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venerdì 9 agosto 2019

Dialoghi surreali sotto la canicola

Gli eventi familiari mi hanno riportato a frequentare il mio antico paesello. A volte fa uno strano effetto; un misto di nostalgia e disagio. Volti noti rivisti a decenni di distanza: ragazzini diventati adulti, giovani diventati vecchi; luoghi dell'infanzia quasi irriconoscibili, come i bar storici oggi gestiti dai cinesi. Dulcis in fundo, persone che ricordavi equilibrate con cui intrattenere dialoghi come quello che segue...

Mi fermo per un caffè e incontro una vecchia conoscenza.
- Ehi, ciao come va?
- Bene, bene sono in pensione da cinque anni.
- Beato te! Io ho ancora almeno dieci anni. Com'è possibile?
- Beh sai, lavoro usurante. Tutti gli anni sulle piattaforme!
- Giusto, è vero. Hai una buona pensione?
- Pensioni! Ne prendo dieci di pensioni.
- Cioè?? Ma va là! All'improvviso qualcosa non quadra.
- Sì, sì! Ho quella d'invalidità, quella di quando mi hanno fatto cavaliere del lavoro... (e via dicendo).
- Ah sì, e quanto prendi?
- Trentamila euro. Ogni mese ne risparmio 29. Sono anche il proprietario del bar e di tutto l'edificio.
- Ma non è mai stato dei tuoi genitori!
- La vecchia padrona mi ha regalato tutto.
- Ah, ok. Ma cosa te ne farai di tutto questo patrimonio che non hai figli?
- Lo regalo, qualcosa darò anche a tua sorella.
- Grande, anche perché lei la pensione non ce l'avrà mai. Quando la vedo glielo dico.
- Diglielo, diglielo.
 Lo dico spesso a quelli che conosco (più che altro per consolarmi):siamo sicuri che andare in pensione presto faccia bene?

Dalle mie parti qui in Romagna e anche nella mia famiglia c'è una discreta tradizione, diciamo così, di stravaganza e io ho sempre un gran rispetto per tutti coloro che deviano dalla norma. Qualche storia l'ho anche raccontata.

lunedì 12 novembre 2018

Blues dei 90 anni

Antonio, detto Totò per la discreta somiglianza con il principe De Curtis, abita all'inizio della mia strada. Classe 1928 (coetaneo di Piero Angela ed Ennio Morricone) ha da poco compiuto novant'anni e come regalo di compleanno i parenti gli hanno preso un computer nuovo. Farei la firma per mantenere la lucidità e la curiosità della sua mente, oltre che lo spirito. E' vedovo da diversi anni e quando passo davanti casa sua, mi fermo sempre volentieri a chiacchierare e a scambiare opinioni. Mi appassionano i suoi racconti, come blues che sanno di radici, tribolazione e riscatto, però sempre con un immancabile sfondo d'ironia. Come tanti della sua generazione, Antonio viene dalla miseria, quella nera. Da ragazzino ha vissuto il fascismo, la guerra e le bombe, patendo la fame con tutta la sua famiglia. In questa parte della Romagna il fronte rimase fermo per cinque lunghi mesi con tedeschi e alleati separati solo dall'argine di un fiume. Alla fine si vedevano soltanto macerie, ma aveva 17 anni e una vita davanti.
Il suo percorso è l'esempio di come l'animo umano possa, con la forza di volontà e l'intelligenza, affrancarsi dalla miseria e dalla mancanza di cultura. In poche parole elevarsi dalle brutture. Antonio dopo la guerra si fa una cultura da autodidatta, sposa una maestra, poi con il suo lavoro la mantiene all'università per darle la possibilità di fare il concorso e insegnare alla scuola secondaria. Ben presto inizia a viaggiare all'estero, spesso nei paesi dell'Est dove ci sono milioni di chilometri di strade da asfaltare e lui un po' alla volta diventa responsabile delle squadre di romagnoli inviate dalla ditta locale per svolgere questo lavoro.

