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venerdì 22 giugno 2018

E intanto in Ungheria cancellano il musical Billy Elliot...

L’Opera nazionale di Budapest ha annullato 15 repliche del musical Billy Elliot dopo le accuse del giornale filo-governativo Magyar Idők di “voler convertire all'omosessualità i giovani spettatori". Qua

Se avevo qualche dubbio riguardo un eventuale viaggio in Ungheria e in particolare a Budapest, questa notizia mi ha definitivamente chiarito le idee. Non è un caso che nel 2010 sia stato inaugurato un Consiglio per i media che ha trasformato l’editoria pubblica in un mezzo di propaganda. Che bel posto sta diventando l'Europa! Specie quella dell'est tanto presa ad esempio da alcuni nostri politici.
L'intro del film sulle note dei T. Rex.

sabato 18 settembre 2010

Claude Chabrol

Domenica scorsa è morto a 80 anni Claude Chabrol, uno dei maestri della Nouvelle Vague. Ha diretto oltre cinquanta film dando la sua impronta personale al giallo classico oltre che alla storia del cinema.
Lo voglio ricordare con un grande film del 1988 la cui visione mi colpì profondamente: sto parlando di Un affare di donne, ispirato alla storia di Marie-Lousie Giraud, l'ultima vittima della ghigliottina in Francia, giustiziata il 30 luglio 1943 per pratiche di aborto clandestino durante il governo collaborazionista di Vichy. Protagonista una splendida Isabelle Huppert in un'interpretazione memorabile che le valse il premio come miglior attrice al Festival di Venezia. Ritratto impietoso di una società bigotta e di una donna che come tante altre in periodo di guerra e di fame, con due figli e il marito assente, si barcamenava per sopravvivere.
Destò grande scandalo in Francia la preghiera blasfema recitata da Marie prima di essere giustiziata. Scena capolavoro che esprime in maniera potentissima il dolore e la rabbia di una donna condannata come capro espiatorio da un potere ottuso e fascista.


Da notare lo sguardo della suora che accompagna la condannata in cella prima dell'esecuzione.

lunedì 6 settembre 2010

Heima, la casa Islanda

Casa Terra
Il richiamo della natura incontaminata e primordiale
Lo stupore negli occhi di un bambino
Il magico canto di Jonsi

L'emozionante tributo musicale dei Sigur Rós alla loro Terra e alle loro radici. Un'isola dove anch'io mi sono sentito accolto come in una grande casa: Heima, appunto.
Cieli e orizzonti impossibili da dimenticare.



venerdì 5 febbraio 2010

Il totem, il chitarrista della porta accanto e il maniaco

It might get loud
Chi ama la musica e la chitarra elettrica non può perdersi questo film documentario che mette a confronto tre musicisti di tre generazioni diverse: Jimmy Page (classe 1944), The Edge (classe 1961) e Jack White (classe 1975): il totem, il chitarrista della porta accanto (senza offesa) e il maniaco.
Per quanto il chitarrista dei Led Zeppelin appare imperturbabile e ieratico come un sacerdote pagano, Jack White risulta schizzato: dà l'idea di uno che pensa solo alla musica e non dorme mai tanto è pallido e febbrile. The Edge rappresenta invece la parte più riflessiva, forse perchè meno fantasioso e dotato tecnicamente, ma in grado comunque di creare nel tempo un suo marchio di fabbrica, uno stile inconfondibile che ha contrassegnato la musica degli U2.
Quando lo trovo, comprerò il DVD con i sottotitoli in italiano, perché nella versione originale sono riuscito a capire il significato della metà dei dialoghi e di ciò che viene raccontato dai protagonisti sulle loro storie personali. Per fortuna spesso è la musica a parlare e questa breve performance sulle note di In my time of dying (da Physical Graffiti) vale più di ogni frase.



