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giovedì 21 maggio 2020

Cinema a casa: Favolacce, Les Misérables, Criminali come noi


















FAVOLACCE (Damiano e Fabio D'Innocenzo, Italia 2020)
Forse avevo delle aspettative troppo alte, però non mi ha coinvolto, né molto convinto. Probabilmente è anche penalizzato dal piccolo schermo e da un audio pessimo, che a tratti non permette di capire bene i dialoghi. Ci sono momenti folgoranti, i volti estraniati dei bambini scelti per interpretare questa favola nera sono perfetti, ma alla lunga tra campi lunghi e silenzi, la storia diventa estenuante, più che disturbante, com'era forse nelle intenzioni dei registi. Ciò non toglie che i due fratelli siano coraggiosi e dimostrino tutto il loro talento: sono giovanissimi perciò sono fiducioso.

I MISERABILI (Ladj Ly, Francia 2020)
Una bomba! Non conoscevo il regista Ladj Ly, che esordisce con il suo primo lungometraggio dove racconta la situazione esplosiva della banlieue parigina in cui è cresciuto. I dannati del nuovo millennio prendono forma e sostanza attraverso i volti e la ribellione degli adolescenti che popolano il quartiere di Montfermeil.
“Amici miei, tenete a mente questo: non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”. Così si chiude, con la citazione dal romanzo omonimo di Victor Hugo, quella che dovrebbe essere la prima parte di una trilogia 



CRIMINALI COME NOI (Sebastián Borensztein, Argentina 2019)
Titolo originale La odisea de los giles è uno degli ultimi film usciti al cinema, conosciuto anche come Heroic Losers. E' una commedia proletaria ambientata nell'Argentina travolta dalla crisi economica del 2001 che rientra a pieno titolo nel genere heist movie, cioè rapine, in questo caso di spiantati, stile I Soliti Ignoti. Si fa il tifo e ci si diverte per questo banda improbabile, in cerca di riscatto e vendetta dai soprusi della finanza che li ha ridotti in miseria. Fantastici tutti: dall'intellettuale anarchico che cita Bakunin, al bifolco semi-analfabeta dalle mille risorse.
Tratto dal libro di Eduardo Sacheri, La notte degli eroici perdenti.

giovedì 26 settembre 2019

Forse non capisco le nuove frontiere dell'horror d'autore

Tanto tempo fa (eh sì, questo blog è decrepito) scrissi un post intitolato La mia rassegna di horror d'autore dove mi divertivo a selezionare dieci titoli capolavoro e a raccontare il mio strano rapporto con questo genere. Sono passati dieci anni e torno sull'argomento perché, spinto dalla curiosità, ho visto di recente Midsommer - Il villaggio dei dannati. Non fatevi infinocchiare dalle recensioni dei vari siti horror hipster-cinefili: Midsommer è un film estenuante sotto ogni punto di vista. Quasi due ore e mezza interminabili, ambientate nelle lande di una Svezia verde e bucolica, in cui il regista si fa prendere la mano come un Shyamalan allucinato e definitivamente fuori controllo. Impatto visivo notevole, ma pretenziosità a tonnellate e ansia da prestazione. Ari Aster già non mi aveva del tutto convinto con Hereditary (anch'esso peraltro lunghissimo) e se questi sono i livelli dell'horror d'autore attuale, mi sa che la mia lista rimarrà identica per altri dieci anni.

...Per tacere, del décor bucolico, popolato da sosia di Benny Hill, infestato da mammane e ingentilito da epigoni della Manson Family: ti aspetti, questo sì, che qualcuno se ne venga fuori con un “ricoolaaa!”, davvero non sfigurerebbe. (cinematografo)


martedì 16 aprile 2019

Visioni: La donna elettrica - Osmosis e la fantascienza inflazionata

Nella Parigi di un futuro prossimo una società ha creato una nuova tecnologia con cui vengono impiantati nel cervello umano dei nano robot che aiutano a trovare l'anima gemella tra milioni di persone.
Osmosis è la conferma che di Black Mirror ce n'è uno solo e che il filone della fantascienza distopica sia parecchio inflazionato, soprattutto quando (in casi come questo) si cerca di seguire una tendenza in modo approssimativo, senza avere una visione originale. Prodotta da Netflix, è una serie francese che affronta tematiche già viste e riviste e che ben presto risulta irritante.