LA GRATICOLA
Sabato mattina me ne ha raccontata un'altra.
Siamo alla fine degli anni '50 in Jugoslavia, in una zona molto arretrata vicino ai confini con Grecia e Bulgaria. I locali parlano un dialetto slavo incomprensibile; vicino al cantiere il nulla e per mangiare c'è solamente una bettola in un villaggio. Quando vanno per pranzare, col cameriere non c'è modo di capirsi, Totò allora con la sua mimica irresistibile inizia a fare i versi di vari animali e tutto il locale a ridere. Lo prendono in simpatia e viene accompagnato in cucina dove la cuoca, un donnone di due quintali, sta mescolando una zuppa di gulash nauseabonda in un grande paiolo. Non ci siamo! Allora gli aprono il frigorifero da dove spunta ogni ben di dio: pomodori giganti, ma soprattutto pezzi di carne da acquolina in bocca. Antonio sigla una sorta di contratto e poi torna soddisfatto al cantiere, dove chiama un operaio e gli fa costruire una graticola gigante. Tutti i giorni alle undici qualcuno avrebbe staccato dal lavoro per preparare il fuoco per cuocere alla brace la carne e le verdure fornite dal locale. Due o tre anni dopo, passando sempre per lavoro da quelle parti, Antonio si ferma a salutare i proprietari del locale e scopre che avevano ancora la sua graticola e la usavano per cucinare. Gli dico ridendo che se si fosse fermato ancora un po' l'avrebbero fatto prima capo cuoco e poi sindaco del villaggio.

venerdì 8 settembre 2017

Il Men (con la E)

Ci sono persone che avranno per sempre un posto nel nostro cuore. A loro ci legano ricordi indelebili e un rapporto speciale. Il Men era una di loro. Per me è stato L'uomo che cadde sulla Terra: ero ancora un adolescente quando contribuì a svegliarmi una sensibilità ancora sconosciuta con cui scoprire ed apprezzare i lati insoliti e nascosti della realtà. Un Syd Barrett dall'animo puro e gentile comparso in Romagna. Poesia, musica, fumetti e soprattutto il disegno, erano le passioni confluite nella sua arte. Ricordo che insieme componevamo le nostre prime canzoni dai testi improbabili, utilizzando la tecnica delle parole in libertà di ispirazione futurista. Poi purtroppo, inevitabilmente, ci siamo allontanati. Il Men è sempre stato molto schivo e timidissimo; con il passare degli anni si è ritirato in un mondo tutto suo che custodiva gelosamente e non ha più avuto una vita sociale.
A suo modo è stato un grande: sempre coerente, ma ad un altro livello per noi indecifrabile. Era mio secondo cugino e aveva un paio di anni più di me. Se n'è andato due mesi fa. Il Comune del paese in cui siamo cresciuti ora gli ha dedicato una mostra che è stata possibile grazie all'incredibile lavoro di suo fratello Hans.
Ieri sono stato all'inaugurazione e mi sono commosso.
Ciao Carlo Alberto. Ciao Men.


lunedì 20 marzo 2017

Rhiannon Giddens - A volte per andare avanti bisogna saper guardare indietro

... alle radici e all'anima della musica



Pochi mesi fa una sera d'inverno, dopo cena si discute di musica fuori dall'osteria e come un fantasma compare e si unisce a noi un vecchio amico, nonché cugino e mentore detto Silver Mask (per via di una storia spassosa che prima o poi racconterò). L'ex chitarrista del mio gruppo suona ancora nella casa di famiglia adibita a sala prove e Silver Mask che abita lì vicino, spesso l'ha sentito e gli chiede:
- Ma che robaccia suoni!?
- Beh, sto sperimentando. Cerco di andare avanti, di fare delle cose nuove.

S.M. scossa la testa e sentenzia:
- Ricordati che a volte per andare avanti bisogna tornare indietro. Il blues, il folk...