Altro momento emozionante è stato sentire Page accennare la melodia di The Battle of Evermore. Narra la leggenda che un giorno Jimmy prendesse in mano il mandolino che apparteneva a John Paul Jones: non ne aveva mai suonato uno in vita sua e, affascinato dal suono del strumento, buttò giù d'istinto gli accordi sui quali Plant scrisse un testo ispirandosi a The lord of the rings. Uno dei brani di folk rock moderno più geniali mai scritti.

venerdì 15 gennaio 2010

Blue Velvet: Candy Colored Clown

Dennis Hopper nei panni dello psicopatico Frank Booth in una mitica scena di Velluto blu (David Lynch,1986).
La canzone che scatena prima la commozione e poi la follia di Frank ("fottutamente soave") si intitola In Dreams, un brano del 1963 di Roy Orbison. La frase finale è storia del cinema.

venerdì 27 novembre 2009

Michael Haneke vs Lars von Trier




Della serie continuiamo così, facciamoci del male! Quando si va a vedere un film di questi due signori, ci si deve preparare psicologicamente; bisogna essere consapevoli del fatto che non sarà un'esperienza leggera.
Breve indagine per due grandi registi con i quali ho un rapporto di odio-amore, per assegnare simbolicamente l'Oscar della crudeltà (in particolare nei confronti della donna) e del pessimismo.
Dopo il calvario di Funny Games (nipote moderno di Arancia Meccanica senza però il talento visionario del capolavoro di Kubrick), prima di vedere Il nastro bianco, l'ultimo film di Haneke, temevo un'altra tortura psicologica. La mia metà mi aveva quasi odiato per averla sottoposta al film remake del regista austriaco: un'opera in cui la violenza psicologica, ma anche fisica, appare talmente devastante e fine a se stessa da farti pensare di desistere. Stavolta è stata una visione solitaria. Il nastro bianco ha vinto la palma d'oro a Cannes, ma anche qui c'è poco da stare allegri. Episodi inspiegabilmente crudeli si susseguono in un villaggio protestante nella Germania del 1910, fino a quando emerge un'inquietante verità che è meglio oscurare. Una società che ignara sta crescendo i germi del nazismo. Un film lucido, di un pessimismo cupo, girato in uno splendido bianco e nero.
Scorrendo indietro di qualche anno, come non citare La pianista, con la grande Isabelle Huppert. In questa storia la misoginia di Haneke si accanisce sull'attrice francese umiliandola in tutti i modi, cucendole addosso un'interpretazione che le è valsa il premio come migliore attrice protagonista a Cannes 2001.
Passando a Lars von Trier, non ho ancora visto Antichrist, ma in ogni caso nelle opere precedenti c'è solo l'imbarazzo della scelta . La discesa all'inferno di Nicole Kidman, vittima della crudeltà collettiva di un villaggio (Dogville); la sfiga cosmica di Bjork in quel capolavoro straziante che è Dancer in the dark; i patimenti autopunitivi di Emily Watson (Le onde del destino).
Visti tutti e sei di seguito in una rassegna sarebbe una roba da suicidio, o da patibolo per l'ideatore. Presi singolarmente, alcuni sono dei capolavori. Difficile assegnare il premio, aspetterei il prossimo film per la consacrazione definitiva.

martedì 3 novembre 2009

Finali pazzeschi di film

Facendo zapping sono finito su youtube in una sezione riguardante i finali dei film e mi sono incantato nel rivedere ne "I 400 colpi" di Truffaut, la corsa verso il mare di Antoine, in fuga dal riformatorio.


Allora mi è venuto in mente questo post che probabilmente non brilla per originalità, ma che soddisfa una mia curiosità. Mi sono chiesto quali sono i finali di film che mi sono rimasti più impressi. Quelli che quando esci rimani scosso e non puoi fare a meno di pensarci e ripensarci. Gli aspetti che possono concorrere a fare di un finale un capolavoro sono tanti: originalità, sorpresa, commozione, poesia e via dicendo. Non ho voluto fare una classifica, (in rete ce ne sono parecchie; questa non è male) ma una cosa istintiva senza troppe elaborazioni, confidando nella mia memoria, senza chiedere troppo aiuto a google.
Attenzione: spoiler selvaggio (ma chi non li ha visti?)

Il pianeta delle scimmie (1968)
Dopo la fuga, la sconvolgente scoperta della statua della libertà: siamo sulla Terra! Adesso pare scontato, ma all'epoca fu una bella botta sul muso!

