Battisti: Perché me ne infischio delle mode.
(Tv Sorrisi e Canzoni, 3 dicembre 1978)
Avevo appena imparato a suonare la chitarra con il metodo che andava per la maggiore: chitarrista in 24 ore. Ovviamente la prima cosa che si imparava erano i tre accordi (LA-RE-MI) de La canzone del sole di Lucio Battisti. Tanti di noi, cresciuti nei primi anni '70, hanno respirato la sua musica per poi allontanarsene per svariati motivi; prima di tutto non faceva più figo ed era etichettata di destra, soprattutto in certi ambienti; inoltre all'epoca pochi capirono la portata e la complessità di un disco clamorosamente avanti sui tempi come Anima Latina.
Avevo appena comprato la cassetta e ricordo che una sera, affascinato e al tempo stesso sbigottito per il radicale cambio di rotta, stavo ascoltando l'album nel mio mangianastri. Entrò mio padre incuriosito e attratto dalla voce inconfondibile. In casa avevamo quasi tutti i suoi 45 giri (ricordo anche svariate cassette di Fausto Papetti e l'indimenticabile Ho scritto t'amo sulla sabbia di Franco IV e Franco I).
- Ma è Battisti questo? -
- Sì, l'ultimo disco.
- Ma che robaccia si è messo a fare?
Bocciatura istantanea. Se il ricordo non mi tradisce stavo ascoltando Il Salame.
Di quell'album riuscii a suonare solo un paio di canzoni: Due Mondi e la title track grazie agli accordi rimediati sull'ultima pagina di un Ciao 2001. Col tempo poi, nel passaggio dall'adolescenza alla maggior età, Battisti non si suonava più; neanche in spiaggia davanti ai falò. Eravamo presi da Guccini, De André, Gaber: La Locomotiva, Il Bombarolo e La Libertà i nostri inni. A un certo punto io cominciai a scartare con De Gregori e Lolli; ancora due anni e il punk avrebbe fatto piazza pulita delle nostre chitarre acustiche e dei nostri credo. Tant'è che quando salii per la prima volta su un palco, lo feci suonando e cantando Psycho Killer.
Comunque mi ci vollero vent'anni per recuperare e comprendere a pieno quello che può essere considerato un capolavoro assoluto della musica italiana.
Scrive Roberto Blatto: ... un album che precede le migliori intuizioni di tutto il rock di quarant'anni a venire. Il tropicalismo "raffreddato", la navigazione ritmica a vista, le acustiche a fianco dei synth, il funk e i fiati solcati dalle percussioni. La voce registrata bassa, talvolta persino filtrata e schiacciata dai suoni per esplicito volere di Battisti stesso, che richiedeva all'ascoltatore un impegno e una partecipazione superiore. (da MyTunes - Come salvare il mondo una canzone alla volta, Baldini & Castoldi).
Ancora adesso è uno di quei pochi dischi degli anni settanta che un paio di volte all'anno sento il bisogno di ascoltare; senza derive nostalgiche, ma semplicemente per godere di qualcosa di bello ed irripetibile; magari per commuovermi immancabilmente al minuto quattro di Anima Latina, quando prende vita il coro che fa da apertura alla entusiasmante galoppata finale tirata da fiati e percussioni.
Quarant'anni portati alla grande: Anima Latina uscì nel dicembre del 1974.