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lunedì 29 ottobre 2018

Album vissuti: Bruxelles, Londra, Amsterdam 1979 - Regatta de Blanc

Ero da poco iscritto all'università di Bologna quando nell'autunno del 1979, con i soldi della vendemmia, partii solitario per un viaggio nelle capitali nord europee. Bruxelles, Londra ed infine Amsterdam, dove mi ero messo in testa di cercare Sante, un amico partito diversi mesi prima e dato per disperso anche dalla famiglia. In un'epoca in cui i cellulari non esistevano neppure nei libri di fantascienza, ebbi una botta di culo notevole e per una serie di circostanze casuali riuscii a scovarlo: viveva in un ex-brefotrofio occupato più che altro da olandesi e tedeschi. Anch'io, dopo due notti passate in un ostello, decisi di trasferirmi lì e di prolungare il viaggio. 
Finiti i soldi e le gozzoviglie, riuscimmo a trovare lavoro in un ristorante di lusso sul Mare del Nord. E' rimasto indelebile il ricordo della radio olandese che quasi tutte le sere, mentre lavoravamo, trasmetteva Message in a bottle o Walking on the Moon. Io e Sante eravamo stati assunti in nero per stare in cucina insieme a due egiziani. Io mi occupavo dei piatti che i camerieri portavano dalla sala: li vuotavo, li sciacquavo e li mettevo nella lavastoviglie. La giornata lavorativa iniziava verso le 17: mangiavamo e quindi ci si metteva al lavoro. C'era un ottimo pasticcere e ogni sera potevo assaggiare diversi tipi di dolce che a volte i clienti del ristorante neppure sfioravano. Le serate libere spesso le passavamo dai nostri vicini di stanza, sempre forniti di cibo e birra: un tedesco e un inglese di nome Terry. Il tedesco era di poche parole, lo chiamavamo l'uomo di Neanderthal perché aveva i capelli lunghi, barba incolta e biondiccia, naso da pugile; prendeva le bottiglie di birra, toglieva il tappo con i denti e le scolava. Terry invece era un personaggio da film: scuro di pelle, tutto tatuato; era stato nella legione straniera e in giro per il mondo. Ogni sera ci raccontava storie incredibili ed anche se a prima vista sembrava un po' inquietante, ci aveva come adottato ed era sempre cordiale e protettivo nei nostri confronti. Entrambi lavoravano come muratori e Terry, per sottolineare la durezza del lavoro, ci ricordava spesso, battendo le nocche nel muro: "The wall is concreet", mentre il tedesco annuiva scimmiescamente in segno di approvazione. Ai primi di dicembre fummo licenziati senza preavviso e venimmo a sapere da un cameriere italiano che ci avevano sostituito con altri due egiziani: sicuramente avevano accettato il lavoro per una paga inferiore. Ormai era Natale e con grande sollievo dei miei genitori, ma gran dispiacere di Terry, decisi di tornare a casa; ritornò in Italia anche Sante, ma col tempo prendemmo strade molto diverse. Lo rividi raramente, si stava perdendo e rimasi gelato quando, alcuni anni dopo, venni a sapere che ci aveva tragicamente lasciato.

Anche se non sono stato un fan accanito dei Police, questo loro secondo album mi è rimasto nel cuore: oltre a piacermi ancora un sacco, mi commuove, perché ricorda l'amico col quale ho condiviso un periodo pazzesco della mia vita. Un disco dove Sting, Copeland e Summers, se proprio non inventano un genere, ci vanno molto vicini, creando un sound unico e impossibile da non riconoscere: un vero marchio di fabbrica. In certi ambienti veniva criticato e perfino sbeffeggiato (come ricordo di aver visto fare dai Damned dal vivo). In piena era post-punk appariva troppo leggero e commerciale. Io stesso preferivo i Joy Division che lo stesso anno (pochi mesi prima) erano usciti con Unknown Pleasure, ma come in tutti i dualismi che si rispettino, ombra e luce coesistono e si alternano a seconda dei periodi ed entrambi questi album sono nella lista di quelli che porterei sulla classica isola deserta.

giovedì 22 marzo 2018

Album vissuti: Hail to the Thief - Radiohead, 2003

All'inizio del 2003 c'era grande attesa per l'uscita di questo disco. Dopo le sperimentazioni di Kid A e Amnesiac circolava la notizia (oltre a svariati mp3 in rete) che i Radiohead fossero tornati alle atmosfere di OK Computer. Dopo aver resistito ad ogni tentazione, il giorno dell'uscita comprai l'album a scatola chiusa; cose che ormai non succedono più.
Non intendo fare la millesima recensione: dico semplicemente che questo disco è un capolavoro e che i Radiohead quindici anni fa ci hanno regalato qualcosa che non appartiene all'industria discografica e neanche in senso stretto alla musica. Appartiene alla bellezza, come tutte quelle cose a cui abbiamo dato il nome di arte. (Luca Valtorta)
Dopo un'ascolto ininterrotto di parecchie settimane, comprammo subito i biglietti per il concerto al Castello di Ferrara del 12 luglio 2003, l'anno del caldo pazzesco. I concerti sono strani: a volte hai grandi aspettative e poi, per qualche motivo, capita che resti deluso. Ricordo ancora lo sconforto quando nel '90 David Bowie, dopo poche canzoni, ebbe un calo di voce fino a restare quasi del tutto afono. Era l'ultima volta in cui cantava tutto il vecchio repertorio; un'incredibile occasione sfumata proprio mentre iniziava il divertimento. Quella sera invece la realtà superò ogni aspettativa: due ore di pura magia abbinata ad un livello tecnico ed esecutivo stratosferico. Brividi fin dall'inizio (con l'introduzione delle percussioni tribali di There There) al gran finale, con i bis di Sit Down Stand Up e Karma Police cantata in coro. Ne uscimmo spossati (il caldo era veramente terribile), ma entusiasti e carichi di emozioni che continuarono a riaffiorare anche nei giorni successivi.

martedì 13 marzo 2018

Album vissuti: R.E.M. - Out of Time


Nel marzo del 1991: usciva Out of time. Un anno e un disco speciali.