Point Break (1991)
Fa' la cosa giusta. Keanu Reeves, alias agente FBI Johnny Utah, getta il distintivo nella sabbia dopo aver liberato Bodhi per l'ultima surfata nella tempesta del secolo.

I soliti sospetti (1995)
Lo zoppetto dove lo metto...

Magnolia (1999)
Piovono rane e parte Save me di Aimee Mann (o viceversa?). In ogni caso pura emozione. Una gran voglia di rivederlo nonostante le tre ore.

Big Fish (2003)
Solo in fin di vita del padre, un figlio scopre la sua grandezza e il suo amore. Mi ritornano i goccioloni solo a pensarci. Un Tim Burton commovente e poetico come non mai.

Thelma e Lousie (1991)
Il volo in auto sul Grand Canyon.

Blade Runner (1982)
Rutger Hauer nel più bel (pre)finale di sempre.

A qualcuno piace caldo (1959)
Well, nobody's perfect. Citazione quasi obbligatoria che però rimanda più precisamente ad un'altra categoria:quella delle migliori battute del cinema.

venerdì 11 settembre 2009

Fottuta burocrazia

Tutto tronfio, il ministro pugnetta (fantastica vignetta) ha più volte dichiarato che l'assenteismo nella pubblica amministrazione è stato dimezzato. In realtà da un'inchiesta dell'Espresso pare sia tutto un bluff basato su dati non attendibili. Ovviamente l'interessato smentisce e ribatte con la sua proverbiale simpatia. In coppia con l'altro nano aveva anche promesso lo snellimento e la digitalizzazione della burocrazia. - Le file diventeranno un ricordo!- hanno annunciato tutti convinti. Vedremo anche questa. Nell'attesa, da Asterix e le 12 fatiche, la casa che rende folli: sublime ed insuperabile rappresentazione della stupidità della burocrazia. Nell'ottava e più complicata prova che consiste nell'ottenere il lasciapassare A38, i due eroi stanno per fallire, persi tra moduli, procedure e uffici, fino a quando Asterix ha un colpo di genio. Vorrei avere anch'io la capacità di fare impazzire in quel modo il personale di certi uffici.

lunedì 31 agosto 2009

I post apocalittici


Science fiction films are not about science. They are about disaster, which is one of the oldest subjects of art.
Susan Sontag (Imagination of disaster)
Amo la fantascienza e in particolare questo genere di film. Fin da bambino, dopo avere visto Occhi bianchi sul pianeta Terra, tutti i pianeti delle scimmie e in seguito Spazio 1999, sono cresciuto con questa fissa degli ultimi abitanti della Terra sopravvissuti ad una qualche catastrofe. Difficilmente me ne perdo uno, sorbendomi spesso anche le stronzate (a parte 2061 di Vanzina, quello mi sono rifiutato). The Road, è una storia ambientata nel futuro dopo un disastro planetario e si annuncia molto interessante, perché è tratta dall'ultimo romanzo di Cormac McCarthy, già ispiratore del capolavoro dei fratelli Coen, No country for old men. Racconta le vicissitudini di un padre e di un figlio senza nomi che fuggono verso sud dall'inverno, lungo una strada asfaltata in un mondo in cui gli unici esseri viventi sopravissuti sono gli umani. Il regista, l'australiano John Hillcoat (classe 1961) è un nome relativamente nuovo: ha lavorato soprattutto nell'ambito dei videoclip e nel 2005 ha diretto il film La Proposta, tratto da una sceneggiatura di Nick Cave, che di questo western ambientato in Australia ed anche del nuovo film ha composto le musiche con Warren Ellis. The road è in concorso a Venezia e dovrebbe uscire nelle sale in ottobre.
Il trailer
Fra i più belli del genere degli ultimi anni metto sicuramente L'esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam e 28 giorni dopo di Danny Boyle, mentre in parte mi hanno deluso E venne il giorno di Shyamalan e Io sono leggenda.

