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giovedì 2 febbraio 2017

Hell or High Water

Qualunque cosa accada oppure A tutti i costi è un film d'altri tempi (inteso positivamente).
Film di rapine e di fuga con Jeff Bridges ancora una volta in un'interpretazione memorabile a supporto di due convincenti protagonisti: Chris Pine e Ben Foster. Storia di sopravvivenza di due fratelli che decidono di sanare i loro debiti a suon di rapine tra le soffocanti praterie del Texas più rurale.
David Mackenzie racconta una frontiera sempre più desolata, dove le banche approfittano della crisi razziando i terreni di agricoltori e allevatori. Una commistione felicemente riuscita tra western moderno, road movie e Buddy film. Il livello è alto. Il tutto impreziosito dalla colonna sonora di Nick Cave e Warren Ellis. Tanto per cambiare, un altro ottimo film senza distribuzione in Italia, nonostante la candidatura all'Oscar. Per ora solo su Netflix.





LEGENDA VOTI
@ una cagata pazzesca
@½ pessimo
@@ trascurabile
@@½ passabile
@@@ buono
@@@½ da vedere
@@@@ da non perdere
@@@@½ cult
@@@@@ capolavoro

venerdì 13 gennaio 2017

S is for Stanley

Una sera di dicembre del 1970 su Londra infuria una tempesta di neve ed Emilio D'Alessandro, che lavora come autista per una piccola società, viene chiamato per una consegna urgente. Viste le condizioni meteo si sono tutti rifiutati. Quando arriva al magazzino gli viene consegnata l'enorme scultura di un fallo con la destinazione Hawk Films. Stanno per iniziare una collaborazione ed una grande amicizia che sarebbero durate trent'anni. Il giorno dopo Emilio viene convocato agli studi dove stanno girando Arancia Meccanica. Una segretaria gli chiede se sa per chi ha lavorato: Kubrick lo vuole incontrare per chiedergli se vuole diventare il suo autista. Emilio era emigrato nel 1960 per sfuggire alla leva e dopo svariati lavori si è fatto una vita a Londra; una grande passione per le corse e le auto. Da quel giorno la sua vita cambia radicalmente, perché non si limiterà a fare l'autista, ma diventerà l'assistente e il tuttofare di uno dei più grandi registi di tutti i tempi

Il racconto dell'uomo, oggi 75enne, è fluente e ricco di aneddoti, come quando conosce Jack Nicholson e Kubrick domanda se gli piace; lui risponde: - è ok, sì, ma perché non prendi Charles Bronson? In realtà lo detesta, perché come racconta senza peli sulla lingua, Jack Nicholson sniffava in continuazione e fermava le donne per strada mentre erano in auto.
Alex Infascelli, regista di questo prezioso documentario, lascia quasi sempre a lui la parola con pochi interventi fuori campo. Emerge la quotidianità del rapporto tra i due che diventa sempre più intimo; la precisione e la meticolosità di Emilio, sono di certo le doti che avevano conquistato Stanley Kubrick, noto per il suo perfezionismo. Sicuramente anche la sua pazienza e la disponibilità totale, visto che a un certo punto viene installata a casa sua una linea telefonica dedicata solo al regista, nonostante le proteste della moglie. 

Oltre ai documenti e alle foto mai viste, è incredibile il numero biglietti, scritti a mano o a macchina, firmati sempre S, lasciati dal regista al suo collaboratore fidato con svariate richieste: da quelle ordinarie a quelle più assurde, come quando gli chiede di trovare un quantitativo impossibile di candele per coprire il lunghissimo periodo delle riprese di Barry Lyndon. La narrazione diventa commovente quando Emilio racconta del loro addio, per poi ritrovarsi qualche anno dopo l'ultima volta per le riprese di Eyes Wide Shut, dove il regista omaggia l'amico con un cameo. 
Dopo la morte del regista Emilio, torna definitivamente a Cassino dove finalmente si decide a vedere tutti i film del maestro. All'epoca non aveva tempo e li trovava troppo lunghi. Solo a quel punto si rende pienamente conto della genialità di un uomo con cui ha avuto un rapporto privilegiato.