Disorientamento nel volto del mio amico chitarrista mentre io (dopo diverse birre medie) me la rido di gusto. Sembra un dialogo da film, ma giuro, l'ho riportato tale e quale.
Poi a distanza di mesi mi imbatto in questo disco di Rhiannon Giddens recensito ottimamente nel blog di Blackswan e ascoltandolo arriva il flash: è la frase che mi torna in mente. Sempre stato un grande Silver Mask: la quasi totale cecità che l'ha accompagnato fin da bambino ha acuito altri sensi oltre che la sua sensibilità. Certa musica da giovanissimo l'ho conosciuta solo a casa sua.
Come ho commentato nel blog di cui sopra: L'ho ascoltato tutto oggi pomeriggio sdraiato sul divano e non credo sia stata solo la febbre a farmi venire i brividi. 
Un disco che parla di temi attuali, con un percorso che si evolve in modo sorprendente, partendo dalle radici musicali con la sensibilità dei nostri tempi. Album del mese su Rootshighway

giovedì 19 luglio 2012

Message in a bottle (Amsterdam 30 anni dopo)

Sabato voleremo in Olanda per visitare Amsterdam e dintorni. C'è qualcuno della teiera che non c'è mai stato; per qualcun altro si tratta invece di un ritorno emozionante. 

Arrivai dopo esser già stato a Bruxelles, ospite di un amico e a Londra e mi fermai per tre mesi: terza tappa del mio viaggio europeo con i soldi guadagnati dalla vendemmia. Il problema era che le finanze erano quasi finite e dopo la prima notte passata in una bettola, mi adattai velocemente alla vita da squatter trovando alloggio in una delle tante stanze di un ex brefotrofio occupato. Abitavo insieme ad un altro ragazzo italiano e a Uwe, storico e integerrimo fricchettone tedesco, sopravvissuto al suicidio della sua generazione. Di lì a poco, trovai anche lavoro in un ristorante di lusso e conobbi una serie di persone che mi sono rimaste impresse nella memoria.
Terry: Era un muratore inglese che abitava di fianco alla nostra stanza. Filosofo ed ex mercenario, spesso alla sera ci invitava a bere una cassa di birra in compagnia del suo amico-collega: un bestione tedesco di poche parole; lo chiamavamo l'uomo di Neanderthal perché aveva i capelli lunghi, barba incolta e biondiccia, naso da pugile; prendeva le bottiglie di birra, strappava il tappo con i denti e le scolava. Terry, invece, era un personaggio da film: pelle scura, tutto tatuato (cosa allora non di moda), con il pizzo; era stato nella legione straniera e in giro per il mondo. Ci raccontava storie incredibili e anche se a prima vista incuteva un certo timore, ci aveva adottato ed era sempre cordiale e protettivo nei nostri confronti.
Klaus: Un ragazzo tedesco, stravagante e logorroico, che spesso faceva incazzare Uwe con le sue uscite demenziali. Fannullone cronico, di giorno vagava nei parchi in cerca di funghi con i quali alla sera cucinava zuppe che a sentir lui avrebbero dovuto essere allucinogene. Mai assaggiate!
La fanatica religiosa: Una ragazza che ogni tanto si presentava per fare del proselitismo; non ricordo per quale ordine religioso. Il suo sguardo spiritato era piuttosto inquietante nonostante i discorsi su Dio e la fede. Mi ricordava la mamma di Carrie in Carrie lo sguardo di Satana di Brian de Palma.  
Gli egiziani: Lavoravano come me nel ristorante, ovviamente in nero. Apparentemente cordiali e amiconi, ma grazie a loro fui lasciato a casa da un giorno all'altro per far posto a dei loro amici che si accontentavano di una paga più bassa (così mi raccontò il caposala italiano).
Hare Krishna: Ottimo metodo per mangiare gratis (prima del lavoro al ristorante). Alla sera si poteva entrare come ospiti nella loro sede e dopo essersi sorbiti tutta la cerimonia, si gustava un'ottima cena vegetariana. 
Le ragazze olandesi: Belle e impossibili. Meglio socializzare con le turiste italiane.
Gong: Visti al Melkweg. Non la band originaria, ma la versione Pierre Moerlen's Gong.
Police: Non la polizia, ma il gruppo di Sting.
Nel settembre del 1979 uscì il singolo Message in the bottle: la colonna sonora di quel periodo.