Dall'Islanda arriva il secondo film del regista Benedikt Erlingsson che affronta i temi ambientali in modo originale, in bilico tra dramma e commedia. La solitaria Halla, direttrice del coro del suo paese, combatte una guerra contro una multinazionale cinese che minaccia di stravolgere gli equilibri ambientali della sua isola. Per i toni mi ha ricordato Kaurismaki. La donna elettrica è uscito in sordina a fine 2018: un film utopico e ribelle che non cede mai ad una retorica scontata.
Jodie Foster ne ha acquistato i diritti con l'intenzione di girare una versione americana.


giovedì 4 aprile 2019

The OA - 2° stagione senza spoiler e senza spiegoni

Difficile comprendere a pieno di che cosa parli questa serie. 
Non tutto funziona, ma va dato atto a Brit Marling di aver avuto coraggio. In questa seconda stagione, dopo un'attesa di quasi tre anni, ci troviamo di fronte ad un'imprevedibile virata verso rischiosi scenari alla Jodorowski con visioni che ricordano (ricordano solo eh) David Lynch. Linee narrative che si sovrappongono, mondi paralleli che si incrociano e collidono in un congegno narrativo che frulla i generi per creare qualcosa di indefinito: tra spiritualismo e fantascienza, razionalità (poca in verità) e sovrannaturale. In più l'indagine di un detective che si trasforma in una specie di viaggio iniziatico lungo le strade di San Francisco. Incredulità, scetticismo e fascino si sono alternati durante la visione; il limite del ridicolo è spesso in agguato e il fatto che si possa o meno ritenere superato, dipende dalla sensibilità di ciascuno. Di certo non ci si annoia, fosse solo per capire fino a che punto hanno il coraggio di spingersi gli autori; nello scorrere della storia emergono alcune ingenuità al pari di intuizioni geniali. Poteva diventare un cult come è stato per Twin Peaks, ma la sensazione è di un'occasione parzialmente sprecata. 
Sono cresciuto con fantascienza a palate e film di culto come La Montagna Sacra e nonostante ciò il polpo telepatico, denominato Vecchia Notte, mi ha lasciato interdetto mandandomi in errore di sistema. What the fuck!?

martedì 19 marzo 2019

Love, Death + Robots



















Da vecchio appassionato del genere, i nomi di David Fincher e Miller mi avevano fatto rizzare le antenne, per cui avevo accolto Love, Death & Robots con molta curiosità. In effetti si tratta di un prodotto all'avanguardia che raccoglie il meglio dell'animazione mondiale sotto forma di 18 cortometraggi che spaziano tra fantascienza, fantasy, horror e cyberpunk.
Peccato però che a parte qualche eccezione, narrativamente manchino idee originali. Ai livelli di assoluta eccellenza della grafica, dei disegni e dell'animazione, purtroppo non sempre corrisponde altrettanta raffinatezza nelle sceneggiature, che spesso peccano di prevedibilità. C'è tanta violenza, morte, un po' di sesso e qualche slancio visionario che alza la media, ma senza buone storie da raccontare il risultato non è quello atteso, soprattutto per le aspettative che si erano create. Sui temi proposti le riflessioni sono deja vu, i dialoghi a volte sono imbarazzanti e in generale si spara e si combatte molto, troppo! Alcuni episodi comunque (Three Robots, La testimone, Alternative storiche) sono dei veri gioielli. Va dato merito a Netflix di avere il coraggio di osare, sperimentando narrazioni alternative con generi di certo non popolari.
Per le idee sviluppate e messe in campo, Black Mirror resta diversi gradini sopra, ma anche capolavori di animazione più datati come Akira.