Premiato col David di Donatello, questo di Alex Infascelli è gran bel documentario con le musiche originali di John Cummings (ex chitarrista dei Mogwai). Da non perdere. Purtroppo ha avuto una presenza lampo al cinema come evento speciale a fine maggio 2016. I meriti a Sky Arte per averlo trasmesso qualche sera fa. Un tassello importante per approfondire la personalità di un genio: il regista fra tutti quelli che ci hanno lasciato di cui sento veramente la mancanza. Quando usciva un suo film, anche dopo attese di anni, è stato sempre un momento indelebile. Come una cerimonia che portava ad un appagamento per gli occhi e per la mente. Peccato aver potuto vivere solo tre volte queste emozioni. Pochissimi altri al cinema sono mai più riusciti a trasmettermi qualcosa di simile.

Ha voluto portarci in posti che non avremmo mai immaginato, così li ha immaginati lui per noi. Spielberg

voto

Kubrick con Emilio D'Alessandro


Alex Infascelli con Emilio D'Alessandro




martedì 10 gennaio 2017

Paterson - una pagina non scritta è sempre un buon inizio

Raccontava De André in un'intervista:
Benedetto Croce diceva che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest'età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora, io mi sono rifugiato prudentemente nella canzone che, in quanto forma d'arte mista, mi consente scappatoie non indifferenti, là dove manca l'esuberanza creativa.


Paterson (Adam Driver) fa l'autista di autobus nell'omonima città del New Jersey e nei momenti liberi scrive poesie sul suo taccuino: una sorta di ribellione silenziosa alla frenesia quotidiana.
Le poesie di Paterson non sembrano un granché, però è tutt'altro che un cretino e risulta anche simpatico con il suo candore, ma anche il coraggio e la dignità. La sua compagna, al contrario, l'ho trovata irritante. Dopo una settimana di convivenza, io sarei fuggito.

La realtà diminuita, come qualcuno l'ha definita.
Ok, la poetica del quotidiano; mi sta bene il non essere proni alla tecnologia, togliere le cuffiette e ritornare ad ascoltare le persone (cosa a cui non ho mai rinunciato), ma ciò che in realtà emerge veramente su tutto sono i (pochi) dialoghi: quelli tipici di Jarmush. Sono loro per fortuna a ravvivare la routine abbastanza noiosa illustrata in questa sua ultima storia, racchiusa nell'arco di una settimana, fino al sublime incontro finale del protagonista con un turista giapponese, che mi fa propendere per una sufficienza piena, anche se il minimalismo del regista qui diventa radicale e al limite del manieristico. I suoi film più belli sono lontani in altri pianeti. E' stata comunque una discreta alternativa alla solita epidemia di boiate natalizie.




LEGENDA VOTI

@ una cagata pazzesca
@½ pessimo
@@ trascurabile
@@½ passabile
@@@ buono
@@@½ da vedere
@@@@ da non perdere
@@@@½ cult
@@@@@ capolavoro

martedì 27 dicembre 2016

2016 up & down - cinema

Mi divertono le classifiche di fine anno. Mi piace stilarle, ma anche leggerle perché danno la possibilità durante le vacanze natalizie di recuperare film e album persi per distrazione o per mille altri motivi. Per il cinema un anno così così: molto meglio il 2015.
Nella sidebar trovate tutti i film visti sulla teiera con relativi voti da @ a @@@@@. Qui sotto una selezione.

IL MEGLIO













Come ha scritto l'Alligatore: Frantz è un film fortemente pacifista, senti la stupidità della guerra. Girato in un bianco e nero magistrale, dopo il mezzo passo falso di Una nuova amica, segna il ritorno di François Ozon ai grandi temi.























Houda Benyamina, regista francese di origini marocchine è stata premiata con la Camera d’Or per la migliore opera prima a Cannes. Inspiegabilmente senza distribuzione nelle sale in Italia (è stato acquistato e trasmesso da Netflix). Il film è ambientato nel periodo delle rivolte studentesche e delle banlieue nel 2005 in Francia; racconta la storia di due amiche, in particolare Dounia che vive in un ghetto alla periferia di Parigi e cerca di uscire in tutti i modi (soprattutto illeciti) dalle condizioni di degrado che la circondano. Un'opera fresca e vitale con qualche ingenuità perdonabile.





















Quest'anno in vetta tutti film francesi, compreso questo uscito a marzo. Non so se è un caso, comunque recuperate questo gioiellino. Paradossale e stralunato, con una sceneggiatura scarna che però non sbanda mai grazie a dialoghi brillanti e concisi allo stesso tempo. Per l'assurdità delle situazioni e dei personaggi il primo regista che mi viene da accostare è Aki Kaurismaki. 