Dopo i primi terribili due mesi con la Guerra del Golfo e il mio ricovero in ospedale per seri problemi di salute, l'anno non si annunciava tra i più promettenti. L'attesa per la nascita di mio figlio, prevista in agosto, era l'unico pensiero positivo, anche se aleggiava una certo pessimismo per un mondo in guerra e per le mie condizioni poco rassicuranti. Dopo la Tempesta nel Deserto, il 28 febbraio la guerra si concluse e nelle settimane successive al ricovero, il mio corpo cominciò a reagire positivamente ad una cura da cavallo. In primavera il nostro stato d'animo era più sereno e la gioia per l'imminente evento sempre più palpabile. L'estate poi fu caldissima e passammo giugno e luglio al mare in totale relax. Lei stava benissimo: ho ancora il flash del suo pancione che esce dall'acqua mentre si fa cullare dalla corrente appena due giorni prima di partorire. La colonna sonora di quei momenti fu questo disco dei R.E.M. Ancora oggi se lo ascolto mi prende un filo di nostalgia, ma di quella positiva per un periodo indimenticabile: la guarigione, l'estate, il mare, la nascita di nostro figlio. Ovviamente non posso non citare Shiny Happy People, brano sintonizzato sulle nostre frequenze interiori che Michael Stipe cantò con la partecipazione di Kate Pierson dei B-52's. Nel video qui sotto la versione con i Muppets, la passione di mio figlio da piccolo. Certo pensando all'Italia incarognita di oggi, tutto può venire in mente tranne "Shiny happy people holding hands". Qualcuno ha scritto che il futuro non è più quello di una volta, tuttavia malgrado analisi e previsioni ci funestino quotidianamente, può riservare cose impreviste e non per forza sempre negative. Mantenere un minimo di positività e al tempo stesso abituarsi ad un una vita più sobria (non da intendere senza alcol), può essere la maniera per vivere meglio questo presente.

sabato 3 gennaio 2015

Horses: un ragazzo e una ragazza in un negozio dischi...

In quel tempo lontano si usava prendere i dischi e porgerli al negoziante confidando nella sua generosità, mossi anche dalla necessità di non buttare le poche lire a disposizione in qualcosa di cui pentirsi.

... lei ha un anno in più ed è cresciuta a Bruxelles dove ha potuto assistere al leggendario Station to Station Tour più altri concerti che l'Italia non la sfiorano neppure. Lui, assetato di musica, beve i suoi racconti e quelli del fratello.
La ragazza prende un album con la foto in bianco e nero di una donna magrissima con le bretelle, una camicia bianca e una giacca sulle spalle. Lo porge sorridendo al baffone che sta dietro al banco e dopo pochi secondi il vinile comincia a girare sul piatto: "Gesù è morto per i peccati di qualcun altro, non per i miei". Il giovane Lucien legge sulla copertina il titolo della prima canzone (Gloria) e una data (1975). Com'è possibile che negli ultimi due anni non abbia mai ascoltato Patti Smith? La galoppata di Gloria diventa frenetica e il tempo sembra sospeso. Il ricordo nitido è quello di un colpo di fulmine. Mai come quella volta i soldi sono stati spesi bene.
Qualche tempo dopo alla stadio Dall'Ara di Bologna arriverà un appuntamento imperdibile per entrambi.

Quest'anno Horses compirà quarant'anni: l'ultimo album protopunk o il primo album punk nella storia della musica? Forse entrambi o nessuno dei due, ma al di là della sua rilevanza storica, un disco ancora oggi di una bellezza struggente.
Buon compleanno per altri due grandi dischi usciti nel 1975 a cui sono particolarmente affezionato: Rimmel e Zuma.

Robert Mapplethorpe, autore della copertina di Horses

venerdì 1 agosto 2014

Album vissuti: Lucio Battisti - Anima Latina 1974

Giornalista: Perché sei sempre di moda?
Battisti: Perché me ne infischio delle mode.
(Tv Sorrisi e Canzoni, 3 dicembre 1978)


Avevo appena imparato a suonare la chitarra con il metodo che andava per la maggiore: chitarrista in 24 ore. Ovviamente la prima cosa che si imparava erano i tre accordi (LA-RE-MI) de La canzone del sole di Lucio Battisti. Tanti di noi, cresciuti nei primi anni '70, hanno respirato la sua musica per poi allontanarsene per svariati motivi; prima di tutto non faceva più figo ed era etichettata di destra, soprattutto in certi ambienti; inoltre all'epoca pochi capirono la portata e la complessità di un disco clamorosamente avanti sui tempi come Anima Latina
Avevo appena comprato la cassetta e ricordo che una sera, affascinato e al tempo stesso sbigottito per il radicale cambio di rotta, stavo ascoltando l'album nel mio mangianastri. Entrò mio padre incuriosito e attratto dalla voce inconfondibile. In casa avevamo quasi tutti i suoi 45 giri (ricordo anche svariate cassette di Fausto Papetti e l'indimenticabile Ho scritto t'amo sulla sabbia di Franco IV e Franco I).  

- Ma è Battisti questo? - 
- Sì, l'ultimo disco. 
- Ma che robaccia si è messo a fare?
Bocciatura istantanea. Se il ricordo non mi tradisce stavo ascoltando Il Salame

Di quell'album riuscii a suonare solo un paio di canzoni: Due Mondi e la title track grazie agli accordi rimediati sull'ultima pagina di un Ciao 2001. Col tempo poi, nel passaggio dall'adolescenza alla maggior età, Battisti non si suonava più; neanche in spiaggia davanti ai falò. Eravamo presi da Guccini, De André, Gaber: La Locomotiva, Il Bombarolo e La Libertà i nostri inni. A un certo punto io cominciai a scartare con De Gregori e Lolli; ancora due anni e il punk avrebbe fatto piazza pulita delle nostre chitarre acustiche e dei nostri credo. Tant'è che quando salii per la prima volta su un palco, lo feci suonando e cantando Psycho Killer.
Comunque mi ci vollero vent'anni per recuperare e comprendere a pieno quello che può essere considerato un capolavoro assoluto della musica italiana.
Scrive Roberto Blatto: ... un album che precede le migliori intuizioni di tutto il rock di quarant'anni a venire. Il tropicalismo "raffreddato", la navigazione ritmica a vista, le acustiche a fianco dei synth, il funk e i fiati solcati dalle percussioni. La voce registrata bassa, talvolta persino filtrata e schiacciata dai suoni per esplicito volere di Battisti stesso, che richiedeva all'ascoltatore un impegno e una partecipazione superiore. (da MyTunes - Come salvare il mondo una canzone alla volta, Baldini & Castoldi).
Ancora adesso è uno di quei pochi dischi degli anni settanta che un paio di volte all'anno sento il bisogno di ascoltare; senza derive nostalgiche, ma semplicemente per godere di qualcosa di bello ed irripetibile; magari per commuovermi immancabilmente al minuto quattro di Anima Latina, quando prende vita il coro che fa da apertura alla entusiasmante galoppata finale tirata da fiati e percussioni.
Quarant'anni portati alla grande: Anima Latina uscì nel dicembre del 1974.