martedì 30 giugno 2009

La mia rassegna di film horror d'autore


Ho uno strano rapporto con i film horror, genere che è nato con il cinema stesso, capace di vette altissime e spesso, come mi è capitato in recenti visioni, di livelli veramente bassi. Dico strano perché malgrado le immancabili delusioni, mi ostino a non farmi sfuggire buona parte della produzione mondiale.
Da bambino casa mia si trovava di fianco all'ingresso del glorioso cinema Italia e sono cresciuto a latte, western, zombie e vampiri. Devo ammettere che ultimamente ho preso più di una cantonata: recentemente Imago mortis, una pellicola che si rifà al nuovo filone spagnolo, però in maniera piuttosto goffa e prevedibile; l'ultima è stata Martyrs, imbarazzante e pretenzioso film francese, frutto di menti disturbate. Il problema è che ho in testa certi modelli che spero sempre possano essere avvicinati se non raggiunti. Alla fine del post ho elencato nove cult (credo non solo per me) senza andare troppo indietro negli anni, altrimenti una selezione diventerebbe veramente ardua. Unica eccezione la voglio fare per un film che adoro: Freaks di Todd Browning del 1932. Uno di quei film che chiunque ami il cinema non può non aver visto. Da sempre considerato horror, in realtà lo si potrebbe definire spietatamente realista.
Ecco gli altri nove (meno uno) che ho selezionato per un'ipotetica super-rassegna d'autore.
  • Shining - Stanley Kubrick 1980 Il talento di Nicholson al servizio del genio di Kubrick. Un capolavoro assoluto al di là dei generi.
  • Rosemary's baby - Roman Polanski 1968 Un magistrale crescendo dall'inquietudine alla paranoia, fino alla scoperta di una verità orribile. Psicologicamente devastante.
  • Eraserhead - La mente che cancella - David Linch 1977 Uno dei peggiori incubi mai messi in scena. Un bianco e nero di pura angoscia che mise in luce tutto il talento di un grande regista.
  • Profondo rosso - Dario Argento 1975
  • 28 giorni dopo - Danny Boyle 2002
  • Session 9 - Brad Anderson 2001
  • Zombi - George A. Romero 1979
  • Il sesto senso - M. Night Shyamalan 1999
Per il decimo sono troppo indeciso: chi ne ha voglia suggerisca un titolo.

giovedì 19 marzo 2009

Ri/Visti: Simon del deserto - Buñuel 1964

Sempre a proposito di chiesa e religione, in questo periodo mia fonte d'ispirazione (vedi anche post sotto), qualche giorno fa ho rivisto questo medio-metraggio di 45 minuti del regista spagnolo. Per caso molti anni fa capitai in un cineforum di morettiana memoria in cui lo proiettavano e mi rimase molto impresso. Se non fosse per le infinite opportunità della rete, quando mai avrei potuto rivederlo?
Dall'esilio in Messico Buñuel girò la storia del monaco Simon, profeta che decide di vivere in penitenza e meditazione per ben otto anni su una colonna alta 20 metri. Venerato ma a volte anche provocato dalla gente del luogo, Simon è sottoposto a continue tentazioni dal diavolo. A un certo punto il maligno, stanco della sua stoica resistenza, lo trasporta dal V al XX secolo in un locale di New York in cui l'asceta è forzato ad immergersi in un clima di musiche e balli sfrenati.
Il film in realtà fu incompiuto per problemi di produzione: nella seconda parte la sceneggiatura prevedeva che il diavolo tornasse nel Medioevo per sostituirsi a Simon e condurre i fedeli verso il male. Peccato non sia mai stato girato perché sarebbe stato fantastico. Nonostante la mutilazione forzata, il film vinse il premio speciale della critica a Venezia. Lo stile è quello surrealista di Buñuel, dove emergono i temi provocatori della sua filmografia e in questo caso i suoi sberleffi anticlericali attraverso la carica blasfema di Silvia Pinal nelle vesti del demonio.
Il coraggio di rischiare e di mettersi contro i poteri costituiti; la volontà di essere scomodi; lo spessore culturale e artistico, l'anticonformismo di Buñuel: insieme a Kubrick uno dei pilastri del cinema del secolo scorso. Simbolico che il regista spagnolo l'abbia inaugurato, essendo nato proprio nel 1900, mentre Kubrick invece l'abbia chiuso lasciandoci dieci anni fa il 7 marzo 1999.

