sabato 15 agosto 2009

40 anni dopo Woodstock


15, 16, 17 agosto 1969: uno di quegli anniversari che non si possono ignorare. Da giovanissimo, malgrado fossero già passati diversi anni, ci sono cresciuto con quel triplo album e con il documentario del concerto. L'onda e l'eco di quegli avvenimenti sono rimasti per anni nell'immaginario delle generazioni successive, come la mia.
Nessuna celebrazione nostalgica, ma ho in testa solo una domanda: che cosa è rimasto oggi di quel pensiero, di quella filosofia, di quella utopia che videro in Woodstock la loro apoteosi e l'inizio della fine? Nella musica sicuramente tanto, ma in tutto il resto? Forse troppo poco. Sarebbe interessante chiederlo ai miei coetanei che erano presenti numerosi in quei giorni e che sono stati ritratti nella foto di Henry Diltz. Bambini nati come me all'inizio degli anni sessanta, ma cresciuti a diretto contatto con quel sogno di libertà e fratellanza poi frantumato dalle droghe e dagli eventi. Chissà che vita fanno e cosa pensano.
Il 16 ottobre uscirà nelle sale italiane Taking Woostock di Ang Lee, film ispirato ed adattato dall'autobiografia di Elliot Tiber, che grazie al motel dei genitori a White Lake, ebbe un ruolo fondamentale ed inaspettato nell'organizzazione del festival.
Il trailer


Una delle locandine originali con tutte le esibizioni.

16 commenti:

  1. Ti dirò, forse sorprendendoti, che di quel clima culturale è rimasto moltissimo, direi perfino troppo.
    E' chiaro che qualcosa si è perso, e che quindi il messaggio che riceviamo oggi è un messaggio distorto. E' rimasto però questo carattere antiautoritario, questa rivendicazione della libertà, di un modello di uomo illuminista. Peccato che in tal modo si ignori il bisogno dell'uomo di riconoscere un'autorità. Il risultato di ignorare questo bisogno è quello di lasciarci in balia del primo signor B. che passa, e che ci spiega come egli ci voglia liberi (Popolo della Libertà, si chiama significativamente il suo partito), a patto di essere liberi di fare quello che egli vuole.
    Questo condizionamento sociale avviene prevalentemente attraverso la TV, ma in ogni caso il presupposto è che io mi senta soggettivamente libero, anche se poi siamo tutti liberi, guarda un po', di fare tutti le medesime cose, ma, è una nostra scelta personale, la stessa per tutti, ma siamo così orgogliosi di aver scelto da noi di fare quello che c'hanno condizionato a fare!

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  2. Una deriva, o meglio, una degenerazione italiana. Il collegamento è un po' forzato e non so quanto storicamente derivato e poi distorto da quel tipo di pensiero. E' comunque una teoria interessante.

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  3. Venerdì scorso a Fahrenheit su Radio Tre hanno chiacchierato a tal proposito e mi è piaciuto molto il modo di parlare di Gino Castaldo, che in generale non conosco, ma ha appena pubblicato un libro su Woodstock.

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  4. ...l'eco di quegli avvenimenti sono rimasti per anni nell'immaginario delle generazioni successive, come la mia.
    Sono d'accordo, lo è stato anche per me. Woodstock, il '69 sono stati 'momenti' di rottura e consapevolezza e grazie a questi niente è rimasto come prima. Ora vedo mia figlia sedicenne, vive altre realtà, altre dimensioni e allora penso che ci vorrebbero altri woodstock, altri 1969... Ma, si sa, la storia è un continuo ripetersi, questa volta però è un pò in ritardo come i numeri del super enalotto :(

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  5. @Fabrizio:
    Castaldo è uno dei giornalisti musicali di Repubblica.

    @Novalis:
    Il desiderio di integrazione e di consumo delle persone, grazie al potere dei media e dei grandi brand, ha raggiunto livelli quasi totalitari, ma ci sarà sempre chi cerca di stare un po' fuori da questo coro fatto di ipermercati, tv-spazzatura, villaggi turistici, suonerie, fastfood e ora anche new town. Decrescita come hai raccontato anche tu, è la strada da percorrere.