lunedì 5 ottobre 2009

Conto uno, conto due

Giugno 2008. Da qualche tempo avevo in testa una ventina di storie personali legate alla musica. Un paio in verità le avevo già scritte e giacevano inutilizzate da mesi in un cartella. Nacque così l'idea del blog che all'inizio volevo intitolare Album vissuti. Mai avrei pensato ai bei contatti con tutti coloro che, passando da qui, mi hanno arricchito e stimolato ad andare oltre. Per questo motivo mi piace riproporre alcune di queste storie, scritte quando la teiera volante era appena nato.

ALBUM VISSUTI
David Bowie - Hunky Dory


Secondo anno delle superiori. Avevo già ascoltato qualcosa di David Bowie, ma il giorno in cui andai a casa di Capo (questo era il suo soprannome di cui ignoro le origini), feci una vera full immersion e lì sentii per la prima volta questo splendido disco che contiene capolavori come Life on Mars. Conobbi Capo il giorno in cui mio cugino, detto il Man (più grande di me di un paio d'anni), mi invitò a casa dell'amico dove stava andando a suonare. Io ero perplesso perché era risaputo che erano entrambi un po' sciroccati, però ebbe il sopravvento la curiosità di vedere che cosa riuscivano a combinare. Ricordo che in soggiorno c'era un pianoforte che Capo sapeva suonare da autodidatta, un buonissimo impianto stereo e tanti dischi tra cui tutti gli album, vari singoli, bootleg e spartiti di Bowie. Capo per tutto il pomeriggio suonò il pianoforte, ci mostrò e ci fece ascoltare diversi dischi e non fu difficile cogliere nei suoi atteggiamenti e nella sua enfasi un'insana e maniacale passione per il Duca Bianco. In seguito, incontrandolo altre volte e parlandoci, mi resi conto che la realtà che Capo viveva e percepiva era quasi sempre filtrata attraverso la musica e i testi di Bowie; con lui era molto difficile e complicato conversare di altri argomenti. Avevo la sensazione che vivesse una condizione di fragilità preoccupante. Nei mesi successivi non ci feci molto caso, ma non si fece più vedere in giro e un giorno chiesi al Man se ne sapeva qualcosa. Mi raccontò che era stato ricoverato in preda a crisi depressive e sentendosi un po' in colpa, mi spiegò che forse anche lui aveva contribuito a questa situazione. Con la sua tipica flemma (opposta alla costante febbrile eccitazione dell'amico), mi raccontò che Capo, non si sa in base a quali principi etici, aveva sempre sostenuto fermamente che una persona nella propria vita, una volta ottenuto un lavoro, doveva mantenerlo per sempre, altrimenti era da considerarsi un fallito. Come il Man appunto, additato di continuo come esempio negativo poiché aveva già cambiato più volte posto di lavoro. Ormai non si frequentavano quasi più, ma la morale che Capo si era imposto gli si ritorse contro, perché il Man al primo lavoro perso dell'ex-amico lo aspettò al varco e incontrandolo per strada gli urlò: "Conto uno!". Quando anche il secondo lavoro andò in fumo, fu la volta di "Conto due", parole che il Man gridava con regolarità implacabile ogni volta che si incrociavano, nel bar o lungo la strada. L'epilogo si ebbe quando il Man, consapevole di colpire nel segno, un giorno al termine di una discussione gli gridò: "Tanto si sa che ormai la musica di Bowie la fa Brian Eno al computer!" Capo, sicuramente non solo per questi motivi, andò fuori di testa. I suoi genitori si presentarono addirittura a casa del Man a fare una scenata, attribuendo a lui la colpa per la depressione del figlio e intimandogli di non tormentarlo più con le sue perfide frasi. Rividi Capo in circolazione dopo cinque-sei anni, visibilmente sedato ed ingrassato. Mi salutò e scambiammo qualche parola stentata: due ragazzi, quasi adulti in imbarazzo reciproco.
Il Man un giorno mi fece leggere alcuni suoi scritti stralunati (alla Syd Barrett): erano poesie e testi di canzoni dai titoli improbabili tipo Canto d'addio al cosmico Daniele. Uno mi colpì, perché il finale era divertente: narrava in versi un episodio vero riguardante questo suo amico sprovveduto che per un paio di anni, quando in paese arrivava l'autoscontro gestito da un omone obeso, si faceva assumere come lavorante, sperando di guadagnare qualche soldo. Finiva così: "...ma alla fine della settimana di lavoro il grasso padrone non gli dava dei soldi bensì gli dava del pazzo".