mercoledì 28 febbraio 2018

Serie e cinema: la fantascienza che convince e quella che delude

Quando da bambino andavo da solo al cinema sotto casa dove lavorava mio zio, ho cominciato a viaggiare con film come Il Pianeta delle scimmie e Occhi Bianchi sul pianeta Terra, appassionandomi alla visione di scenari futuri, viaggi nel tempo e apocalissi assortite. Da sempre perciò sono un amante della fantascienza che, dopo un periodo di stasi, sta vivendo una stagione di rinascita grazie anche alle serie che ultimamente stanno sviluppando storie a cui il cinema, per svariati motivi, ha rinunciato.

Non tutte le serie però riescono col buco. Anzi, di buchi a volte ne spuntano parecchi. Ho già scritto della parziale delusione di Altered Carbon, e delle aspettative tradite di Philip K. Dick’s Electric Dreams, che ho addirittura abbandonato circa a metà stagione.
Un regista partito col botto, ma che purtroppo stiamo perdendo per strada è Duncan Jones. Un ottimo esordio con Moon, seguito da un'altra buona pellicola come Source Code per poi naufragare con il pessimo Warcraft - L'inizio. Confidavo nella sua nuova opera, dedicata al padre David Bowie, intitolata Mute, da qualche giorno disponibile su Netflix. Siamo a Berlino nel 2049 molto (troppo) simile alla Los Angeles di Blade Runner. Questo scenario (a parte dispositivi vari e ologrammi) è quasi l'unico elemento di fantascienza. Il resto è una storia ordinaria: un barista amish muto va in cerca della fidanzata misteriosamente scomparsa nei bassifondi della città. L'intreccio non è neanche particolarmente avvincente; peccato!

COMING SOON

La migliore serie di fantascienza degli ultimi anni, senza bisogno di effetti speciali, è The Handmaid's Tale con la strepitosa Elisabeth Moss. A fine aprile arriverà la seconda stagione, sempre con la supervisione di Margaret Atwood.

Alex Garland, regista di Ex-Machina, ha girato per Netflix l'adattamento di Annientamento, il primo romanzo della trilogia dell'Area X. La protagonista è Natalie Portman. Non ho letto i libri di Jeff VanderMeer, ma mi dicono che sono molto complessi. Vedremo presto, perché uscirà a marzo.

The Rain è la prima serie originale danese ad uscire su Netflix in primavera. Anche se ormai abusato, è il mio genere. Il plot: Sei anni dopo che un virus brutale portato dalla pioggia ha sterminato quasi tutti gli abitanti della Scandinavia, due giovani fratelli emergono dalla sicurezza del loro bunker per scoprire che la civiltà come la conoscevano è del tutto scomparsa. 

Counterpart
J. K. Simmons è un funzionario governativo che lavora a Berlino e casualmente scopre l'esistenza di un universo parallelo apparente fotocopia del nostro, ma che nel corso del tempo ha cominciato a deviare sempre più dalla realtà iniziale, facendo evolvere la società in maniera diversa. Lo sto vedendo in questi giorni in contemporanea all'uscita su Starz. Non è male: atmosfera plumbea stile socialismo reale, in un misto tra noir, fantascienza e spy story.

lunedì 6 novembre 2017

Cinema: flop inattesi sulla teiera volante

Premetto che certe categorie di film, come le commedie italiane degli ultimi anni le ho quasi eliminate: mi annoiano a morte e se ne salvano davvero poche. Così quest'anno ho evitato robe come: Questione di Karma, Beata ignoranza, Chi m'ha visto e via dicendo. Capita però che le aspettative vengano disattese e ultimamente è successo più spesso del solito, con successive imprecazioni per aver sprecato tempo che si poteva dedicare a qualcosa di meglio.