venerdì 13 febbraio 2009

Visioni febbraio 09: La Ricotta - Pasolini 1963

Ri/Visti: La ricotta - Pasolini

Quarto episodio di 35 minuti all'interno del film RoGoPaG. Gli altri episodi sono: Illibatezza di Rossellini, Il nuovo mondo di Godard, Il pollo ruspante di Gregoretti. Lo vidi all'università in un cineclub e per me ancora oggi ha un impatto devastante. Racconta le tragiche vicissitudini del poveraccio e perennemente affamato Stracci, che interpreta come comparsa uno dei ladroni finiti in croce con Gesù nel film a tema religioso che Orson Welles, regista spocchioso, sta girando alla periferia di Roma. La pellicola fu sequestrata per vilipendio alla religione; Pasolini nel 1964 fu assolto, ma il film subì tre tagli. In rete si può comunque trovare la versione integrale. Come al solito la censura fingeva di non capire che il bersaglio del regista non era la religione bensì la borghesia benpensante, ignorante e ipocrita, come si deduce da questa scena tra Orson Welles e il giornalista intervistatore. Un'Italia che purtroppo non si discosta tanto da quella odierna.





Il dubbio -
John Patrick Shanley (04/02/09)
Ambientato a Brooklin nel 1964 in una scuola parrocchiale in cui un prete (P. S. Hoffman) viene accusato di abusi sessuali da parte della direttrice Maryl Streep. Tutto il film risente dell'impostazione teatrale data originariamente dall'autore del testo, ora anche regista, nonché vincitore del premio Pulitzer. Fortunatamente, anche se la regia sembra un po' piatta e didascalica, la storia si regge grazie all'ottima sceneggiatura e alla prova fantastica di tutti gli attori: oltre ai due già citati, anche la giovane Amy Adams. I dialoghi e i tempi sono perfetti ed è un piacere assistere alla bravura mostruosa della Streep e di Hoffman, capaci di sfumature e profondità impossibili per la maggioranza degli attori comtemporanei.

Australia - Bazz Lhurmann (01/02/09)
Un grande dispendio economico e tempi lunghissimi per realizzare un'opera troppo ambiziosa e piuttosto pretenziosa, anche se spettacolare e a tratti divertente, solo nella prima mezz'ora. Il film è ambientato nel 1939 (guarda caso anno di uscita di Via col vento) e dopo alcuni spunti interessanti come il tema delle generazioni rubate, relativo ai bambini aborigeni, emerge un po' troppa melassa, troppi paesaggi ritoccati artificialmente e situazioni ampiamente prevedibili e scontate. Alla fine le due ore e 45 cominciano a farsi sentire. Dopo un'opera quasi geniale come Moulin Rouge, il regista australiano ha percorso una strada che forse non gli si addice.

Rachel sta per sposarsi - Johnatan Demme (10/02/09)
Notevole prova di maturità per Hanne Hathaway nei panni di un ex tossica con un pesantissimo fardello sulle spalle, in uscita dal centro di riabilitazione per recarsi al matrimonio della sorella. Per la sceneggiatura di Jenny Lumet (figlia del famoso regista) Demme sceglie un taglio realistico, quasi da filmino casalingo: telecamera a mano, luce naturale, musica diegetica (che alla lunga stufa non solo i protagonisti della storia ma anche lo spettatore) per rappresentare l'impatto devastante di questa ragazza all'interno di una festa di famiglie liberal fra le quali regna totale apertura per le differenze di razza, cultura e religione. Nei panni dello sposo Tunde Adebimpe, cantante dei TV On The Radio. La coda finale con torte, canti, balli multietnici e saluti è quasi noia e deja vu.

