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sabato 9 novembre 2019

Il VARCO

Le storie esistono ovunque, basta andarle cercare. Poi bisogna poi saperle raccontare, ma pochi ne sono veramente capaci. E' quello che sono riusciti a fare in maniera formidabile Federico Ferrone e Michele Manzolini, già autori di Il treno va a Mosca, con questo lungometraggio realizzato con materiale d'archivio e presentato a Venezia nel sezione Sconfini. Per completare l'opera i due registi si sono affidati alla voce di Emidio Clementi dei Massimo Volume e alla penna di Wu Ming 2. Due anni di ricerca in vari archivi hanno portato alla scoperta di materiali eccezionali girati privatamente da due soldati italiani durante la campagna russa della seconda guerra mondiale. Documenti incredibilmente preziosi che si sono salvati grazie al ritorno dei due militari da una licenza prima di un disastro che si può definire il cuore di tenebra italiano.


Dai registi:“La ricerca che abbiamo fatto ci ha portato a scoprire vari fondi archivistici realizzati dai soldati in Russia. Molti sono noti, come quelli dell’Istituto Luce, altri completamente inediti, come quelli delle famiglie Franzini e Chierici. Il punto forte è stato usare questo materiale per rompere con il documentario e inventare una storia verosimile, legata alle coordinate storiche. Usare un personaggio nuovo, di finzione, con particolari precisi (ha un passato sporco che lo perseguita dalla sua esperienza in Africa, ha legami famigliari con la Russia) ci ha dato una libertà. Creare questo personaggio pone delle questioni narrative e morali importanti, non tanto quando le immagini raccontano una storia collettiva ma quando si affronta la sua parte intima. Abbiamo utilizzato l’archivio personale di una persona reale per raccontare la vita privata nel nostro protagonista.

Nell'estate del 1941, la Germania nazista invade l’Unione Sovietica e poco dopo l’Italia manda i suoi primi soldati sul fronte ucraino. I giovani volti sorridenti affacciati ai finestrini del treno sono totalmente ignari dell'inferno che li attende. Si attraversa l'Austria, l'Ungheria e la Romania fino ad arrivare in territorio sovietico, in un'Ucraina spettrale e devastata dai bombardamenti, dove incontrano i primi prigionieri russi. L'esercito di Stalin sembra vicino alla resa... ma i conti si salderanno più avanti con l'arrivo del Generale Inverno. Quei volti segnati, quei militari che marciano in mezzo alle macerie e al fango aprono uno squarcio nella Storia e rimandano ai film di guerra più prestigiosi della storia del cinema come Orizzonti di Gloria. Ho vagato con la mente ai pochi ricordi della storia di mio nonno, che ho conosciuto solo da bambino, tornato traumatizzato dall'Albania con i piedi amputati per la cancrena e finito al Manicomio di S. Maria della Scaletta di Imola.
Nel complesso un fantastico lavoro di montaggio, musica e sceneggiatura. Un film ibrido; un esperimento ben riuscito attraverso un tipo di narrazione che impatta con forza anche con l'attualità, soprattutto quando gli autori realizzano un parallelo utilizzando riprese dei giorni nostri, essendosi recati negli stessi luoghi dell'Ucraina solcati dall'esercito italiano nel 1941. 
Dopo la proiezione c'è stato l'incontro con l'autore della colonna sonora (Simonluca Laitempergher) e con uno dei registi (Minzolini) particolarmente legato alle nostre zone, perché il suo primo film è nato proprio grazie al materiale girato dal padre ex-partigiano di una nostra amica, recatosi a Mosca negli anni '50. In sala abbiamo portato la sua gloriosa telecamera in Super 8: la prima che probabilmente ha filmato senza i filtri e in diretta l'inganno del comunismo di Stalin.




venerdì 9 agosto 2019

Dialoghi surreali sotto la canicola

Gli eventi familiari mi hanno riportato a frequentare il mio antico paesello. A volte fa uno strano effetto; un misto di nostalgia e disagio. Volti noti rivisti a decenni di distanza: ragazzini diventati adulti, giovani diventati vecchi; luoghi dell'infanzia quasi irriconoscibili, come i bar storici oggi gestiti dai cinesi. Dulcis in fundo, persone che ricordavi equilibrate con cui intrattenere dialoghi come quello che segue...