lunedì 10 novembre 2008

20 Album vissuti: 18° Brainticket - Cottonwoodhill 1971

Per chi come me all'inizio degli anni '70 era poco più che un bambino è sempre stato vivo il desiderio di recuperare i vuoti musicali causati dal tempo. Nel 1979 il mio amico Belgio (italiano liceale a Bruxelles) in estate tornò in Italia esaltato con questo vinile, oggi ormai introvabile, che ci propinò fino allo sfinimento. Ogni volta che tornava provavo sempre un po' d'invidia per le opportunità di cui lui poteva godere in quanto, da metà fino alla fine degli anni '70, in Italia gli artisti stranieri non misero più piede, mentre a Bruxelles tutti passavano. Ho ancora in mente il racconto del Station to Station World Tour di Bowie del 1976 a cui lui appena quindicenne potè assistere. A noi qua in Italia sembrava fantascienza.
Ma veniamo al disco che è, sia chiaro, una delle cose più radicali della storia della musica. Le indicazioni di copertina riportano: Advice: Dopo aver ascoltato Questo disco i tuoi amici non ti riconosceranno più. Warning: Ascoltare solo una volta al giorno. Il tuo cervello potrebbe danneggiarsi. Hallelujah records non si assume nessuna responsabilità.
Dopo aver letto la favolosa recensione di Supersoul su Debaser non posso che rendergli merito, (impossibile riuscire a descrivere meglio questo disco) e ringraziarlo per il consenso a pubblicarla.
"...Nel 1971 una banda di fricchettoni provenienti dai più svariati paesi europei si mette in testa di dare una lezione ai californiani su come si fa un disco sotto l'effetto dell'acido lisergico. Svizzeri, tedeschi, inglesi, forse qualche oriundo italiano (quelli non mancano mai) tra i magnifici sette dello Sballo Maggiore: Joël Vandroogenbroeck, organo, flauto e voce; Ron Bryer, chitarra; Werni Frohlich, basso; Cosimo Lampis, batteria; Wolfgang Paap, tabla; Dawn Muir, voce; Hellmuth Kolbe, potenziometri, generatore di suoni ed effetti sonori a manetta. Attenzione che questi sublimati nei primi due brani della facciata A cercheranno di confondervi le idee, non facendovi capire cosa tengono nascosto nel resto del disco. Così "Black Sand" e "Places of Light" vi potranno sembrare due belle proposte di sano prog rock condotte dall'organo hammond con qualche stranezza tanto per gradire, come la voce filtrata di Joel nel primo caso e la leggera venatura funky jazz del secondo, dove faremo l'incontro con la voce elettronicamente manipolata della sensuale Dawn Muir. Ok, adesso avete il biglietto pronto nella mano? Staccatelo ed entrate... attenzione alle vetrine che vanno subito in mille pezzi e alle auto della polizia che sfrecciano a sirene spiegate! Sentite questo groove funky della chitarra e dell'organo? Sarà ETERNO: non vi abbandonerà per il resto della prima facciata e per l'intera seconda. Avete appena utilizzato il vostro "Brainticket" diviso in Part 1 e Part 2. Aggrappatevi alle cuffie e ogni sorta di rumore quotidiano entrerà nella vostra testa: martelli pneumatici, gargarismi, sveglie impazzite, risate infernali, scrosci di pioggia acida, vetri frantumati, denti spazzolati, l'orgasmo psichedelico di Dawn che chiede di essere posseduta, treni che sferragliano sui binari di stazioni deserte, echi di una rivolta domata con le raffiche di mitragliatrice, la colata bollente di un impianto siderurgico, scimme urlatrici della foresta amazzonica, la nona di Beethoven, linee telegrafiche impazzite ..." Buon ascolto.

giovedì 4 settembre 2008

20 Album vissuti: 15° Lou Reed - Berlin 1973

Finalmente il 6 ottobre uscirà in dvd il film-concerto del Berlin Tour filmato dal regista e amico di Lou Reed Julian Schnabel (già regista de "Lo scafandro e la farfalla). L'album Berlin uscì nel 1973 dopo il successo commerciale di Trasformer che conteneva la celeberrima Walk on the wild side. "Feci quello che la gente si aspettava da me, come ho già detto volevo diventare celebre per poter essere il più grande stronzo in circolazione e sono riuscito anche a ispirare dei grossissimi stronzi, perché la mia merda è molto meglio dei diamanti degli altri". Così dichiarò Lou Reed in un'intervista a proposito di Transformer. Invece di proseguire la strada che l'aveva portato al successo, l'artista  newyorkese impose alla sua casa discografica un'opera difficile, cupa e disperata: Berlin. Il disco fu un fiasco totale sia di pubblico e in buona parte anche di critica e gettò Lou Reed nello sconforto, tant'è che non ripropose mai più le canzoni dal vivo tranne in un'occasione nel live Rock n Roll Animal, fino all'allestimento dello spettacolo che ha portato in tour lo scorso anno con un ensemble di 30 elementi che comprende la sua band, una sezione di archi e fiati ed un coro di bambini. Quando cominciai ad ascoltare il Lurido (così lo chiamavano affettuosamente io e i miei amici) rimasi affascinato dalle atmosfere e dall'intensità di questo concept album "dark" ambientato nella città divisa dal muro e ora non vedo l'ora di gustarmi il dvd visto che purtroppo mi è stato impossibile vedere lo spettacolo. Il film documenta le cinque serate al St. Anne Warehouse di Brooklin. Il ruolo di Caroline è interpretato dalla francese Emmanuelle Seigner.
www.berlinthefilm.com

mercoledì 27 agosto 2008

20 Album vissuti: 14° The The - Mind Bomb 1989

Dietro la sigla The The c'è sempre stato Matt Johnson, musicista e polistrumentista inglese che tra gli anni '80 e l'inizio dei '90 infilò tre dischi uno più bello dell'altro: Infected (1987), Mind Bomb (1989) e Dusk (1992). Questo disco è quello che preferisco forse anche per motivi nostalgici: è stato in assoluto l'ultimo vinile che ho comprato prima di passare definitivamente ai CD. Per la verità un lettore già l'avevo, ma in negozio avevano solo la versione in vinile e così per non aspettare... A questo disco collaborò Johnny Marr, ex chitarrista degli Smith, che in molti brani lascia il suo marchio con riff indimenticabili e interventi con l'armonica; in Kingdom of Rain c'è Sinead O'Connor al canto. Lo stile musicale di Johnson è piuttosto indefinibile, sicuramente originale e complesso, risente agli inizi della tipica matrice pop/dance anni '80 per poi evolversi e contaminarsi con il blues-rock, il folk ed echi funk. Questo è un album dall'impatto viscerale dove i brani si sviluppano come per metamorfosi, prendendo forma lentamente; durano infatti quasi tutti dai cinque minuti in su. I testi, quasi profetici, spaziano affrontando temi come le religioni, il capitalismo e l'incombente globalizzazione.
Che fine ha fatto The The? Nel 2000 ha rotto con la sua casa discografica, la Universal, decidendo di distribuire su internet l'album Nakedself, comunque non all'altezza dei precedenti. Sito: thethe.com
Track list
1. Good Morning Beautiful 07:31
2. Armageddon Days Are Here (Again) 05:40
3. The Violence of Truth 05:41
4. Kingdom of Rain 05:53
5. The Beat(en) Generation 03:06
6. August & September 05:46
7. Gravitate to Me 08:10
8. Beyond Love 04:19