giovedì 29 marzo 2012

Io, il punkoide e le radio libere

Negli anni in cui internet era ancora fantascienza per un ragazzo riuscire a comunicare attraverso i microfoni di una radio le proprie idee e la propria passione musicale era una fantastica opportunità.
Tutto era nato grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale del 1975 che dichiarava illegittimo il monopolio statale dei programmi via etere. Di lì a poco l'Italia fu inondata da migliaia stazioni locali in quella che fu la stagione la stagione delle radio libere: un laboratorio di comunicazione che coinvolse decine di migliaia di giovani appassionati. Nel 1980 la RAI aveva dimezzato gli ascolti.

Il punkoide era il suo soprannome beffardo. Come umanoide sta ad umano, punkoide stava a punk forse per sottolineare la carenza di attributi che ricordassero la sua appartenenza a tale movimento. Si distingueva da lontano per il caratteristico casco di capelli ricci, l'abbigliamento da bravo ragazzo e la pelle scura. Non so bene perché diventammo amici; frequentavamo lo stesso bar e sicuramente accadde per la comune passione per la musica. Mi stava simpatico perché a differenza di certi suoi coetanei (aveva un paio d'anni meno di me) non si atteggiava con divise d'ordinanza postdatate e spilline varie. Il punkoide era semplicemente un fanatico della musica e soprattutto del punk in tutte le sue declinazioni: dai Sex Pistols ai Dead Kennedys. Io avevo già dato e voltato pagina: era il periodo in cui ero fissato con la new wave contaminata con il funk (A Certain Ratio, Pop Group, Medium Medium, ecc...). Insieme mettemmo su questo programma settimanale di un'ora in una delle radio più squinternate della bassa romagna; certo non si può dire che non fosse libera. Si partiva con una borsa piena di vinili per iniziare alle 14 in punto; la sigla era dei Ramones ed il format era che si sceglieva alternativamente un brano a testa: lui punk ed io new wave, con tutto il seguito di discussioni e finte accuse infamanti reciproche. Finita l'ora, dovevamo rimettere in onda il nastro di canzoni a ciclo continuo (interrotte da saltuarie inserzioni di triste pubblicità locale), che serviva a tappare i buchi della programmazione pomeridiana.
Durante la trasmissione ricevevamo qualche telefonata. Ricordo che una volta venni accusato da un ascoltatore duro e puro e con le idee poco chiare di proporre della disco di merda; in un'altra occasione chiamarono due ragazze che volevano conoscerci. Il punkoide, perennemente arrapato, fissò un appuntamento per il pomeriggio della settimana seguente a fine trasmissione. Fuori dalla radio ci trovammo di fronte due ragazzine aspiranti punk con la ridarella. Quello stesso anno ci furono momenti di gloria quando la radio organizzò due concerti: Tuxedomoon (fantastici, oltre che superdisponibili) e Section 25. Dopo pochi mesi la radio chiuse: era la seconda volta che mi capitava; di Radio Graal, la radio fricchettona che ho frequentato da giovanissimo, ho già raccontato qualche tempo fa.

mercoledì 16 marzo 2011

150

                       Davide Ceccon


















E intorno a noi il timore e la complicità di un popolo. Quel popolo che disprezzato da regi funzionari ed infidi piemontesi sentiva forte sulla pelle che a noi era negato ogni diritto, anche la dignità di uomini. E chi poteva vendicarli se non noi, accomunati dallo stesso destino? Cafoni anche noi, non più disposti a chinare il capo. Calpestati, come l'erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati ci vendicammo. Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana ed astratta. È dire senza timore, È MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall'anima. È vivere di ciò che si ama. Vento forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così sempre sarà. 
Carmine Crocco, brigante rivoluzionario

Si festeggi pure, ma la domanda è: siamo vicini a un punto di non ritorno? Io spero ancora di no. Però in un paese di disonesti e mafiosi, in cui vanno avanti quasi sempre solo i furbetti e i mediocri, indignarsi non basta più.
Come scrisse Flaiano: In Italia l'unica vera rivoluzione sarebbe una legge uguale per tutti. Insieme ad un po' più di senso civico, aggiungo io; ma quello, purtroppo, è come il coraggio di Don Abbondio.