Mi fermo per un caffè e incontro una vecchia conoscenza.
- Ehi, ciao come va?
- Bene, bene sono in pensione da cinque anni.
- Beato te! Io ho ancora almeno dieci anni. Com'è possibile?
- Beh sai, lavoro usurante. Tutti gli anni sulle piattaforme!
- Giusto, è vero. Hai una buona pensione?
- Pensioni! Ne prendo dieci di pensioni.
- Cioè?? Ma va là! All'improvviso qualcosa non quadra.
- Sì, sì! Ho quella d'invalidità, quella di quando mi hanno fatto cavaliere del lavoro... (e via dicendo).
- Ah sì, e quanto prendi?
- Trentamila euro. Ogni mese ne risparmio 29. Sono anche il proprietario del bar e di tutto l'edificio.
- Ma non è mai stato dei tuoi genitori!
- La vecchia padrona mi ha regalato tutto.
- Ah, ok. Ma cosa te ne farai di tutto questo patrimonio che non hai figli?
- Lo regalo, qualcosa darò anche a tua sorella.
- Grande, anche perché lei la pensione non ce l'avrà mai. Quando la vedo glielo dico.
- Diglielo, diglielo.
 Lo dico spesso a quelli che conosco (più che altro per consolarmi):siamo sicuri che andare in pensione presto faccia bene?

Dalle mie parti qui in Romagna e anche nella mia famiglia c'è una discreta tradizione, diciamo così, di stravaganza e io ho sempre un gran rispetto per tutti coloro che deviano dalla norma. Qualche storia l'ho anche raccontata.

lunedì 29 ottobre 2018

Album vissuti: Bruxelles, Londra, Amsterdam 1979 - Regatta de Blanc

Ero da poco iscritto all'università di Bologna quando nell'autunno del 1979, con i soldi della vendemmia, partii solitario per un viaggio nelle capitali nord europee. Bruxelles, Londra ed infine Amsterdam, dove mi ero messo in testa di cercare Sante, un amico partito diversi mesi prima e dato per disperso anche dalla famiglia. In un'epoca in cui i cellulari non esistevano neppure nei libri di fantascienza, ebbi una botta di culo notevole e per una serie di circostanze casuali riuscii a scovarlo: viveva in un ex-brefotrofio occupato più che altro da olandesi e tedeschi. Anch'io, dopo due notti passate in un ostello, decisi di trasferirmi lì e di prolungare il viaggio. 
Finiti i soldi e le gozzoviglie, riuscimmo a trovare lavoro in un ristorante di lusso sul Mare del Nord. E' rimasto indelebile il ricordo della radio olandese che quasi tutte le sere, mentre lavoravamo, trasmetteva Message in a bottle o Walking on the Moon. Io e Sante eravamo stati assunti in nero per stare in cucina insieme a due egiziani. Io mi occupavo dei piatti che i camerieri portavano dalla sala: li vuotavo, li sciacquavo e li mettevo nella lavastoviglie. La giornata lavorativa iniziava verso le 17: mangiavamo e quindi ci si metteva al lavoro. C'era un ottimo pasticcere e ogni sera potevo assaggiare diversi tipi di dolce che a volte i clienti del ristorante neppure sfioravano. Le serate libere spesso le passavamo dai nostri vicini di stanza, sempre forniti di cibo e birra: un tedesco e un inglese di nome Terry. Il tedesco era di poche parole, lo chiamavamo l'uomo di Neanderthal perché aveva i capelli lunghi, barba incolta e biondiccia, naso da pugile; prendeva le bottiglie di birra, toglieva il tappo con i denti e le scolava. Terry invece era un personaggio da film: scuro di pelle, tutto tatuato; era stato nella legione straniera e in giro per il mondo. Ogni sera ci raccontava storie incredibili ed anche se a prima vista sembrava un po' inquietante, ci aveva come adottato ed era sempre cordiale e protettivo nei nostri confronti. Entrambi lavoravano come muratori e Terry, per sottolineare la durezza del lavoro, ci ricordava spesso, battendo le nocche nel muro: "The wall is concreet", mentre il tedesco annuiva scimmiescamente in segno di approvazione. Ai primi di dicembre fummo licenziati senza preavviso e venimmo a sapere da un cameriere italiano che ci avevano sostituito con altri due egiziani: sicuramente avevano accettato il lavoro per una paga inferiore. Ormai era Natale e con grande sollievo dei miei genitori, ma gran dispiacere di Terry, decisi di tornare a casa; ritornò in Italia anche Sante, ma col tempo prendemmo strade molto diverse. Lo rividi raramente, si stava perdendo e rimasi gelato quando, alcuni anni dopo, venni a sapere che ci aveva tragicamente lasciato.