LEGENDA

mercoledì 28 gennaio 2009

I 10 musical più belli

Coloro che hanno l'abitudine di fare una capatina dalle mie parti sanno che Musica e Cinema sono le mie grandi passioni. Il musical ha la capacità di unire queste due arti, a volte in modo sublime. Il primo visto in assoluto fu Jesus Christ Superstar (fuori gara). Ormai di tempo ne è passato parecchio, ma la potenza di quelle immagini su un ragazzino ancora timorato di Dio sortirono un certo effetto. Da allora quando sento pronunciare la parola musical la mia attenzione viene catturata. Peccato che Broadway e Londra non siano dietro l'angolo e allora ci si accontenta del cinema. L'unico musical live che ho visto a teatro è stata una bella versione in lingua originale di Hair. Ecco allora il mio omaggio a questo genere sotto forma di classifica per quelli usciti dagli anni settanta in poi. Illustre escluso Mamma mia: non che sia inguardabile, ma c'è di molto meglio.
1. The Rocky Horror Picture Show - Jim Sharman 1973: "Touch me, touch me, touch me I wanna be dirty". Stracult, inutile aggiungere commenti.
2. The Blues Brothers - John Landis 1980: Quante volte l'avete visto?
3. Hair - Milos Forman 1979: Il musical più hippie e pacifista della storia del cinema. Esordì a Broadway nel 1968, scandalizzando per i temi affrontati (droghe e sessualità) e contribuendo a diffondere in America e nel mondo la cultura pacifista e l'opposizione alla guerra in Vietnam. Da qui è nato il concetto stesso di musical rock. Dopo aver realizzato quel capolavoro che è Qualcuno volò sul nido del cuculo, Forman girò la riduzione cinematografica del musical. Curiosità: al casting parteciparono anche Madonna e Springsteen, ma non furono scelti. Temi musicali che sono entrati nella storia del cinema e della musica. Let the sun shine in & fuck the wars.
4. Across the universe - Julie Taymor 2007: Forse lo sopravvaluto perché la sua visione è recente e l'entusiasmo è ancora fresco. Comunque dal punto di vista visivo e musicale è una manna per occhi e orecchie. Le canzoni dei Beatles sono riarrangiate da dio. Destinato a diventare un cult.
5. Tommy - Ken Russel 1975: L'ho rivisto da poco e specie nella seconda parte, quando cerca di lanciare messaggi risulta oggi un po' troppo retorico, ma l'impatto lisergico-sonoro è ancora pazzesco. Da rivedere Tina Turner che canta The acid queen o Elton John con i trampoli in Pinball Wizard.
6. Pink Floyd The wall - Alan Parker 1982: Ho amato molto di più il disco del film per motivi che è difficile e complicato spiegare, però non può mancare in questa classifica un'opera che ha fatto storia e la musica non si discute.
7. Moulin Rouge - Baz Luhrmann 2001: Geniale creazione del regista australiano. La storia d'amore è un pretesto per dare vita ad un baraccone kitsch, grottesco, a volte eccessivo, ma trascinante e con cover molto belle e originali di classici del rock: su tutti Diamond Dogs, rifatta da Beck. Nicole Kidman (bella come non mai) e Ewan Mc Gregor cantano veramente bene.
8. Nightmare Before Christmas - Tim Burton/H. Selick 1993: Una splendida favola dark, animata con la tecnica stop-motion in modo magistrale. Un unico neo: personalmente non sopporto la voce di Renato Zero, scelto nella versione italiana per cantare le canzoni. Per fortuna c'è Babbo Nachele che ha una marcia in più. Si consiglia la visione in lingua originale.
9. Il fantasma del palcoscenico - Brian de Palma 1974: Una rielaborazione del fantasma dell'opera e del Faust in chiave rock. Un classico del genere creato da un maestro del cinema.
10. Dancer in the dark - Lars von Trier 2000: Un po' di sano masochismo. Bisognerebbe frustare il regista danese per la cattiveria con cui si accanisce sulla povera Bjork, però il fascino del Dogma (e anche della sfiga) ti cattura fino alla fine.
Trailer originale di Tommy