Seven Sisters (Tommy Wirkola)
Netflix da un paio d'anni ci prova anche con il cinema. Questo film di (presunta) fantascienza distopica uscirà il 30 novembre al cinema, ma non bastano la presenza di Glenn Close, di un inutile Willem Dafoe e di Noomi Rapace che interpreta tutte e sette le sorelle, a rendere dignitosa una pellicola che ben presto scivola nel solito film d'azione che si auto-alimenta tramite inseguimenti e sparatorie.

The Meyrowitz Stories (Noah Baumbach)
Sono da sempre un fan del regista di Brooklyn; fra le nuove generazioni il predestinato a diventare l'erede Woody Allen.
Un'altra produzione Netflix con molte star ed alcuni camei, ma la noia prende presto il sopravvento sullo scontato sarcasmo dei dialoghi e sulle situazioni familiari che ruotano intorno a Harold Meyerowitz (Dustin Hoffman) docente e scultore newyorkese mai apprezzato negli ambienti che contano. Tutto abbastanza forzato, con l'aggravante di una verbosità estenuante. L'eco di Woody Allen si percepisce, ma è quello dei suoi film meno ispirati.

L'inganno (Sofia Coppola)
Mancanza di nuove idee? E' l'unica spiegazione per un'operazione che non aggiunge niente e toglie molto ad un cult come La calda notte del soldato Jonathan. Per non dire del carisma di Clint Eastwood vs Colin Farrell. Black comedy annacquata che sa di compitino svolto con un filo di gas.

Sole Cuore Amore (Daniele Vicari)
L'ho recuperato con discreta fiducia, vista l'ottima prova del regista, che con Diaz era riuscito a raccontare gli avvenimenti sconvolgenti che a Genova 15 anni fa hanno lordato la nostra democrazia.
In questo film (di denuncia sociale?) che cerca di affrontare temi di scottante attualità, purtroppo non c'è quasi niente di credibile.


Fortunata (Sergio Castellitto)
Flop non tanto per il film (che comunque non affonda solo grazie a una Jasmine Trinca strepitosa) quanto per le recenti dichiarazioni del regista riguardo la mancata candidatura all'Oscar della ditta Castellitto-Mazzantini:
Siamo vittime di un preconcetto perché facciamo cinema popolare ma di qualità. 
Evviva la modestia!

sabato 21 ottobre 2017

Wind River

Partendo da un soggetto classico e apparentemente sfruttato come il mito della frontiera selvaggia, si costruiscono ancora ottimi film come questo: basta saper utilizzare al meglio gli ingredienti giusti: sceneggiatura solida, lo sfondo maestoso della natura e una colonna sonora ispirata, garantita dalla coppia Warren Ellis/Nick Cave. Facile a dirsi! Azzeccare gli attori poi è il passo decisivo e in questo caso la scelta di Elizabeth Olsen e Jeremy Renner si è rivelata efficace.

Dopo le sceneggiature di Sicario e Hell or High Water, Taylor Sheridan debutta alla regia con un ottimo thriller ambientato in una fredda e inospitale riserva indiana del Wyoming. La trama in due righe:
Una ragazza nativa americana è stata ritrovata morta nella neve. Per le indagini da Las Vegas arriva una giovane ed inesperta agente dell'FBI che viene affiancata da un ranger locale, esperto cacciatore della zona. 

Tra paesaggi memorabili, dialoghi poetici ed esplosioni improvvise di violenza, a tratti tornano in mente film come Non è un paese per vecchi e Un gelido inverno, ma anche grandi classici del genere; per dire che il livello è alto. Premio per la miglior regia a Cannes 2017 nella sezione Un Certain Regard, ma ancora non distribuito in Italia.