Anche se non sono stato un fan accanito dei Police, questo loro secondo album mi è rimasto nel cuore: oltre a piacermi ancora un sacco, mi commuove, perché ricorda l'amico col quale ho condiviso un periodo pazzesco della mia vita. Un disco dove Sting, Copeland e Summers, se proprio non inventano un genere, ci vanno molto vicini, creando un sound unico e impossibile da non riconoscere: un vero marchio di fabbrica. In certi ambienti veniva criticato e perfino sbeffeggiato (come ricordo di aver visto fare dai Damned dal vivo). In piena era post-punk appariva troppo leggero e commerciale. Io stesso preferivo i Joy Division che lo stesso anno (pochi mesi prima) erano usciti con Unknown Pleasure, ma come in tutti i dualismi che si rispettino, ombra e luce coesistono e si alternano a seconda dei periodi ed entrambi questi album sono nella lista di quelli che porterei sulla classica isola deserta.

lunedì 20 marzo 2017

Rhiannon Giddens - A volte per andare avanti bisogna saper guardare indietro

... alle radici e all'anima della musica



Pochi mesi fa una sera d'inverno, dopo cena si discute di musica fuori dall'osteria e come un fantasma compare e si unisce a noi un vecchio amico, nonché cugino e mentore detto Silver Mask (per via di una storia spassosa che prima o poi racconterò). L'ex chitarrista del mio gruppo suona ancora nella casa di famiglia adibita a sala prove e Silver Mask che abita lì vicino, spesso l'ha sentito e gli chiede:
- Ma che robaccia suoni!?
- Beh, sto sperimentando. Cerco di andare avanti, di fare delle cose nuove.

S.M. scossa la testa e sentenzia:
- Ricordati che a volte per andare avanti bisogna tornare indietro. Il blues, il folk...

Disorientamento nel volto del mio amico chitarrista mentre io (dopo diverse birre medie) me la rido di gusto. Sembra un dialogo da film, ma giuro, l'ho riportato tale e quale.
Poi a distanza di mesi mi imbatto in questo disco di Rhiannon Giddens recensito ottimamente nel blog di Blackswan e ascoltandolo arriva il flash: è la frase che mi torna in mente. Sempre stato un grande Silver Mask: la quasi totale cecità che l'ha accompagnato fin da bambino ha acuito altri sensi oltre che la sua sensibilità. Certa musica da giovanissimo l'ho conosciuta solo a casa sua.
Come ho commentato nel blog di cui sopra: L'ho ascoltato tutto oggi pomeriggio sdraiato sul divano e non credo sia stata solo la febbre a farmi venire i brividi. 
Un disco che parla di temi attuali, con un percorso che si evolve in modo sorprendente, partendo dalle radici musicali con la sensibilità dei nostri tempi. Album del mese su Rootshighway

venerdì 6 settembre 2013

La teiera volante a New York: 4 - Chelsea Hotel

Fa una certa tristezza vedere i dodici piani del Chelsea Hotel in ristrutturazione per ricavarne appartamenti di lusso. Ci hanno concesso di entrare appena nell'ingresso per dare una sbirciata veloce e poi leggere le targhe all'esterno, fra cui quelle dedicate a Leonard Cohen e Dylan Thomas. E così anche l'hotel dai mattoni rossi costruito nel 1883 e trasformato dal 1905 in albergo per clienti a lungo termine, finirà il suo corso.
Più che un albergo “Il Chelsea” passava per essere “La Casa” dove la libertà dello spirito, la tolleranza delle diversità, facevano il palo con l’arte e la creatività. Insomma, un rifugio ideale per tutti gli artisti, talentuosi e non. (M. Pipitone).
Arthur Miller, Mark Twain, Edgar Lee Masters Jack Kerouac, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Tom Wolfe, Andy Warhol, Dylan Thomas, Edith Piaf, Janis Joplin, Leonard Cohen, Bob Dylan, Joni Mitchel, Lou Reed, Andy Warhol, Charles Bukowski, Allen Ginsberg, Patti Smith,  Robert Mapplethorpe,  Basquiat...
Difficile citarli tutti: musicisti, artisti, scrittori e poeti che hanno lasciato un segno nella formazione di più di generazioni. Resterà nella storia.

giovedì 19 luglio 2012

Message in a bottle (Amsterdam 30 anni dopo)

Sabato voleremo in Olanda per visitare Amsterdam e dintorni. C'è qualcuno della teiera che non c'è mai stato; per qualcun altro si tratta invece di un ritorno emozionante. 