video di Kingdom of Rain

lunedì 25 agosto 2008

20 Album vissuti: 13° Stateless - Stateless 2007

Per i patiti di musica come me il web 2.0 da qualche anno è diventato una fonte primaria di "nutrimento". Ma facciamo un passo indietro nella rete. Tutto partì alla fine 1999 con Napster: quando lo provai mi ricordo che passai dall'incredulità, all'entusiasmo e infine alla frustrazione (causa la lentezza dei download). Poi con l'arrivo della banda larga e il moltiplicarsi dei software peer to peer la bulimia musicale ha rischiato di prendere il sopravvento, per cui cominciai a darmi delle regole, prima fra tutte quella di continuare ad acquistare i cd meritevoli, magari cercando di non farmi salassare da prezzi improbabili. Il gioco più bello è ancora oggi andarsi a cercare le novità e le nuove uscite, ed ascoltarsele, tanto più che con siti come myspace, youtube o servizi eccezionali come lastfm è tutto più immediato e semplice. Non è facile però trovare cose nuove interessanti e originali, ovviamente secondo i miei gusti che spaziano un po' in tutti i generi. Una piacevole sorpresa sono stati questi Stateless, una band di Leeds all'esordio con il disco omonimo che ho scovato per caso proprio su lastfm e che mi ha colpito fin dal primo ascolto. Ovviamente nei negozi non si trovava e così lo scorso anno l'ho acquistato su e-bay con un po' di patema perché per arrivare dal Canada (l'offerta migliore) il CD ha impiegato 40 giorni. A mio avviso è uno degli album più belli usciti nel 2007. Nel loro sito myspace è possibile ascoltare in streaming alcuni dei brani che compongono l'album (c'è anche un nuovo singolo che però non è un granchè). Lo stile degli Stateless si può ricondurre al filone trip-hop ma con un anima più soul e malinconica; è un disco autunnale con melodie che toccano corde profonde grazie alla gran voce di Chris James e agli arrangiamenti che dosano sapientemente elettronica, pianoforte, archi e batterie molto elaborate mai banali, spesso in contro ritmo. Dieci canzoni in grado di andare oltre la pochezza di tanta musica pop attualmente prodotta e di suscitare emozioni.
Qui sotto Down here. Molto belli sia la canzone che il video.

giovedì 21 agosto 2008

20 Album vissuti: 12° Fabrizio De André - Non al denaro non all'amore né al cielo 1971

Agosto 1978: dopo l'esame di maturità e una snervante attesa per ottenere i passaporti si parte per la Spagna con la Prinz di G. L’unico problema logistico consisteva nel fatto che eravamo in sei: cinque ragazzi e una ragazza. La soluzione fu molto semplice quanto impegnativa: a parte G, proprietario dell’auto nonchè unico guidatore autorizzato, tutti gli altri, a turno e a coppie, avrebbero viaggiato in autostop raggiungendo la stazione della città decisa come punto di ritrovo. Il quinto album di Fabrizio De André fu la colonna sonora principale di quel viaggio, che ci portò a vagabondare da Figueras, città natale di Salvador Dalì, fino a Barcellona e poi sulla costa atlantica a San Sebastian e nei paesi baschi in una Spagna da poco uscita dalla dittatura di Franco che cominciava a gustare il sapore della libertà. Liberamente tratto dall'antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, è uno degli album di Fabrizio che preferisco: un'opera geniale e poetica che ogni tanto amo riascoltare e suonare. Di questo disco nel 2005 è uscita una interessante versione riarrangiata e cantata da Morgan che ha voluto rendere omaggio ad un grande con l'approvazione di Dori Ghezzi. Il viaggio andò bene, non ci perdemmo mai e tutti gli appuntamenti furono rispettati, con il solo inconveniente che chi viaggiava in auto doveva sempre aspettare la coppia che viaggiava in autostop, a volte anche una mezza giornata. Al ritorno si offrirono in due (ragazzo e ragazza) di fare in autostop tutto il viaggio fino a casa. Ebbero un colpo di fortuna incredibile: ci raccontarono che poco dopo esserci salutati si fermò per dare loro un passaggio un tedesco con una Mercedes che non solo doveva andare in Italia, ma era diretto a Rimini e praticamente era obbligato a passare dalle nostre parti. Quando noi con la Prinz arrivammo a casa stanchi dopo non so quante ore di viaggio, loro avevano già passato la notte a casa e ci aspettavano freschi e riposati davanti al bar.

martedì 5 agosto 2008

20 Album vissuti: 10° A Certain Ratio - To each 1981

Nell'autunno 1981 dopo pochi mesi passati insulsamente nel servizio di leva riuscii ad ottenere della convalescenza e quando tornai a casa scoprii che alcuni amici avevano appena dato vita ai Reverse; serviva un bassista e io, pur essendo chitarrista, mi adattai con un certo entusiasmo. In quel periodo, insieme ai Talking Heads, ascoltavo soprattutto questo disco degli A Certain Ratio e altri gruppi post-punk tipo Pop Group che cominciavano a contaminarsi con sonorità black & dance (con linee di basso palpitanti che mi entusiasmavano) e con l'elettronica. A Certain Ratio facevano parte della mitica Factory di Manchester che aveva già prodotto band di culto come i Joy Division. Le loro intuizioni musicali hanno indubbiamente aperto la strada a gruppi come i Massive Attack e i Portishhead.
Allestimmo una sala prove in una casa di campagna e dopo qualche mese avevamo preparato un decina di brani completamente nostri. Grazie alle capacità diplomatiche di
Paolo ottenemmo il nostro primo vero ingaggio a pagamento alla discoteca Tino di Massa Lombarda in una serata in cui suonammo insieme ad un altro gruppo. Malgrado diversi limiti tecnici non andò male e cominciammo a prenderci gusto, supportati dall'entusiasmo di amici e conoscenti. Le date cominciarono a susseguirsi: soprattutto feste dell'unità (fra cui anche Bologna), ma anche locali alternativi allora molto in voga come lo Slego di Rimini e rassegne musicali. A Ravenna suonammo con gli allora sconosciuti Litfiba, pure loro alle prime armi. Comiciarono ad entrare nelle casse anche discreti compensi con i quali acquistammo i primi gingilli elettronici tipo bass-line e batteria elettronica; si cominciava anche a parlare di sala d'incisione. Poi un sera come tante andammo alla sala prove e trovammo la porta sfondata: ci avevano rubato tutto: due milioni di lire di strumentazione, fra cui anche un quattro piste che ci avevano prestato. Sconforto generale e ali tarpate. Ci fu una specie di sciogliete le righe, non era facile continuare. Io e il batterista mollammo, mentre gli altri continuarono dopo essersi riorganizzati con un nuovo bassista e una nuova cantante, che in seguito sostituì Paolo, anche lui in fuoriuscita causa divergenze. Con questa nuova formazione nel 1986 i Reverse riuscirono anche ad incidere un vinile per un'etichetta indipendente con altri tre gruppi (Genitals, Kriminal Tango, Santandrea) dal titolo Cover. Della formazione originaria era rimasto solo Francesco, il chitarrista. L'avventura terminò l'anno successivo.
Reverse: foto interno disco