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sabato 2 settembre 2017

Dunkirk

La terra, il mare e il cielo protagonisti: alleati e allo stesso tempo carnefici nella lotta per la sopravvivenza. Nolan ha tracciato una nuova linea per i film di guerra. Ho trovato particolarmente calzante questa definizione: un’esperienza immersiva totale e incredibilmente veritiera. Giusto un po' di retorica patriottica nel finale che ci sta, vista la portata storica degli avvenimenti.

Per concludere, una discreta lezione di stile a registi come Mel Gibson (vedasi il mattatoio Hacksaw Ridge).




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lunedì 26 giugno 2017

"Di che cosa hai paura?" Di vedere un altro film di Malick

Di solito sulla teiera preferisco segnalare le cose che mi hanno entusiasmato, sorpreso o almeno ben intrattenuto. Speravo di trovare qualcosa in Song to song l'ultimo film di Malick e invece, nonostante grandi attori e musicisti, dopo 15 minuti la noia e la tristezza sono calate inesorabili sul mio volto. Un'impresa notevole visto il cast a disposizione nella location di Austin. Esiste un limite oltre il quale le ellissi, i salti spaziali, la destrutturazione del racconto e il diluvio di quesiti esistenziali diventano controproducenti.
Perché piangi?” “Perché sono felice”, “Amo la tua anima”, Di che cosa hai paura? 


La prima versione durava 8 ore...


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giovedì 2 marzo 2017

I Don't Feel at Home in This World Anymore

Il Gran Premio della Giuria al Sundance festival 2017 è andato a questo thriller, opera d'esordio di Macon Blair. Siamo nei territori di Blue Ruin (film che ha visto il regista come attore protagonista) con Melanie Lynskey e Elijah Wood a formare un'accoppiata improbabile affamata di giustizia che indaga sul furto subito da lei in casa da parte di una banda di squilibrati con risultati sanguinosi e imprevedibili. Una commedia/thriller grottesca che in 90 minuti fila via liscia, tra situazioni surreali che evocano i fratelli Coen in un'escalation demenziale di violenza. Il fatto che abbia trionfato al festival lascia un attimo perplessi, non per il valore del film che è godibilissimo, ma per la concorrenza che evidentemente non era eccezionale. Vedremo se nei prossimi mesi che cosa uscirà di buono: fra le cose interessanti il nuovo film di Luca Guadagnino, Call me by your name, di cui si è parlato bene. 

Da fine febbraio si può vedere sulla piattaforma Netflix che dopo essere diventato un punto di riferimento per le serie Tv, continua la sua scalata nel cinema. Non c'è che da esserne contenti: più scelta, con un taglio sempre originale che ormai è un marchio di fabbrica.




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domenica 26 febbraio 2017

T2 Trainspotting: la rimpatriata a volte è meglio evitarla


In realtà non mi aspettavo chissà che cosa: difficile passare oltre al peso di un'opera di culto che è entrata nell'immaginario fotografando in maniera sporca e indelebile gli anni '90. Anche stavolta viene rappresentata una sorta di decadenza forzata in un Edimburgo che però appare soleggiata (con le hostess finto scozzesi che distribuiscono depliant all'uscita dell'aeroporto) lontana da quella livida narrata vent'anni fa. La scelta di fondo non è di per sé negativa; purtroppo ad apparire distanti sono l'ispirazione e soprattutto l'aderenza alla realtà di personaggi che ci si è sforzati di immaginare in età matura con il rischio della caduta nel macchiettistico, sempre dietro l'angolo. Non mancano il sarcasmo tagliente delle origini più un paio di sequenze cult e anche per questo una visione se la merita.
Straordinario come sempre il talento stilistico di Danny Boyle: una cornice estetica notevole che però riesce con fatica a colmare la mancanza di soluzioni convincenti nella trama e nelle situazioni: ad esempio Franco/Robert Carlyle che evade di galera e se ne sta tranquillo a casa con moglie e figlio. 
La colonna sonora svolge un ottimo lavoro, sia nei brani nuovi, sia nel lavoro di raccordo con il primo film attraverso il recupero dei pezzi storici portanti (Lust for Life stavolta nella versione dei Prodigy). 
Alla fine, tra il malinconico e il divertito, si vuole bene a tutti e quattro i personaggi, come a quei vecchi amici ormai distanti che non frequentiamo più perché le scelte di vita ci hanno allontanato e di cui non sentiamo la mancanza. La rimpatriata sarebbe meglio evitarla, specie quando non c'è un granché da raccontarsi, poi alla fine si fa lo stesso; un po' come il film, che non è così indegno come si è anche letto in giro, ma semplicemente non aggiunge niente e racconta troppo poco dei nostri tempi. Peccato!