Arrivai dopo esser già stato a Bruxelles, ospite di un amico e a Londra e mi fermai per tre mesi: terza tappa del mio viaggio europeo con i soldi guadagnati dalla vendemmia. Il problema era che le finanze erano quasi finite e dopo la prima notte passata in una bettola, mi adattai velocemente alla vita da squatter trovando alloggio in una delle tante stanze di un ex brefotrofio occupato. Abitavo insieme ad un altro ragazzo italiano e a Uwe, storico e integerrimo fricchettone tedesco, sopravvissuto al suicidio della sua generazione. Di lì a poco, trovai anche lavoro in un ristorante di lusso e conobbi una serie di persone che mi sono rimaste impresse nella memoria.
Terry: Era un muratore inglese che abitava di fianco alla nostra stanza. Filosofo ed ex mercenario, spesso alla sera ci invitava a bere una cassa di birra in compagnia del suo amico-collega: un bestione tedesco di poche parole; lo chiamavamo l'uomo di Neanderthal perché aveva i capelli lunghi, barba incolta e biondiccia, naso da pugile; prendeva le bottiglie di birra, strappava il tappo con i denti e le scolava. Terry, invece, era un personaggio da film: pelle scura, tutto tatuato (cosa allora non di moda), con il pizzo; era stato nella legione straniera e in giro per il mondo. Ci raccontava storie incredibili e anche se a prima vista incuteva un certo timore, ci aveva adottato ed era sempre cordiale e protettivo nei nostri confronti.
Klaus: Un ragazzo tedesco, stravagante e logorroico, che spesso faceva incazzare Uwe con le sue uscite demenziali. Fannullone cronico, di giorno vagava nei parchi in cerca di funghi con i quali alla sera cucinava zuppe che a sentir lui avrebbero dovuto essere allucinogene. Mai assaggiate!
La fanatica religiosa: Una ragazza che ogni tanto si presentava per fare del proselitismo; non ricordo per quale ordine religioso. Il suo sguardo spiritato era piuttosto inquietante nonostante i discorsi su Dio e la fede. Mi ricordava la mamma di Carrie in Carrie lo sguardo di Satana di Brian de Palma.  
Gli egiziani: Lavoravano come me nel ristorante, ovviamente in nero. Apparentemente cordiali e amiconi, ma grazie a loro fui lasciato a casa da un giorno all'altro per far posto a dei loro amici che si accontentavano di una paga più bassa (così mi raccontò il caposala italiano).
Hare Krishna: Ottimo metodo per mangiare gratis (prima del lavoro al ristorante). Alla sera si poteva entrare come ospiti nella loro sede e dopo essersi sorbiti tutta la cerimonia, si gustava un'ottima cena vegetariana. 
Le ragazze olandesi: Belle e impossibili. Meglio socializzare con le turiste italiane.
Gong: Visti al Melkweg. Non la band originaria, ma la versione Pierre Moerlen's Gong.
Police: Non la polizia, ma il gruppo di Sting.
Nel settembre del 1979 uscì il singolo Message in the bottle: la colonna sonora di quel periodo.

martedì 10 luglio 2012

Bullshit commercial

Della serie pubblicità di merda

Della serie pubblicità di merda 2


Qualcuno le pubblicità le prende alla lettera.
Un episodio che mi è capitato circa un mese fa. Sono le otto di mattina e in auto vado alla panetteria che si trova di fronte ad una piazzetta con parcheggio. Mentre esco incrocio una donna che arriva di corsa barcollando sui tacchi. Dopo pochi secondi, quando mi avvio all'uscita del parcheggio (che in pratica è un incrocio), capisco il motivo della fretta: un SUV grande come il vagone di un treno merci ostruisce completamente il passaggio. L'auto è in moto e contromano e nel sedile dietro c'è un bambino con la zaino scolastico appoggiato sulle gambe. Aspetto un minuto, indeciso sul da farsi; sto per scendere quando vedo la tipa arrivare. Appena nota la mia faccia parte la giustificazione: - Nel parcheggio le macchine sono troppo strette e non ci passavo. Risposta fulminante: Comprare un'auto un po' più piccola no? 
(Il parcheggio è normalissimo: io non ho un'utilitaria ma non ho mai avuto problemi).

lunedì 25 giugno 2012

Quattro anni di blog

Il 25 giugno di quattro anni fa, da una piccola idea autobiografica, nasceva questo blog che un po' alla volta, fra alti e bassi (i secondi soprattutto in questo ultimo anno) è diventato una specie di secondo lavoro molto più divertente anche se assai meno remunerato di quello vero. Ricordo la soddisfazione quando il contatore cominciava a segnare i primi contatti e potevo leggere i primi commenti (che ormai si avvicinano a novemila!). Ringrazio perciò tutti voi amici bloggers e lettori che in questi anni avete contribuito attraverso critiche ed osservazioni a migliorare la teiera volante e a stimolarmi con le vostre idee.

