'Europa. Palme, piscine naturali con cascate e libertà totale. La zona era quella e così una mattina, dopo aver raccolto informazioni sull'itinerario dalla gente del posto, partimmo a piedi verso l'interno montuoso. Si aggregarono a noi un ragazzo e una ragazza austriaci. Di giorno il caldo si faceva sentire, ma l'escursione termica al calare del sole era notevole. Verso sera, dopo una giornata di cammino, un minimo di preoccupazione cominciò a serpeggiare, perché se non ci eravamo proprio persi, poco ci mancava. Decidemmo così di fermarci a dormire sotto due palme e di accendere un fuoco per scaldarci e cuocere delle patate. I rami di palma bruciavano come fiammiferi e ben presto lasciammo perdere il fuoco per tentare di dormire. Con l'avanzare della notte il freddo aumentò e quasi non riuscimmo a chiudere occhio, anche perché Bruno si lamentò tutta notte:- Dove mi avete portato! Voi siete pazzi, io domani me ne torno in Italia e via dicendo. Al mattino i due ragazzi austriaci decisero di tornare indietro, mentre io ero determinato a proseguire: secondo le indicazioni non dovevamo essere distanti. Il problema era la mancanza d'acqua e di anima viva, inoltre la stradina sterrata era ormai diventata un sentiero. Proseguendo stanchi e assetati, nel primo pomeriggio vedemmo dall'alto una valle dove scorreva un torrente; un luogo incantevole con le palme: una fascia in cui la vegetazione tropicale si mischiava alla macchia mediterranea. Scendendo incontrammo un anziano marocchino a dorso di mulo. Cercai a gesti di fargli capire che morivamo dalla sete, ma lui per tutta risposta aizzò l'animale allontanandosi. Per fortuna, spuntarono alcuni ragazzini che dopo alcune spiegazioni, ci condussero ad un pozzo nascosto dalle pietre.
Nel pomeriggio raggiungemmo quella valle: era splendida, il torrente formava una cascata con una pozza in cui fare il bagno. Il problema era che per una qualche ragione da diversi mesi non ci stava più nessuno; ce lo spiegò un hippie olandese che si era materializzato con il suo furgone lungo la ritrovata strada sterrata. Io non ero convinto e insistetti, chiedendogli se era sicuro e se il posto era proprio quello in cui ci trovavamo. Risposta filosofica:- Ogni posto dove stai bene con te stesso è Paradise Valley. A quel punto, affamati e stravolti, gli chiedemmo di riportarci al nostro villaggio, dove avevamo lasciato una parte delle nostre cose. Un po' scocciato accosentì, ma prima avrebbe fatto il bagno con la sua compagna per poi preparare qualcosa da mangiare (il che non ci dispiaceva). Quando ci venne a chiamare per una fetta di torta ci eravamo assopiti all'ombra delle palme dopo un bel bagno ristoratore. Mi sarebbe piaciuto restare, ma senza tenda e la possibilità di spostarsi su un mezzo proprio non avrebbe avuto senso. Il viaggio di ritorno al tramonto fra colori e paesaggi incredibili fu un'esperienza mistica, nonostante gli strapiombi che lungo i tornanti sembravano sul punto di inghiottirci.
Cercando in rete ho scoperto che quei luoghi unici sono diventati meta di trekking all'interno di circuiti turistici. La grande spiaggia del paese dove avevamo affittato la stanza è ora una rinomata zona di surfisti, che vengono da tutta Europa.
Allora c'eravamo solo noi, pochi altri ragazzi tedeschi e qualche freak sopravissuto. Passammo momenti indimenticabili. Quel viaggio e quei luoghi mi sono rimasti nell'anima insieme forse a qualche frammento di quella voglia di libertà che guidava le mie fughe.

6 commenti:

  1. La sete non ti è passata, e forse aveva ragione quel tizio, il paradiso è laddove stai bene.

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  2. Quella fame di vita, di scoperte, di libertà appartengono anche a noi e continuano ad arderci dentro. Bello il tuo racconto, ce lo siamo assaporati e vi ci siamo addentrati camminando insieme a te!
    Baciotti da Sabrina&Luca

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  3. aprili più spesso i tuoi cassetti, è una delizia entrarci e sbirciare...
    grazie, Lucien

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  4. Prtaicamente hai anticipato di qualche anno Marrakesh Express!

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  5. mi hai fatto ricordare di un viaggio alla "randagia" fatto in Grecia una ventina di anni fa, che bellezza.

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