PODIO ITALIANO

Lo chiamavano Jeeg Robot (Gabriele Mainetti)
S is for Stanely (Alex Infascelli)


Perfetti sconosciuti (Paolo Genovese)

DELUSIONI

Per quanto ci ho giocato e mi piaceva il videogioco, per quanto mi hanno deluso il film e soprattutto Duncan Jones, che dopo le ottime doti mostrate in Moon e Source Code ha diretto qualcosa di indecente. Speriamo si riprenda con il nuovo Mute, prodotto da Netflix. Ulteriore dimostrazione che trasportare un videogioco al cinema è molto rischioso.

Presentato a Locarno lo scorso anno, mi aspettavo qualcosa, (non so bene cosa) dal ritorno di Zulawski. L'intellighenzia cinefila in generale l'ha esaltato, secondo me per partito preso o per vanità. Sinceramente all'inizio della visione ho dubitato delle mie facoltà intellettuali, poi è subentrato un sentimento di irritazione che mi ha accompagnato fino alla fine. Quando il colto si trasforma in sterile gioco cerebrale andando a braccetto con l'immodestia e con la noia.

mercoledì 2 novembre 2016

Sing Street


Dopo Once e Tutto può cambiare, John Carney continua a proporre come tema centrale nei suoi film quello della musica e dell'influenza che può avere sulla vita delle persone. 
Siamo dalle parti di Dublino nel 1985, in piena crisi economica e il quattordicenne Conor, vittima di bullismo in una scuola cattolica vecchio stampo, cerca una via di fuga dai problemi familiari e sociali creando una band. Chi, fra coloro che hanno qualche annetto in più, non l'ha fatto o sognato negli anni '80?
E' iniziata la stagione dei videoclip; Duran Duran e Spandau Ballet stanno spopolando e inizialmente sembrano essere i modelli di riferimento, ma in seguito, grazie ai consigli del fratello maggiore, Conor si evolve: scopre Cure, Depeche Mode fino a mettere a frutto il suo talento compositivo in maniera originale. Londra resta il sogno da raggiungere per evadere dal grigiore quotidiano. Non c'è da aspettarsi chissà quali svilippi dalla trama, ma la spontaneità e la delicatezza con la quale viene raccontato questo romanzo di formazione ti conquistano, insieme alla qualità della colonna sonora, filo conduttore e ingrediente fondamentale nell'evoluzione di tutti i personaggi. Nonostante i protagonisti siano molto più giovani, non può non tornare in mente The Commitments di Alan Parker.
Oggi in anteprima al Cinema Boldini di Ferrara e Odeon di Bologna a soli 2 euro; il 10 novembre l'uscita in Italia.

Frase cult: "No woman can truly love a man who listens to Phil Collins."  (il fratello a Conor)

Esilarante il tentativo di produrre il primo videoclip




LEGENDA VOTI

@ una cagata pazzesca
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lunedì 26 settembre 2016

Visioni in pillole di fine estate (in attesa di film migliori)








Problematica genitori/figli affrontata da un'angolatura originale. Purtroppo strada facendo si svuota totalmente fino a perdere spessore, ritmo e soprattutto interesse. A un certo punto l'apatia è scesa sul mio volto.






Da chi ha girato un capolavoro come Drive ci si aspetta sempre qualcosa di notevole. Spunti geniali non mancano; esteticamente è pazzesco, anche se il rischio è proprio che l'esercizio di stile sovrasti la sostanza. Keanu Reeves? Non pervenuto.






Nei pressi di una spiaggia vivono strane famiglie composte solo da giovani madri e figli maschi. Un'evoluzione della specie femminile che lascia interdetti ma anche annoiati.








Buona confezione, ma sembra tutto già visto e scontato con uno dei peggiori Clooney di sempre. Jodie Foster decisamente meglio come attrice.


Onesto strappalacrime dove il tema dell'eutanasia viene affrontato in maniera semplicistica. Emilia Clarke tenta di affrancarsi dal ruolo della Madre dei Draghi e in parte ci riesce.



Sulla Terra imperversa una specie di morbo di Alzheimer e quando la gente si sveglia al mattino non ricorda più una mazza. Un circolo vizioso che presto finisce per incartarsi.