lunedì 5 ottobre 2009

Conto uno, conto due

Giugno 2008. Da qualche tempo avevo in testa una ventina di storie personali legate alla musica. Un paio in verità le avevo già scritte e giacevano inutilizzate da mesi in un cartella. Nacque così l'idea del blog che all'inizio volevo intitolare Album vissuti. Mai avrei pensato ai bei contatti con tutti coloro che, passando da qui, mi hanno arricchito e stimolato ad andare oltre. Per questo motivo mi piace riproporre alcune di queste storie, scritte quando la teiera volante era appena nato.

ALBUM VISSUTI
David Bowie - Hunky Dory


Secondo anno delle superiori. Avevo già ascoltato qualcosa di David Bowie, ma il giorno in cui andai a casa di Capo (questo era il suo soprannome di cui ignoro le origini), feci una vera full immersion e lì sentii per la prima volta questo splendido disco che contiene capolavori come Life on Mars. Conobbi Capo il giorno in cui mio cugino, detto il Man (più grande di me di un paio d'anni), mi invitò a casa dell'amico dove stava andando a suonare. Io ero perplesso perché era risaputo che erano entrambi un po' sciroccati, però ebbe il sopravvento la curiosità di vedere che cosa riuscivano a combinare. Ricordo che in soggiorno c'era un pianoforte che Capo sapeva suonare da autodidatta, un buonissimo impianto stereo e tanti dischi tra cui tutti gli album, vari singoli, bootleg e spartiti di Bowie. Capo per tutto il pomeriggio suonò il pianoforte, ci mostrò e ci fece ascoltare diversi dischi e non fu difficile cogliere nei suoi atteggiamenti e nella sua enfasi un'insana e maniacale passione per il Duca Bianco. In seguito, incontrandolo altre volte e parlandoci, mi resi conto che la realtà che Capo viveva e percepiva era quasi sempre filtrata attraverso la musica e i testi di Bowie; con lui era molto difficile e complicato conversare di altri argomenti. Avevo la sensazione che vivesse una condizione di fragilità preoccupante. Nei mesi successivi non ci feci molto caso, ma non si fece più vedere in giro e un giorno chiesi al Man se ne sapeva qualcosa. Mi raccontò che era stato ricoverato in preda a crisi depressive e sentendosi un po' in colpa, mi spiegò che forse anche lui aveva contribuito a questa situazione. Con la sua tipica flemma (opposta alla costante febbrile eccitazione dell'amico), mi raccontò che Capo, non si sa in base a quali principi etici, aveva sempre sostenuto fermamente che una persona nella propria vita, una volta ottenuto un lavoro, doveva mantenerlo per sempre, altrimenti era da considerarsi un fallito. Come il Man appunto, additato di continuo come esempio negativo poiché aveva già cambiato più volte posto di lavoro. Ormai non si frequentavano quasi più, ma la morale che Capo si era imposto gli si ritorse contro, perché il Man al primo lavoro perso dell'ex-amico lo aspettò al varco e incontrandolo per strada gli urlò: "Conto uno!". Quando anche il secondo lavoro andò in fumo, fu la volta di "Conto due", parole che il Man gridava con regolarità implacabile ogni volta che si incrociavano, nel bar o lungo la strada. L'epilogo si ebbe quando il Man, consapevole di colpire nel segno, un giorno al termine di una discussione gli gridò: "Tanto si sa che ormai la musica di Bowie la fa Brian Eno al computer!" Capo, sicuramente non solo per questi motivi, andò fuori di testa. I suoi genitori si presentarono addirittura a casa del Man a fare una scenata, attribuendo a lui la colpa per la depressione del figlio e intimandogli di non tormentarlo più con le sue perfide frasi. Rividi Capo in circolazione dopo cinque-sei anni, visibilmente sedato ed ingrassato. Mi salutò e scambiammo qualche parola stentata: due ragazzi, quasi adulti in imbarazzo reciproco.
Il Man un giorno mi fece leggere alcuni suoi scritti stralunati (alla Syd Barrett): erano poesie e testi di canzoni dai titoli improbabili tipo Canto d'addio al cosmico Daniele. Uno mi colpì, perché il finale era divertente: narrava in versi un episodio vero riguardante questo suo amico sprovveduto che per un paio di anni, quando in paese arrivava l'autoscontro gestito da un omone obeso, si faceva assumere come lavorante, sperando di guadagnare qualche soldo. Finiva così: "...ma alla fine della settimana di lavoro il grasso padrone non gli dava dei soldi bensì gli dava del pazzo".