mercoledì 21 gennaio 2009

The Omega man

Nel paese dove sono nato e cresciuto c'erano tre cinema, ormai chiusi da vent'anni. Io abitavo di fianco ad uno di essi: il glorioso Cinema Italia. Da questa vicinanza nacque la mia passione per la settima arte, che ha preceduto di qualche anno quella musicale. Tutte le domeniche pomeriggio doppia proiezione: sempre un western, seguito da un film di altro genere. Dopo gli otto anni cominciai ad andare da solo, il gestore era amico dei miei genitori e mi conoscevano tutti, dal bigliettaio all'omino che vendeva ceci e brustoline. Bastava uscire di casa e girare l'angolo per ritrovarsi nella galleria coperta dove c'era l'ingresso del cinema. Era una specie di porticato che collegava due strade del centro, sempre tappezzato con i manifesti dei film in programmazione: uno dei luoghi prediletti della mia infanzia, insieme alle case abbandonate o in costruzione. Nei pomeriggi di noia, mi ritrovavo spesso a fantasticare davanti alle suggestive immagini dei manifesti che mi parevano enormi. Leggevo tutto: i titoli, i nomi degli attori, le presentazioni e spesso mi immaginavo le trame film che forse avrei visto. I titoli più famosi erano segnalati da un cartoncino rettangolare con la scritta GRANDE SUCCESSO. Ogni tanto qualche buontempone si divertiva a modificare la scritta, strappando dalla parola "successo" le prime tre lettere. OCCHI BIANCHI SUL PIANETA TERRA (The Omega man) lo vidi quando facevo le medie. Ne rimasi così esaltato ma anche impressionato che la sera a letto non riuscii a prendere sonno e continuai a meditare per ore su quella storia, un misto di fantascienza e horror. Nel gruppo dei miei amici diventò un vero e proprio cult: l'uomo che rimane solo sulla Terra e deve sopravvivere. Ci sbizzarrivamo ad inventare situazioni, possibilità, sottotrame, soluzioni ai problemi di sopravvivenza. Con estrema curiosità l'anno scorso sono perciò andato a vedere Io sono leggenda, anch'esso tratto dal romanzo di Mathison del 1954 da cui nel 1963 era stato tratto anche L'ultimo uomo sulla Terra con Vincent Price. Il film con Will Smith non è che mi abbia entusiasmato e per rimanere su un genere che continuo ad amare, molto meglio 28 giorni dopo di Danny Boyle. Per chi come me è un appassionato di fantascienza apocalittica consiglio una pagina di wikipedia con tutta la filmografia del genere.
Tornando al discorso relativo alla chiusura dei cinema, oggi non c'è che da prendere atto che dopo gli ipermercati anche le multisale hanno preso il sopravvento (con i loro pro e contro). Dove abito però c'è ancora un piccolo cinema che con le unghie e con i denti resiste alle spallate di questo monopolio. Ritornerò prossimamente su questo argomento.

mercoledì 3 dicembre 2008

"Ecco cosa succede quando cerchi di fottere chi non conosci"


Il recupero dei soldi del riscatto da parte di Drugo (alias Lebowski/Jeff Bridges, uno che ha capito tutto della vita) e quel cazzone del suo amico Walter (John Goodman) che come al solito non ne azzecca una. Una delle tante esilaranti scene di questo film che non mi stanco mai di rivedere. Una galleria di personaggi grotteschi ed indimenticabili creata dalle menti prolifiche dei Coen brothers. Il loro film che preferisco insieme a Fargo e No country for old men.

venerdì 5 settembre 2008

Il film più bello dei fratelli Coen

Mi concedo un'uscita dalle piste musicali per omaggiare i due registi americani di cui ho visto tutti i films e che considero geniali. Dopo la presentazione al Festival di Venezia, uscirà il 19 settembre Burn After Reading, il nuovo film dei fratelli Coen e sicuramente andrò a vederlo. Oggi mi diverte stilare una classifica un po' particolare: quella dei loro film che più mi sono piaciuti.
Al primo posto Il grande Lebowski (1997), interpretato magistralmente da Jeff Bridges. Questo personaggio è diventato in pochi anni una icona per il suo spirito anarchico e libertario e per la sua filosofia di vita veramente "alternative." Vagoni di magliette vendute, fun clubs in tutta l'America com'è accaduto con Rocky Horror Picture Show e anche un libro: "La vita secondo il grande Lebowski", uscito lo scorso anno. Nel film ci sono altri personaggi memorabili come il reduce dal Vietnam, Walter (John Goodman), o il giocatore di boowling ispanico e pederasta Jesus (John Turturro). Da vedere e da avere assolutamente. Completano la mia personale classifica:
2) Fargo (1995)
3) Non è un paese per vecchi (2007)
4) Barton Fink (1991)
5) L'uomo che non c'era (2001)
Qual è il film più bello dei f.lli Coen?