Di questo regista francese vidi qualche anno fa Racconto di Natale e mi piacque parecchio. Dopo un'ottima partenza, stavolta a mio avviso si resta intrappolati in una relazione amorosa che sfinisce lo spettatore; purtroppo non il protagonista.








Apocalittico senza infamia, né lode. Tenta di essere originale, ma ormai anche in questo filone si sta raschiando il fondo.



John Goodman si è costruito un bunker atomico e vuole salvarvi da una catastrofe mondiale. Ci sarà da credergli? Ti tiene lì fino alla fine (prima di sbracare).


Vi sembrano lungimiranti i componenti di una band che in una sala gremita di simpatizzanti nazisti cantano: "Nazipunk, nazipunk, fuck off"? Le conseguenze saranno terribili. Adrenalina a fiumi. Dopo l'ottimo Blue Ruin un altro film ben costruito.



LEGENDA VOTI
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venerdì 1 luglio 2016

Tutti vogliono qualcosa: full immersion negli anni 80

Siamo in un college in Texas all'alba degli anni 80, quando iniziano a contaminarsi le musiche e le culture giovanili. Anche dalle mie parti se frequentavi certi locali in riviera potevi incontrare di tutto: punk, dark, fighetti strafatti, hippy fuori tempo massimo. L'aids non era ancora comparso e c'erano un'aria di ottimismo e vitalità che si respirano nella commedia di Linklater, che dopo il capolavoro Boyhood, gira un film apparentemente leggero, uscito in sordina all'inizio dell'estate.

"Tutti vogliono qualcosa" fa il verso ai college movie cretini che imperversavano proprio nel decennio degli anni 80: ne viene ricreata minuziosamente l'atmosfera, le scenografie, la fotografia e persino il vocabolario dei protagonisti. Ma, a differenza di quelle saghe ben poco meritevoli, Linklater gioca di fino sulle sfumature, rimodella tutto, quasi all'oscuro dello spettatore, ricombinando i fattori. Ondacinema

Un'ironia che prende di mira anche l'ostentazione ridicola della virilità maschile tipica dell'epoca con le sue pose pseudo-macho, fra abbordaggi patetici in discoteca, feste punk o di studenti di belle arti dall'aria snob, con una goliardia che a tratti ricorda sì Animal House, ma in realtà (quasi con malinconia) racconta lo scorrere del tempo in quel limbo magico e incosciente che tutti abbiamo vissuto tra la fine della giovinezza e l'inizio dell'età adulta. Ci sarebbe tanto da raccontare anche in Italia su quel periodo grattando sotto la superficie; nessun regista che io ricordi l'ha mai fatto in modo soddisfacente. Il grande Caligari ci è riuscito in Non essere cattivo con gli anni novanta.

Notevole la colonna sonora.

venerdì 6 maggio 2016

Il condominio dei cuori infranti


Titolo italiano da podio in un'ipotetica classifica di bruttezza.
Il film è un adattamento per lo schermo del romanzo Chroniques de l’asphalte, del regista-scrittore Samuel Benchetrit. Solitudini urbane nella periferia parigina che si incontrano in un anonimo palazzone fatiscente. Una commedia surreale che racconta tre storie:
L’invalido solitario che si innamora dell’infermiera triste (Gustave Kervern e Valeria Bruni Tedeschi), l’adolescente dimenticato che fa amicizia con l’attrice in crisi (Jules Benchetrit e Isabelle Huppert), l’immigrata araba che accoglie l’astronauta perso nello spazio (Tassadit Mandi e Michael Pitt).

Paradossale e stralunato, con una sceneggiatura scarna che però non sbanda mai grazie a dialoghi brillanti e concisi allo stesso tempo. Per l'assurdità delle situazioni e dei personaggi il primo regista che mi viene da accostare è 
Aki Kaurismaki. Se vi capita non perdetevi questa chicca.




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venerdì 25 marzo 2016

David di Donatello 2016

Migliori film candidati:
Fuocoammare (Gianfranco Rosi);
Il racconto dei racconti (Matteo Garrone); 
Non essere cattivo (Claudio Caligari); 
Perfetti sconosciuti (Paolo Genovese); 
Youth – La giovinezza (Paolo Sorrentino).

Per me, Caligari tutta la vita. Ne ho già parlato qua.
In generale grande annata per il cinema italiano. Si fa tanto dire del cinema francese e spagnolo, ma dal mio punto di vista nel 2015 abbiamo stravinto.