Alcuni dati


Questo mi ha particolarmente stupito! Sarà attendibile?
Non c'è gara: al primo posto con più di centomila visualizzazioni il post che dopo qualche mese, con mio estremo stupore, ha fatto impennare le visite. Anche quello più controverso: all'inizio era divertente, poi a un certo punto ho disabilitato i commenti, stufo di  rispondere a improperi e bacchettate (spesso piene di kappa) di fans dei Litfiba o di qualsiasi altro artista non inserito in classifica. Però sono soddisfazioni. 

mercoledì 2 maggio 2012

Amoeba music (viaggio troppo breve nel paese dei balocchi)

Dieci anni fa nel paese dei balocchi
Luglio 2001: il nostro viaggio californiano in camper fa tappa a San Francisco per qualche giorno. Molto prima di partire c'era un nome segnato nella mia agenda: Amoeba Music. Non solo un immenso negozio di dischi (2.200 m²), ma il più fornito a livello mondiale di musica alternativa e indipendente con anche concerti settimanali gratuiti al suo interno: la locandina dei Sonic Youth era lì a testimoniarlo.
Una volta entrato, resto come ipnotizzato per un intero pomeriggio senza accorgermi del tempo che passa e senza decidere cosa comprare. Intanto la copilota con i nostri due amici ed i bambini aspettano pazienti in un parco nelle vicinanze. Quando vedo comparire mio figlio all'ingresso e subito dopo tutti gli altri, stanchi e affamati, ho in mano un misero cd di Lou Reed: "Lasciatemi qua, ancora un po!" imploro (considerate che il download selvaggio non era ancora entrato nelle nostre abitudini). Per amore dei figli e rispetto dei nostri compagni di viaggio ho dovuto concludere veloce prima che mi crescessero le orecchio da asino; per un giorno ancora ho continuato a sentire il richiamo delle sirene amebiche, poi il fascino della costa dell'Oceano Pacifico ha giustamente preso il sopravvento.
L'esperienza insegna: due anni dopo a Londra con la lista della spesa nel marsupio.

giovedì 12 aprile 2012

Struzzi e ciabatte nell'ex-era dell'ottimismo

Andy Singer
Qualche giorno fa mi serviva una ciabatta elettrica...

Sono al supermercato a fare la spesa e vedo il classico cestone stracolmo con offerte a 15 euro. Non mi pare un granché, per cui dovendo andare in un emporio dove hanno di tutto, mi sono detto che l'avrei potuta comprare lì. 
Entro, cerco un po' fra le corsie deserte e in uno scaffale vedo dei superciabattoni spaziali a sei prese senza prezzo.
Chiedo alla commessa che mi spara 50 euro e qualche centesimo! (???) Domando se è sicura perché non è possibile; al che va dal superiore il quale, dopo aver alzato gli occhi da una scrivania dalla quale non l'ho mai visto muoversi, le dice con aria distratta e scocciata di controllare il prezzo sul pc (in effetti mi pare un po' troppo). Dopo un paio di minuti, notando che la tipa non cava un ragno dal buco, mi avvio all'uscita dicendo: - Va beh, lasciate stare perché non la compro neanche se costa la metà. Tornando a casa mi viene in mente il negozietto del vecchio elettricista, ultimo baluardo cittadino di fronte all'avanzata dei megastore dell'ottimismo. A tal proposito, tutti ricorderanno il tormentone pubblicitario dell'unieuro con il povero Tonino Guerra come protagonista (chissà come riuscirono a convincerlo). Uscì su tutte le reti a partire esattamente dal 26 agosto 2001. Due mesi prima, per festeggiare la fine del mio mutuo casa, ero stato in vacanza in California e Arizona noleggiando un motorhome nonostante il cambio disastroso lira-dollaro (poi nel 2002 sarebbe arrivato l'euro... ). 
Direi che a distanza di un decennio siamo praticamente passati in un'altra era, allora immaginabile solo nei romanzi distopici. Dieci anni in cui l'illusione ottimistica di una crescita economica perenne è stata erosa fino all'osso. Chissà cosa ne pensa ora Gianni del profumo della vita. Non che sia obbligatorio vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto, ma ormai si è capito che la prospettiva di un futuro decente non sta più nell'abbondanza e nell'aumento dei consumi; il problema è che in tanti ancora fingono di non averlo compreso: conosco persone con le pezze al culo, che girano con il telefonino ultimo modello da 700 euro.
Fine del pistolotto sui massimi sistemi e torniamo al negozio del vecchietto simpatico. Entro e trovo con mia grande sorpresa due modelli di multipresa (da tre e da sei) la prima costa cinque euro. Affare fatto e fanculo a megastore, ipermercati e struzzi globalizzati.