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  6. Io sono nato dopo, ma mi ritengo in linea con gli ideali di pace e amore di quei giorni: appartenere ad una generazione non è solo un fatto generazionale ma anche ideale. Certo, c'è retorica in questo (come in ogni cosa dell'umano), ma alla fine qualcosa di libero e vero è rimasto, si è ripresentato altre volte, si ripresenterà. Interessante il film di Ang Lee, che andrò a vedere appena riaprono i cine ...

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  7. mah, io sono un po' infastidito da questo rimpiangere Woodstock e in generali quegli anni magnifici rispetto al nulla culturale e sociale odierno.

    Mi sbaglierò, ma negli anni Settanta e Ottanta ci sono state le bombe del terrorismo e le stragi impunite. Quindi non è che fosse questo eldorado di impegno politico. Anche oggi poi i giovani continuano a scendere in piazza, non ci sono solo quei lobotomizzati da tv di cui parlano gli ex sessantottini.

    E anche da un punto di vista musicale comincio mi disturba il confronto tra la "vera musica" di Woodstock e la "finta musica" odierna. Non è così, basta guardarsi intorno :-)

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  8. @Manfredi:
    Infatti, come ho scritto, nessuna celebrazione (la nostalgia si ha per qualcosa che si è vissuto e io ero troppo giovane), ma solo il ricordo di un evento che volenti o nolenti cambiò il mondo della musica. Qui il discorso sarebbe molto lungo e andrebbero soppesati tutti i vari aspetti (positivi e negativi).
    Riguardo il discorso "finta musica" quello lasciamolo ai tromboni che sono rimasti fermi con la mente agli anni '70, come hai ben evidenziato nel tuo post.

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  9. Caro Lucien, noto che siamo nati negli stessi anni. Su Woodstock, quello che mi ha sempre ammaliato erano le splendide ragazze nude e all'apparenza disponibili che si vedevano nei filmati d'epoca. Certo ho sempre fatto un mucchio di discorsi filosofici parlando di quell'evento, la contestazione al sistema, la guerra del Vietnam, il sessantotto, il nuovo corso, la musica, Jimi Hendrix e perfino i figli dei fiori, ma la verità era che di Woodstock mi ammaliavano le ragazze nude, che ti davano l'impressione di poter essere tue allungando una mano. Saludos por todos.

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  10. Vedo che il mio punto di vista, più articolato rispetto a quegli anni, a quel clima culturale che io ho pienamente vissuto per motivi anagrafici, trova qualche consenso. Molti degli hippies di quegli anni sono finiti a fare gli yuppies degli anni 80. Anche in Italia, molti nella corte del signor B. erano militanti di Lotta Continua. Se non comprendiamo come ciò sia potuto avvenire, non metabolizzeremo mai la storia recente. Per me, c'è poca chiarezza sul concetto di libertà, su cui qualcosa ho scritto anche in alcuni post. Su questo equivoco, la destra ci gioca, come si potrebbe dedurre anche dal nome del partito del signor B., significativamente Popolo della Libertà.

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  11. @Vincenzo:
    Ogni volta che sento quel nome mi vengono in mente i finti spot di Corrado Guzzanti"...facciamo un po' come cazzo ci pare"

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  12. lo so bene, Lucien, è che altri dicono a volte l'opposto ;-)

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  13. Sono in disaccordo su alcuni punti. Il fatto che molti dei "contestatori" si siano integrati nel "sistema" che contestavano non vuol dire che all'epoca avessero torto. Un discorso lungo da fare in un post, lo capisco, ma questo è il mio libero pensiero.

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  14. Eh già, troppo poco è rimasto. Sono state molto più brave le persone "nella stanza dei bottoni", a cavalcare, manovrare, spettacolarizzare e - alla fine - rendere il più possibile inoffensivo quel fantastico periodo. Che da quel grandissimo potenziale di cambiamento che poteva essere, è diventato un altro ricordo da indossare, oggi si direbbe che "fa trendy"...

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  15. leggere l'intero blog, pretty good

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