Nuova cerimonia di premiazione su Sky dopo le edizioni pietose della Rai che dopo quasi tutto lo sport (tennis, calcio, basket, ecc..) continua a perdere altri pezzi.

lunedì 14 marzo 2016

Il cinema ideale e gli esercizi di stile dei fratelli Coen



















Faenza, 12/03/16
Il cinema ideale è quello che si intravede in questa foto spettrale. Ideale perché la sala era praticamente vuota e ne abbiamo preso possesso. Sotto la luce del proiettore spunta la testa della mia copilota, poi c'era una signora in un angolo. A film iniziato sono apparsi altri due fantasmi.
L'unica cosa triste in tutto questo è che alla biglietteria c'era un po' di fila...

Alcuni appunti su Ave, Cesare!


Per questo nuovo film dei Coen si può tranquillamente parlare di esercizio di stile o se preferite di puro divertissement, vista la trama ridotta all'osso. Che stile però! Ad ogni modo cari fratelli, ci avete abituato troppo bene e visto anche il penultimo (non entusiasmante) A proposito di Davis, è giunta l'ora di far uscire dal vostro cilindro un nuovo cult.

Siamo sempre dalle parti di Hollywood, ma distanti dal furore e dal sarcasmo di Barton Fink.

Peccato per il pessimo doppiaggio di alcuni personaggi.

L'amore per il cinema che si respira in ogni inquadratura dal primo all'ultimo secondo.

C'è chi l'ha parzialmente bocciato per umorismo troppo raffinato, che scivola nello snobismo. Bene, io adoro l'umorismo dei fratelli Coen; i loro dialoghi e i personaggi che inventano ogni volta.
Al diavolo coloro che non riescono ad apprezzarli.

Uno squisito omaggio alla Hollywood degli anni Cinquanta e ai suoi generi cinematografici con un gioco continuo di cinema nel cinema, possibile a questi livelli grazie alla maestria nel saper raccontare con invisibile profondità.




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sabato 12 marzo 2016

Coen e gli altri pochi registi cult (viventi)

Un tempo erano molti di più, ma ormai sono rimasti solo tre i registi di cui non perdo mai un'uscita a prescindere: Tarantino, Paul Thomas Anderson (unico della generazione dei quarantenni a rimpiazzare chi purtroppo non c'è più) e i fratelli Coen
Questo weekend divertimento assicurato con Ave, Cesare! Come sempre in questi casi non ho voluto leggere nulla, anche se è impossibile non avere informazioni. In ogni caso le aspettative sono alte: mi aspetto i Coen più corrosivi e divertenti sullo stile di Barton Fink e Mister Hula Hop.
Ovviamente la lista dei registi amati sulla teiera è molto più estesa, ma per raggiungere lo status la strada è dura.



lunedì 29 febbraio 2016

Fuocoammare, il blues di Lampedusa

Rimettere a fuoco senza giudicare uno dei drammi più grandi del nuovo millennio: è questo il principale merito di Fuocoammare, il documentario di Gianfranco Rosi vincitore del Festival di Berlino. Un'operazione rischiosa su due distinti versanti: quello della retorica buonista e quello del voyeurismo della sofferenza. Si può affermare senza enfasi che questa opera si elevi al di sopra di ogni contesa ideologica, facendoci fare i conti con una realtà a cui siamo assuefatti e che spesso congediamo frettolosamente con la visione del solito servizio televisivo sempre accompagnato da un'inutile e tragica colonna sonora. 
Rosi invece, in solitaria, ci conduce in un viaggio dove gli unici suoni sono quelli del mare e del vento, protagonisti sull'isola come il piccolo Samuele che ama tirare con la fionda e soffre il mal di mare in un luogo dove tutti sono pescatori. Altro personaggio chiave è il dottore Pietro Bartolo che in cinque minuti di racconto riesce a condensare il terribile dramma di dover soccorrere e curare quasi ogni giorno centinaia di esseri umani dovendo decidere chi va in ospedale, chi va nel Centro di Accoglienza e chi è deceduto. Le uniche musiche ad accompagnare la quotidianità degli isolani sono quelle della radio locale che trasmette canzoni popolari su richiesta, ma quella che resta impressa e scolpita è la ballata dall'antico sapore blues improvvisata da un gruppo di disperati appena sbarcati, scampati più volte alla morte:
"Non potevamo restare in Nigeria / Molti morivano, c'erano i bombardamenti / Ci bombardavano / e siamo scappati dalla Nigeria / siamo scappati nel deserto, / nel deserto del Sahara, / molti sono morti. / Nel deserto del Sahara molti sono morti / Sono stati uccisi, stuprati / Non potevamo restare / Siamo scappati in Libia / E in Libia c'era l'ISIS / e non potevamo rimanere / Abbiamo pianto in ginocchio: 'Cosa faremo?"