Reverse: Live 1982 (io al basso)





















sabato 26 luglio 2008

20 Album vissuti: 9° Patti Smith Group - Easter 1978

Per proiettare questo disco nell'empireo del rock bastano tre canzoni:
1) Because the night, scritta con Springsteen; non ha bisogno di commenti, dopo tanti anni basta riascoltarla per emozionarsi.
2) Rock n roll nigger, pura energia e incazzatura rock.
3) We three, ballatona da brividi accompagnata da un piano perfetto. Tutto il resto del disco è sullo stesso livello, o quasi.
Il mio primo vero concerto: Patti Smith allo stadio di Bologna, settembre 1979. Nel sito del fotografo
Enrico Scuro sono pubblicate bellissime foto in bianco e nero di quell'evento. Per quattro anni, dal 1975 al 1979, gli artisti stranieri avevano evitato l'Italia come la peste, a causa del disastro accaduto a Roma in occasione del concerto di Lou Reed, dove gli scontri tra la polizia e manifestanti, che volevano entrare gratis, provocarono diversi feriti schiacciati dal fuggi fuggi e dalla calca che si creò all'interno del palazzetto al cui interno era volato di tutto, perfino lacrimogeni e bottiglie molotov. Patti Smith fu un evento e rappresentò un nuovo inizio per i concerti in Italia. Ho un ricordo molto confuso delle sensazioni provate e dell'atmosfera; di certo ero emozionato e più o meno andò tutto bene; ero anche in dolce compagnia! Di lì a poco arrivarono i Clash e tutti gli altri.
Ecco
in ordine cronologico, a partire dal più recente, i cinque concerti più belli in assoluto che ho visto:
1) Massive Attack - Ravenna 2008
2) Radiohead - Ferrara 2003

3) Pink Floyd - Modena 1994

4) Bauhaus - Punto a Capo Bologna 1982

5) Talking Heads - Bologna 1981

giovedì 17 luglio 2008

20 Album vissuti: 7° The Stranglers - The Raven 1979

Nell'Ottobre del 1979 partii solitario per una specie di viaggio di formazione attraverso il Nord Europa: Bruxelles, Londra, Amsterdam, la città dopo rimasi più a lungo. Fu a Londra che con gli ultimi risparmi guadagnati con la vendemmia acquistai, tra gli altri, questo splendido disco - ahimè ora disperso - in edizione limitata con la copertina tridimensionale. L'ispirazione, come si può intuire dal corvo in primo piano, è decisamente dark. L'originalità degli Stranglers fu però nella capacità di discostarsi da altri gruppi post punk del periodo inserendo costantemente nei brani tastiere dal sapore quasi doorsiano unite a tappeti sonori elettronici che a volte emergono dal sottofondo in primo piano fino a sovrastare gli altri strumenti, come accade ad esempio nella splendida title track. Un disco oscuro e minaccioso, dal fascino ambiguo che raggiunge livelli che il gruppo successivamente non sarà neanche in grado di avvicinare. Dopo una breve permanenza a Londra, mi apprestavo soddisfatto a concludere il mio viaggio con il borsone pieno più di dischi che di vestiti, avendo deciso di passare qualche giorno ad Amsterdam. Viste le finanze limitate alloggiai in un albergo molto economico vicino al quartiere a luci rosse in una stanza doppia condivisa con un francese. La prima sera andai al Melkweg, famoso locale della città; ero entusiasta perché avevo visto la locandina che pubblicizzava un concerto dei Gong. Della vecchia formazione però erano rimasto solo il batterista, Pierre Moerlen; ormai suonavano un jazz-rock sì dignitoso, ma assai distante dal loro sound originario. La vera sorpresa fu all'uscita perché incontrai Sante, un ragazzo italiano delle mie parti che conoscevo; lo stupore fu di entrambi, ma mentre io mi consideravo di passaggio lui stava già ad Amsterdam da quasi un mese: viveva in un un ex brefotrofio abbandonato che squatters olandesi e tedeschi avevano occupato ed arredato per viverci. Aveva una stanza in società con un tedesco e mi invitò a stabilirmi da loro. Il giorno seguente mi trasferii con le mie cose dall'albergo ad una nuova stanza libera che mi era stata assegnata. Mi restavano pochi fiorini con i quali sarei stato autosufficiente ancora per poco e così il giorno dopo feci la mia fila alla stazione di polizia olandese per ottenere un permesso di soggiorno con cui avrei potuto cercare lavoro in una delle tante agenzie. La sera stessa Sante mi portò alla sede degli Hare Krishna, non perché fosse un loro seguace, ma perché dopo aver assistito a tutta la cerimonia si era ricompensati con una buona cena, seppur vegetariana: era uno dei tanti stratagemmi da lui utilizzati per riempirsi la pancia senza lavorare. Nei giorni successivi però cominciai a scoraggiarmi, la vita precaria alla freak brothers non faceva per me e avevo già deciso di telefonare ai miei genitori per farmi mandare i soldi del biglietto di ritorno, quando un pomeriggio, all'interno di un'agenzia, fummo contattati in modo un po' losco da un signore di mezza età, che ci chiese sottovoce se eravamo in cerca di lavoro. Ci spiegò che ci avrebbero pagato in nero se avessimo accettato di lavorare come inservienti in un ristorante. Accettammo al volo e il giorno dopo eravamo già al lavoro come lavapiatti nella grande cucina di un ristorante di lusso sul Mare del Nord... segue