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domenica 19 febbraio 2017

Manchester by the sea


Lee Chandler è un tuttofare che vive alla periferia di Boston: scorbutico e scontroso, ma sempre efficiente sul lavoro. Un improvviso lutto familiare lo costringe a tornare nel Massachusetts, nella fredda cittadina di mare dove è cresciuto in modo scapestrato.

Struttura narrativa esemplare, dove tutto si svela (dolore compreso) con ritmo calcolato secondo le dinamiche interiori di uno straordinario Casey Affleck, perfetto nel ruolo dell'anti-eroe.
Kenneth Lonergan (regista che non conoscevo) si dimostra onesto fino in fondo: storie sulla perdita come questa non possono approdare a un lieto fine, ma solo raccontare in modo autentico la vita che scorre e va avanti, nonostante tutto. Chi ha scritto o stampato sulla locandina capolavoro comunque ha un po' esagerato: si tratta di un ottimo film, anche per la capacità di alternare il registro drammatico con quello più leggero, grazie alla presenza del nipote sedicenne affamato di vita. In ogni caso un racconto convenzionale col difetto (l'unico) di una colonna sonora a tratti invadente nel suo essere ostentatamente melodrammatica. La corsa con La La Land, dal mio punto di vista è persa, ma non per questo vanno sminuite le qualità di Manchester by the sea che resta un film da podio tra quelli finora usciti nel 2017.




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sabato 11 febbraio 2017

Smetto quando voglio - Masterclass

Secondo episodio di quella che è diventata una trilogia. Nei primi venti minuti ho temuto il peggio: la sensazione era che si tendesse a campare di rendita; in più gli innesti dei nuovi personaggi, Greta Scarano a parte, non hanno del tutto convinto. Alla fine si apprezza perché tutto sommato l'impianto regge (seppur con qualche piccolo scricchiolio) regalando due ore di sano intrattenimento/divertimento, con l'aggiunta di qualche gag irresistibile. Una via di mezzo tra commedia e film d'azione che per lo standard medio italiano è più che meritevole. Merito a Sydney Sibilia (com'è successo anche a Gabriele Mainetti con Jeeg Robot) per aver creato qualcosa che prima non c'era.



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giovedì 2 febbraio 2017

Hell or High Water

Qualunque cosa accada oppure A tutti i costi è un film d'altri tempi (inteso positivamente).
Film di rapine e di fuga con Jeff Bridges ancora una volta in un'interpretazione memorabile a supporto di due convincenti protagonisti: Chris Pine e Ben Foster. Storia di sopravvivenza di due fratelli che decidono di sanare i loro debiti a suon di rapine tra le soffocanti praterie del Texas più rurale.
David Mackenzie racconta una frontiera sempre più desolata, dove le banche approfittano della crisi razziando i terreni di agricoltori e allevatori. Una commistione felicemente riuscita tra western moderno, road movie e Buddy film. Il livello è alto. Il tutto impreziosito dalla colonna sonora di Nick Cave e Warren Ellis. Tanto per cambiare, un altro ottimo film senza distribuzione in Italia, nonostante la candidatura all'Oscar. Per ora solo su Netflix.