Volenti o nolenti temo che in Europa per i prossimi decenni continueremo a fare i conti con il racconto di questa canzone.




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lunedì 22 febbraio 2016

The Survivalist

“La nostra civiltà si basa sul principio della non infinita disponibilità delle risorse. Sono partito da qui e ho provato a immaginare come riuscirei a vivere in un mondo dove le risorse sono finite. Stephen Fingleton.




E' stato da bambino guardando 1975 - Occhi bianchi sul pianeta Terra che sono rimasto fulminato dal genere post apocalittico. Da allora il cinema ha attraversato varie fasi e mode: l'umanità sopravvissuta al dopo bomba, al dopo epidemia, al dopo catastrofe naturale, al dopo zombi e via dicendo. Li ho visti praticamente tutti, anche se le uscite recenti, a parte Snowpiercer, non sono state un granché.
Questo film si colloca decisamente ad un livello superiore.
Sui titoli di testa un grafico rappresenta sulla linea del tempo l'andamento demografico della popolazione sulla Terra in parallelo alla produzione di petrolio. A un certo punto, in un futuro imprecisato, la linea blu comincia a precipitare per poi essere seguita dalla linea popolazione: sono finite tutte le risorse e l'umanità è regredita ad uno scenario anarchico tipo homo homini lupus e di arretratezza paragonabile al XIX secolo. 
In un bosco imprecisato dell'Irlanda un giovane uomo vive la sua routine quotidiana. Abita in una baracca, coltiva la terra e mette tagliole con le quali cattura anche eventuali intrusi umani proteggendo in maniera paranoica i confini del suo territorio. L'arrivo di una donna inquietante e della giovane figlia, entrambe affamate, metterà in moto una serie di eventi incontrollabili.

Film britannico indipendente e a basso budget sulla sopravvivenza senza spettacolarizzazioni o effetti speciali, secco e crudo sullo stile di The Road. La parte animalesca dell'uomo di fronte al collasso della civiltà è la tematica centrale. Credibile e realistico, non indugia troppo sulle cause che vengono lasciate su uno sfondo disseminato di indizi che stimolano alla ricostruzione di ciò che potrebbe essere accaduto. Candidato ai Bafta 2016 (British Academy Film Awards) per il miglior debutto alla regia.




Legenda voti
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domenica 7 febbraio 2016

L'ottavo film di Tarantino per me è il settimo


Dopo aver letto ormai un centinaio tra post e articoli che vanno dalla stroncatura (del tipo Tarantino non ha più niente da dire e cita se stesso) alla glorificazione, butto giù qualche idea senza il minimo accenno alla trama di cui non andrebbe svelato nulla.

- Con Quentin siamo abituati ad un livello così eccelso che ci si aspetta sempre di più e si tende ad essere severi alla minima flessione.

- In questo caso, per quanto riguarda la mia personale classifica, The Hateful Eight va a collocarsi al penultimo posto tra le sue opere. Il che non significa assolutamente bocciatura, ma 3 tazze e ½ cioé da vedere come dice la legenda della teiera.

- Lasciatemi spendere altre due righe per un personaggio che entrerà nella storia del cinema di Tarantino (e non solo) alla stregua di Mr. Wolf. Sto parlando di Jennifer Jason Leigh e della sua beffarda fuorilegge Daisy Domergue. Per me è già un cult.

- I dialoghi sono magistrali come al solito, veri e propri meccanismi ad orologeria.

Infine ecco la lista dei magnifici otto. L'ultimo potrebbe essere il primo per centinaia di registi.

1. Pulp Fiction                 @@@@@
2. Django Unchianed       @@@@@
3. Jackie Brown              @@@@½
4. Bastardi senza gloria   @@@@½
5. Le Iene                      @@@@
6. Kill Bill                       @@@@
7. The Hateful Eight        @@@½
8. Grindhouse                @@@