mercoledì 16 luglio 2008

20 Album vissuti: 6° Gaznevada - Sick Soundtrack 1980

Frequentavo l'università a Bologna e nell'inverno del '79 uscendo una sera dal mio appartamento di via Sant'Isaia per andare a fare un giro in centro, scoprii per caso il Punkreas, un locale ricavato in una cantina. Entrai e in apparenza pareva una delle tante tipiche osterie di Bologna, ma mi sbagliavo. Dopo pochi minuti il locale underground cominciò a riempirsi di ragazzi e ragazze che dall'aspetto non parevano i tipici frequentatori di osterie. Quella sera si esibivano i Gaznevada, gruppo bolognese a me sconosciuto probabilmente ad una delle prime uscite di una certa importanza. Suonarono brani dei Ramones ma anche pezzi loro e, malgrado emergessero alcuni limiti tecnici, si intuiva che stava nascendo qualcosa di nuovo partorito dalla Bologna del '77 di Radio Alice, del movimento e della cultura alternativa, ora già post-punk e avviata verso territori comunicativi inesplorati che avrebbero portato alla luce personaggi geniali come Andrea Pazienza e Scozzari e che aveva già fatto emergere un gruppo cult come gli Skiantos. L'anno dopo comprai il loro primo L.P. "Sick Soundtrack" e constatai che i ragazzi erano non poco migliorati. Abbandonati gli esordi in stile Ramones, i Gaznevada partorirono qualcosa di originale per il panorama ammuffito della musica italiana di quegli anni. Crearono una nuova prospettiva musicale..." Erano i figli del post punk americano e furono bravissimi, autentici surfisti dell'immaginario a prendere l'onda buona della new wave adattandola alla fantasia nostrana che rifletteva nell'universo rock la parte creativa del movimento bolognese del '77. "Sick Soundtrack", primo LP dei Gaznevada, era un ingorgo stupefacente di intuizioni fra Devo e Contortions ('Going Underground'), Talking Heads (Oil Tubes), no wave newyorkese, psichedelia..." (Flavio Brighenti).
Nel giro di pochi anni furono fagocitati e integrati dal business musicale e probabilmente anche rammolliti dall'eroina. Comparvero alcune volte in TV intristiti in stile dance-music anni '80, specie dopo l'uscita del singolo I.C. love affair (rispetto alle schifezze successive non era neanche male), che nel 1982 era ballato in tutte le piste.
Japanese girl.mp3

martedì 8 luglio 2008

20 Album vissuti: 5° Hunky Dory - David Bowie 1971


Secondo anno delle superiori. Avevo già ascoltato qualcosa di David Bowie, ma il giorno in cui andai a casa di Capo (questo era il suo soprannome di cui ignoro le origini), feci una vera full immersion e lì sentii per la prima volta questo splendido disco che contiene capolavori come Life on Mars. Conobbi Capo il giorno in cui mio cugino, detto il Man (più grande di me di un paio d'anni), mi invitò a casa dell'amico dove stava andando a suonare, sapendo che anch'io strimpellavo. Io ero perplesso, perché era risaputo che entrambi erano un po' sciroccati, però ebbe il sopravvento la curiosità di vedere che cosa riuscivano a combinare. Ricordo che in soggiorno c'era un pianoforte che Capo sapeva suonare da autodidatta, un buonissimo impianto stereo e tanti dischi tra cui tutti gli album, vari singoli, bootleg e spartiti di Bowie. Capo per tutto il pomeriggio suonò il pianoforte, ci mostrò e ci fece ascoltare diversi dischi e non fu difficile cogliere nei suoi atteggiamenti e nella sua enfasi un'insana e maniacale passione per il Duca Bianco. In seguito, incontrandolo altre volte e parlandoci, mi resi conto che la realtà che Capo viveva e percepiva era quasi sempre filtrata attraverso la musica e i testi di Bowie; con lui era molto difficile e complicato conversare di altri argomenti. Avevo la sensazione che vivesse una condizione di fragilità preoccupante. Nei mesi successivi non ci feci molto caso, ma non si fece più vedere in giro e un giorno chiesi al Man se ne sapeva qualcosa. Mi raccontò che era stato ricoverato in preda a crisi depressive e sentendosi un po' in colpa, mi spiegò che forse anche lui aveva contribuito a questa situazione. Con la sua tipica flemma (opposta alla costante febbrile eccitazione dell'amico), mi raccontò che Capo, non si sa in base a quali principi etici, aveva sempre sostenuto fermamente che una persona nella propria vita, una volta ottenuto un lavoro, doveva mantenerlo per sempre, altrimenti era da considerarsi un fallito. Come il Man appunto, additato di continuo come esempio negativo poiché aveva già cambiato più volte posto di lavoro. Ormai non si frequentavano quasi più, ma la morale che Capo si era imposto gli si ritorse contro, perché il Man al primo lavoro perso dell'ex-amico lo aspettò al varco e incontrandolo per strada gli urlò: "Conto uno!". Quando anche il secondo lavoro andò in fumo, fu la volta di "Conto due", parole che il Man gridava con regolarità implacabile ogni volta che si incrociavano, nel bar o lungo la strada. L'epilogo si ebbe quando il Man, consapevole di colpire nel segno, un giorno al termine di una discussione gli gridò: "Tanto si sa che ormai la musica di Bowie la fa Brian Eno al computer!" Capo, sicuramente non solo per questi motivi, andò fuori di testa. I suoi genitori si presentarono addirittura a casa del Man a fare una scenata, attribuendo a lui la colpa per la depressione del figlio e intimandogli di non tormentarlo più con le sue perfide frasi. Rividi Capo in circolazione dopo cinque-sei anni, visibilmente sedato ed ingrassato; si sapeva che era stato in un istituto di cura. Mi salutò e scambiammo qualche parola stentata: due ragazzi, quasi adulti in imbarazzo reciproco. Provai pena per questo abruzzese fuori di testa, incompreso dai genitori molto anziani.
Il Man un giorno mi fece leggere alcuni suoi scritti stralunati (alla Syd Barrett): erano poesie e testi di canzoni dai titoli improbabili tipo Canto d'addio al cosmico Daniele. Uno mi colpì, perché il finale era divertente: narrava in versi un episodio vero riguardante questo suo amico sprovveduto che per un paio di anni, quando in paese arrivava l'autoscontro gestito da un omone obeso, si faceva assumere come lavorante, sperando di guadagnare qualche soldo. Finiva così: "...ma alla fine della settimana di lavoro il grasso padrone non gli dava dei soldi bensì gli dava del pazzo".