giovedì 30 aprile 2009

Attitudine punk

Il mio primo gruppo musicale aveva un'attitudine new wave. Mentre a Bologna c'era già un certo fermento (Skiantos, Gaznevada), in quel periodo nella bassa romagna le band che cercavano di esprimere qualcosa che non fossero cover anni '70 o hard rock stile Van Halen, erano veramente poche e ci si conosceva tutti. Ci ritrovavamo a suonare in quelle rassegne di gruppi locali che ogni tanto venivano promosse per i "giovani" o alle feste dell'unità. In una di quelle occasioni avevo conosciuto due ragazzi (basso e batteria) che avevano messo su un gruppo e che ci davano giù di brutto, in tutti i sensi. Loro avevano un'attitudine punk innata, non solo nella musica, ma proprio come stile di vita.
Dalle nostre parti c'era una grande discoteca dal target fighetto/tamarro che ogni tanto, avendo intravisto il business, organizzava concerti e così una sera ci ritrovammo insieme a vedere i Damned. Da lì cominciammo a conoscerci e a frequentare saltuariamente questo luogo che in realtà detestavo, di solito a tarda ora. Bastava un pezzo un po' più ritmato e finalmente la serata si movimentava: G e Pier si lanciavano a pogare come forsennati seminando il panico e lo scompiglio nella pista, che ben presto si svuotava, visto anche l'aspetto minaccioso e la stazza notevole dei due soggetti. Bastò che la scena si ripetesse diverse sere perché i ragazzi cominciassero a diventare un problema. Così una sera furono avvicinati da Verdone, uno dello staff (fra l'altro mio amico di infanzia) così soprannominato per la stazza, e invitati nell'ufficio del direttore o del padrone del locale. Quando uscirono, tutti soddisfatti mi invitarono a mangiare nel costosissimo ristorantino della discoteca: in pratica gli era stata offerta una cena con la promessa di non danneggiare più l'immagine del locale. Li seguii perplesso, mi pareva strano conoscendoli che avessero accettato il compromesso. Ci sedemmo, ordinammo da bere e G propose un brindisi, finito il quale lanciò il bicchiere contro la parete, subito imitato da Pier. Ora li riconoscevo! Si metteva male; tempo dieci secondi e Verdone si precipitò al tavolo infuriato, dovendo però mantenere un certo contegno per il bonton del locale. Giuro, mi pareva di essere in un film; può anche darsi che G fosse stato ispirato da Blues Brothers che era uscito in quel periodo, tra l'altro come corporatura e fisionomia ricordava non poco John Belushi. Per concludere, Verdone avvisò che avrebbe chiamato i carabinieri e a quel punto io mi defilai con l'approvazione dei due che non vollero mettermi in mezzo. In effetti si stava andando veramente oltre; loro comunque, malgrado tentassi di convincerli, non si sarebbero mossi dal ristorante. Dopo pochi minuti arrivò la volante e furono accompagnati all'ingresso alla presenza di Verdone per chiarimenti. Fu a quel punto che la situazione precipitò, perché alla domanda delle forze dell'ordine relativa ai bicchieri rotti, G rispose con aria ingenua che non capiva tutto quel caos: erano stati invitati a cena dal padrone e i bicchieri si erano rotti durante un brindisi. Verdone, sentendosi preso per il culo, perse il lume della ragione e all'istante si scaraventò contro G. Entrambi andarono a sbattere con violenza inaudita contro l'auto dei carabinieri ammaccandola in maniera vistosa. I carabinieri basiti rimasero immobili; Verdone resosi conto della cazzata e del fatto che la situazione gli si stava rivoltando contro si calmò immediatamente e tutto finì con pacche sulle spalle. L'unica a rimetterci alla fine fu l'auto dei carabinieri. Non ho mai saputo chi risarcì il danno.
Quando incominciai a frequentare l'università a Bologna li persi di vista, i due fenomeni. Ogni tanto qualcuno mi aggiornava sulle loro gesta. Dopo vent'anni ho rincontrato G per caso all'ospedale, eravamo entrambi in visita ai genitori. Credo che ora faccia il rappresentante; la somiglianza con John Belushi c'è ancora tutta, anche se è svanito lo sguardo truce di un tempo: un ex-punk quarantenne in piena forma, un po' stempiato, con la faccia simpatica e la battuta pronta. Molto più dignitoso di John Lydon.
Dead Kennedys - Too drunk to fuck
mp3