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lunedì 30 gennaio 2017

The Founder

La comodità di un cinema praticamente sotto casa, insieme alla pigrizia ci hanno condotto ad una visione sostanzialmente inutile oltre che pedante. Non che la bellezza di un film si valuti in base alla sua utilità, ma sta di fatto che eravamo in quattro e alla fine del primo tempo ci siamo detti scherzando: che ce ne impipa di come è nato McDonald's? Forse un bel documentario sarebbe stato più stimolante che sorbirsi questo biopic con un Michael Keaton irritante con le sue pose innaturali e i suoi ammiccamenti. La regia di John Lee Hancock è insipida: una cronistoria minuziosa nella prima ora, mentre la seconda parte, quando si entra nel vivo dell'espansione, è più coinvolgente. Non sono vegetariano, ma in tutta la vita sarò entrato 3-4 volte da McDonald's perché mi disgusta l'odore che ti investe. Se è per questo non apprezzo particolarmente neanche facebook e non sono un fanatico del mocio, però ho trovato The Social Network geniale e innovativo e Joy un buon film. Questo è trascurabile.




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domenica 22 gennaio 2017

La fantascienza umanistica di Arrival

12 astronavi arrivano sulla Terra in 12 diversi punti. Non rilasciano impronte di nessun tipo; nè radiazioni, né gas...

Sembra un deja vu, ma siamo nella fantascienza umanistica o se preferite filosofica.
Senza ricorrere ad inutili buonismi, Villeneuve riesce a schivare tutte le trappole insite del genere invasione aliena e ad inventarsi qualcosa di originale. Due ore che fanno pensare ed emozionare, dove la comunicazione tra specie diverse e la percezione del tempo sono i temi affascinanti proposti. Un approccio intelligente che lascia ben sperare per Blade Runner 2049.


voto




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lunedì 26 settembre 2016

Visioni in pillole di fine estate (in attesa di film migliori)








Problematica genitori/figli affrontata da un'angolatura originale. Purtroppo strada facendo si svuota totalmente fino a perdere spessore, ritmo e soprattutto interesse. A un certo punto l'apatia è scesa sul mio volto.






Da chi ha girato un capolavoro come Drive ci si aspetta sempre qualcosa di notevole. Spunti geniali non mancano; esteticamente è pazzesco, anche se il rischio è proprio che l'esercizio di stile sovrasti la sostanza. Keanu Reeves? Non pervenuto.






Nei pressi di una spiaggia vivono strane famiglie composte solo da giovani madri e figli maschi. Un'evoluzione della specie femminile che lascia interdetti ma anche annoiati.








Buona confezione, ma sembra tutto già visto e scontato con uno dei peggiori Clooney di sempre. Jodie Foster decisamente meglio come attrice.


Onesto strappalacrime dove il tema dell'eutanasia viene affrontato in maniera semplicistica. Emilia Clarke tenta di affrancarsi dal ruolo della Madre dei Draghi e in parte ci riesce.



Sulla Terra imperversa una specie di morbo di Alzheimer e quando la gente si sveglia al mattino non ricorda più una mazza. Un circolo vizioso che presto finisce per incartarsi.




Di questo regista francese vidi qualche anno fa Racconto di Natale e mi piacque parecchio. Dopo un'ottima partenza, stavolta a mio avviso si resta intrappolati in una relazione amorosa che sfinisce lo spettatore; purtroppo non il protagonista.








Apocalittico senza infamia, né lode. Tenta di essere originale, ma ormai anche in questo filone si sta raschiando il fondo.



John Goodman si è costruito un bunker atomico e vuole salvarvi da una catastrofe mondiale. Ci sarà da credergli? Ti tiene lì fino alla fine (prima di sbracare).


Vi sembrano lungimiranti i componenti di una band che in una sala gremita di simpatizzanti nazisti cantano: "Nazipunk, nazipunk, fuck off"? Le conseguenze saranno terribili. Adrenalina a fiumi. Dopo l'ottimo Blue Ruin un altro film ben costruito.



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