lunedì 7 luglio 2008

20 Album vissuti: 4° Talking Heads - Remain in light 1980

Una folgorazione. Questo disco per me fu veramente un'autentica rivelazione, una visione del futuro e di come sarebbe cambiata la musica nei decenni a venire. Ancora oggi riascoltandolo non teme in nessuna maniera il peso degli anni passati. Un album di luce (la prima facciata) e di oscurità (la seconda). Un connubio musicale che ha unito il genio di David Byrne con l'esperienza di Brian Eno in un'alchimia di funk, percussioni tribali, elettronica, rock con in più la chitarra furiosa di Adrian Below e l'inconfondibile basso di Tina Weymouth. Ascoltando soprattutto la prima parte viene una gran voglia di muoversi, impossibile resistere. Infatti "Crosseyed and Painless" diventò quasi una hit da discoteca alternative. Io quel genere di musica desideravo anche suonarla, per lo meno qualcosa che si potesse idealmente avvicinare; era un impulso irrefrenabile. Da qualche anno avevo abbandonato la chitarra acustica per maneggiare quella elettrica. Avevamo formato il nostro primo gruppo, il cui nome era impensabile potesse comparire scritto o stampato senza rischiare seriamente l'apologia di reato: avevamo infatti deciso di chiamarci "Aldo Morto e le B.R.". Visto col senno degli anni, non è per niente divertente, però la nostra testa allora funzionava così. Almeno avemmo l'accortezza, le poche volte che ci chiamarono a suonare in pubblico, di non svelare il vero nome; quando ce lo chiedevano rispondevamo ridendo sotto i baffi "Tua sorella"! E così con quel nome fasullo riuscimmo a partecipare nel 1980 ad un paio di concerti con altri gruppi. Durante le nostre prove mettemmo a punto due cover: "Psyco Killer" dei Talking Heads (in cui io cantavo e ci veniva discretamente) e "Socialist" dei P.I.L. di John Lydon, ex Johnny Rotten dei Sex Pistols. In questo brano, che in effetti si presta molto, davamo sfogo a tutta la nostra esuberanza e voglia di caos, creando un improbabile intreccio di suoni stridenti tra chitarre e synt; la durata del brano era imprecisata. Il gruppo durò pochi mesi, ma la new wave ormai ci aveva contagiato e presto sarebbero nati i Reverse. Era un periodo di incredibile energia, vitalità e confusione; dopo il boom del concerto di Patti Smith del 1979, l'anno dopo in Emilia Romagna iniziò la stagione dei concerti: a distanza di pochi mesi ne vidi 6 fantastici: Talking Heads e Devo al palasport di Bologna, Bauhaus e A Certain Ratio al Punto a Capo, Killing Joke non ricordo dove, Siouxie and the Banshees all'Aleph di Gabicce Mare.

mercoledì 2 luglio 2008

20 Album: 3° Frank Zappa - Overnite sensation 1973

Radio Graal fu una delle tante radio cosiddette libere che, dalla metà degli anni '70, erano spuntate come funghi in tutta Italia. La radio era stata allestita con materiale di fortuna, prima occupando una sede di proprietà comunale, poi si trasferì all'interno di un capannone. La potenza di trasmissione era blanda e copriva solo alcuni comuni della Romagna. Pochi ormai se la ricordano, in rete purtroppo non si trovano tracce di quell'esperienza, magari raccontate da persone che parteciparono fin dagli esordi. L'iniziativa era partita da un gruppo eterogeneo di personaggi che comprendeva: attivisti politici della sinistra extra-parlamentare, fricchettoni storici, anarchici e cani sciolti. Iniziai a frequentarla con un certa soggezione, poichè c'erano persone anche di quindici anni più vecchie di me, coltivando il sogno di poter trasmettere. Ai suoi esordi la radio godeva di un minimo di organizzazione e i programmi avevano una certa regolarità, ma col passare del tempo la situazione era andata degenerando.
La mia frequentazione corrispose più o meno al periodo finale, in cui molti dei fondatori iniziali avevano mollato l'iniziativa. Cominciarono a sparire i dischi e la radio diventò sempre più meta di sbandati o comunque persone disinteressate alle trasmissioni. Io mi sentivo impotente di fronte a tale situazione ed era spiacevole vedere una simile opportunità sfumare inesorabilmente: Radio Graal tutto sommato era stata nel suo piccolo una spina nel fianco del potere, una voce originale, provocatoria e alternativa. Nel periodo delle contestazioni all'università di Bologna si era mantenuta in contatto con il movimento, trasmettendo notizie ed informazioni di prima mano. Non subì la stessa sorte di Radio Alice che ebbe l'onore di cadere sul campo in seguito alla rivolta dopo l'assassinio di Lorusso (11/03/77), ma chiuse per esaurimento mi pare un paio di anni dopo. Riuscii comunque a trasmettere. Diversi pomeriggi alla settimana c'erano spazi liberi e allora mi costrui un mio programma in cui leggevo poesie di Rimbaud, spezzoni dei "Canti di Maldoror" e racconti di Edgar Allan Poe intervallati dalla musica che preferivo. Mi ricordo che a scuola e al bar avvisavo i miei compagni e miei amici su quando avrei trasmesso per avere un minimo di audience che stimolasse il mio ego.
E veniamo al disco. Spulciare tra le centinaia di L.P. presenti in radio (quando ancora non avevano cominciato a sparire) era come entrare in una realtà parallela fatta di disegni, testi, nomi, copertine fantastiche. Qui ho scoperto gruppi come Gong, Genesis, King Crimson e Frank Zappa. Quest'ultimo risultava un po' ostico per le mie orecchie ancora acerbe, fino a quando ad una festa della Radio qualcuno non fece girare sul piatto "Overnite Sensation" e finalmente, grazie a questo album, apprezzai il genio di un chitarrista che fino ad allora avevo considerato con superficialità un personaggio bizzarro e musicalmente troppo complicato. Ascoltare ancora oggi brani come "Zombie Woof" e "I'm the slime" è uno spasso. Ci ha lasciato troppo presto e ci manca.