mercoledì 15 aprile 2009

Ti ricordi quando eri di plastica?

Manet - bevitore d'assenzio 1859
Dopo il chiromante, ecco un altro personaggio appartenente alla galleria di strambi fantastici che si potevano incontrare nel mio paese d'origine.
Wilkinson aveva un'età tra i 40 e i 50 anni, era basso di statura e corpulento, portava barba e capelli lunghi ma l'abbigliamento era sempre molto curato, con un tocco di classe dato dai cappelli a tesa larga che quasi sempre indossava. Abitava con la madre, non lavorava e tutti i giorni percorreva il marciapiede del corso principale facendo tappa metodicamente in tutti i bar a bere superalcolici. Un po' ci metteva soggezione, ma era diventato l'idolo di noi giovinastri perché i suoi numeri erano improvvisi ed esilaranti. Di giorno solitamente parlava poco, forse perché troppo impegnato nell'opera di autodistruzione etilica e se si rivolgeva a qualcuno, non lo faceva per dialogare, ma per esprimere un concetto o un ragionamento non sempre di facile interpretazione. Una frase ermetica diventata storica fu quella che pronunciò verso di me in dialetto una volta che lo incrociai sulla porta del bar: - Ti ricordi quando eri di plastica?
Un po' più pesante fu l'invettiva che un pomeriggio urlò rivolto al prete, vedendolo passare: - Le suore le abbiamo già cxxxxxxe tutte, adesso vogliamo inxxxxxxe i preti. Eravamo seduti all'esterno del bar e l'imbarazzo fu totale, ma tutti lo conoscevano e lo tolleravano, tanti lo avevano in simpatia. Con il passare degli anni la sua camminata si fece sempre più lenta e strascicata, il respiro affannoso; l'alcol lo stava debilitando e probabilmente fu proprio in quel periodo, quando fu obbligato a ridurre il suo consumo, che cominciò a soffrire di delirium tremens. Fu visto e sentito mentre urlava guardandosi attorno: - Wilkinson dove sei? Lo so che sei venuto a uccidermi. Chissà da quale incubo era uscito il suo uomo. Brutta bestia l'alcolismo.
Quando era ancora in forma ogni tanto lo si vedeva sfrecciare con il Cavalcone, il motore da cross che ben presto gli venne requisito. Finì anche nelle cronache locali perché un giorno salì senza essere visto su un furgone del latte, lo mise in moto e fuggì. Fu avvistato e inseguito dalla polizia sulla strada per Bologna. Vistosi raggiunto, accostò il furgone, scese e tentò la fuga nei campi. I poliziotti, una volta che l'ebbero catturato e identificato, capirono subito che non era un furto "normale" e quando gli chiesero il motivo del suo gesto, rispose che l'aveva fatto perché voleva andare al concerto di Patti Smith. Il giorno dopo sulla cronaca locale: "RUBA FURGONE DEL LATTE PER ANDARE AL CONCERTO DI PATTI SMITH".
Ci eravamo affezionati e la sua presenza accompagnava i nostri pomeriggi di studenti svogliati e le calde notti estive, quando si tirava tardi davanti al bar già chiuso. Spesso si affacciava e quando era in forma cominciavano discussioni surreali sui massimi sistemi. Quasi mai veniva preso in giro, perché in fondo lo sentivamo come uno di noi; noi che non volevamo integrarci e tentavamo di sfuggire alla vita monotona di provincia. Qualche stupido ogni tanto ci provava, ma Wilkinson aveva una specie di radar: con calma e compostezza, chiudeva gli scuroni e con un cordiale "buonanotte ragazzi" usciva di scena: un vero loser di classe. Una sera vedemmo del fumo uscire dalla finestra e poco dopo arrivarono i vigili del fuoco: Wilkinson aveva dato fuoco al letto. "E brusa ben parò" fu il suo secco commento in dialetto.
Se ne andò per sempre versò la metà degli anni '80. Amici di un gruppo rock locale composero e gli dedicarono una canzone. Chissà quale splendida poesia in musica avrebbe composto Faber se lo avesse conosciuto.

