Vent'anni fa
Wim Wenders acquistò in una galleria due fotografie che lo avevano colpito senza sapere chi fosse l'autore. In particolare il ritratto di una donna tuareg cieca scattato in Mali nel 1985. Da qui nacque la sua passione per il lavoro e le opere di
Sebastião Salgado.
Wenders è un regista che ho amato tantissimo fino ai primi anni '90, ma che da un certo punto in poi ho smarrito per strada. Non so spiegare il perché, tuttavia sono contento di averlo ritrovato in questo splendido documentario sulle tracce di Salgado, fotografo brasiliano che per decenni ha attraversato il nostro pianeta documentando la condizione umana per poi dedicarsi nell'ultima fase della sua vita alla potenza e alla poesia della natura nel progetto Genesi. Immagini primordiali, di una bellezza che toglie il fiato:
In Genesi vedrete dunque fotografato ciò che noi tutti insieme dobbiamo, e sottolineo dobbiamo, proteggere. Quella parte cioè che resta estremamente viva - forse un 45% - ed è ancora come al tempo della Genesi.
Quello di Salgado è un percorso monumentale durato quarant'anni e iniziato con
Other Americas, il primo viaggio in America Latina intrapreso per descrivere la vita delle comunità indios e contadine più sconosciute, e giunto a compimento con la creazione di
Instituto Terra. Quasi un'utopia nata da un'idea della moglie e divenuta realtà nello stato di Minas Gerais, dove l'abbattimento della foresta pluviale atlantica aveva portato alla desertificazione di una vasta zona, che comprendeva anche la fattoria della famiglia Salgado. Due milioni di alberi piantati che in soli dodici anni hanno ricreato l'ambiente naturale originale e dato vita ad un centro di educazione ambientale per gli studenti, nonché a un parco nazionale.
Tornando al film, durissima al limite dell'insostenibile, è la parte in cui lo stesso Salgado racconta e mostra il suo lavoro di testimonianza dai luoghi dell'orrore: il primo viaggio in Africa insieme a Medici Senza Frontiere durante la carestia nel Sahel; poi anni dopo, il genocidio in Rwanda, la guerra nella ex Jugoslavia e infine il Congo nel 1997: esperienze devastanti, faccia a faccia con gli abissi della follia umana che lo fecero ammalare di una profonda depressione.
C'è chi ha criticato Wenders e Salgado stesso di un approccio alla Bono Vox ai problemi del mondo. A me sembrano critiche superficiali o per partito preso; penso che il regista tedesco abbia trovato la chiave giusta per raccontare l'arte di un uomo limpido e intellettualmente onesto, adottando tre punti di vista: il suo, fatto di rispetto e ammirazione; quello del figlio Juliano Ribeiro (co-regista) che ha accompagnato il padre nei suoi ultimi viaggi; infine quello soggettivo del grande fotografo attraverso la storia della sua vita narrata in prima persona. Tutt'al più celebrativo, ma trovo che non ci sia nulla di sbagliato nell'omaggiare un uomo che con immagini di rara potenza è stato in grado immortalare come pochi altri la condizione umana negli eventi della Storia contemporanea. Per me una forte esperienza emotiva e anche una testimonianza che mi ha lasciato un segno profondo
. Trailer
“Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e filtri giusti. Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l’immagine di un’idea.” Tiziano Terzani
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Brasile 1986 - Sierra Pelada, 50.000 cercatori d'oro |