martedì 24 marzo 2009

L'erba delle streghe (datura stramonium)

In passato nella cerchia di amicizie e conoscenze, che principalmente avevano come punto di ritrovo due bar del centro, ce n'erano parecchi di personaggi strambi. Uno di essi era il chiromante, così soprannominato per le sue manie esoteriche. Non era un frequentatore assiduo, però tutti lo conoscevano, come è normale che sia in provincia. Era un buonissimo ragazzo, però ottusamente fissato con il mondo dell'occulto e tra le sue curiosità vi era quella piuttosto pericolosa di testare su se stesso e su eventuali volontari gli effetti di sostanze contigue a quel mondo come la datura stramonium. Conosciuta come erba delle streghe, questa pianta è nota per essere utilizzata nei rituali degli sciamani di molte tribù indiane, nonché in passato da druidi e da streghe. Sta di fatto che aveva imparato a riconoscerla e dopo averne raccolte le foglie o forse i semi ed estratto il principio attivo (l'atropina, un alcaloide velenoso e allucinogeno) una sera convinse alcuni ragazzi del bar ad andare a casa sua per berne un bicchierino sotto forma di distillato alcolico. Una specie di sesto senso o forse semplicemente la prudenza mi suggerirono di rifiutare. Avendolo frequentato anche da bambino e conoscendolo abbastanza bene, ero piuttosto sospettoso nei confronti di quella bottiglietta dall'aria innocua e, visto quel che accadde, feci molto bene.
Non so dire se le dosi fossero calcolate o se fu solo fortuna, ma per poco qualcuno non ci lasciò le penne! Per una settimana nel bar e in paese non si parlò d'altro. Tre furono i casi più eclatanti, roba da non credere. Un primo ragazzo fu trovato all'alba dal padre imbianchino in garage seduto sulla cappotta dell'auto in condizioni pietose: era nudo e tremante con il corpo coperto di pennellate di vernice. Il secondo fu ricoverato all'ospedale in preda ad allucinazioni e delirio dopo essere stato rincorso e fermato lungo l'argine del fiume mentre fuggiva da assassini inesistenti; fu sottoposto a lavanda gastrica e se la cavò in pochi giorni. Il terzo, noto fighetto e discotecaro di periferia, una sera si presentò al bar completamente fuori di testa per menare il chiromante. Sosteneva di essere stato ingannato, essendosi fatto convincere a bere un bicchierino di "liquore speciale" prima di andare a ballare. - Quando sono tornato a casa guardavo mia madre e vedevo un mostro con le antenne! - urlava furibondo. E noi incoscienti giù a ghignare: pareva una scena tratta da un fumetto di Pazienza. Dopo questi episodi il chiromante sparì dalla circolazione per diversi mesi: l'aveva fatta fuori dal vaso, lo sapeva benissimo e da allora diventò molto più solitario e sospettoso. Tentare di imitare Castaneda, lettura molto diffusa in quegli anni, aveva portato a conseguenze che per poco non sfociarono in una tragedia. Per fortuna finì tutto lì, ma ci sono tanti episodi e una galleria di personaggi incredibili che hanno popolato la mia vita di provincia e che ogni tanto mi diverte raccontare.