giovedì 29 marzo 2012

Io, il punkoide e le radio libere

Negli anni in cui internet era ancora fantascienza per un ragazzo riuscire a comunicare attraverso i microfoni di una radio le proprie idee e la propria passione musicale era una fantastica opportunità.
Tutto era nato grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale del 1975 che dichiarava illegittimo il monopolio statale dei programmi via etere. Di lì a poco l'Italia fu inondata da migliaia stazioni locali in quella che fu la stagione la stagione delle radio libere: un laboratorio di comunicazione che coinvolse decine di migliaia di giovani appassionati. Nel 1980 la RAI aveva dimezzato gli ascolti.

Il punkoide era il suo soprannome beffardo. Come umanoide sta ad umano, punkoide stava a punk forse per sottolineare la carenza di attributi che ricordassero la sua appartenenza a tale movimento. Si distingueva da lontano per il caratteristico casco di capelli ricci, l'abbigliamento da bravo ragazzo e la pelle scura. Non so bene perché diventammo amici; frequentavamo lo stesso bar e sicuramente accadde per la comune passione per la musica. Mi stava simpatico perché a differenza di certi suoi coetanei (aveva un paio d'anni meno di me) non si atteggiava con divise d'ordinanza postdatate e spilline varie. Il punkoide era semplicemente un fanatico della musica e soprattutto del punk in tutte le sue declinazioni: dai Sex Pistols ai Dead Kennedys. Io avevo già dato e voltato pagina: era il periodo in cui ero fissato con la new wave contaminata con il funk (A Certain Ratio, Pop Group, Medium Medium, ecc...). Insieme mettemmo su questo programma settimanale di un'ora in una delle radio più squinternate della bassa romagna; certo non si può dire che non fosse libera. Si partiva con una borsa piena di vinili per iniziare alle 14 in punto; la sigla era dei Ramones ed il format era che si sceglieva alternativamente un brano a testa: lui punk ed io new wave, con tutto il seguito di discussioni e finte accuse infamanti reciproche. Finita l'ora, dovevamo rimettere in onda il nastro di canzoni a ciclo continuo (interrotte da saltuarie inserzioni di triste pubblicità locale), che serviva a tappare i buchi della programmazione pomeridiana.
Durante la trasmissione ricevevamo qualche telefonata. Ricordo che una volta venni accusato da un ascoltatore duro e puro e con le idee poco chiare di proporre della disco di merda; in un'altra occasione chiamarono due ragazze che volevano conoscerci. Il punkoide, perennemente arrapato, fissò un appuntamento per il pomeriggio della settimana seguente a fine trasmissione. Fuori dalla radio ci trovammo di fronte due ragazzine aspiranti punk con la ridarella. Quello stesso anno ci furono momenti di gloria quando la radio organizzò due concerti: Tuxedomoon (fantastici, oltre che superdisponibili) e Section 25. Dopo pochi mesi la radio chiuse: era la seconda volta che mi capitava; di Radio Graal, la radio fricchettona che ho frequentato da giovanissimo, ho già raccontato qualche tempo fa.

lunedì 23 maggio 2011

L'uomo che rubò il basso ai Killing Joke (e altri furti)


Il loro disco d'esordio fu un lampo che abbagliò il panorama di una galassia post punk in quegli anni in continuo fermento e quando vennero in Italia per la prima volta, tutti a vedere i Killing Joke.
Ricordo una ressa spaventosa e un caldo soffocante in un piccolo locale del bolognese. Jaz Coleman si presentò con il volto dipinto di nero; cantava a due metri da me con gli occhi spiritati, mentre la sua band lo accompagnava ad un volume quasi insostenibile. Non c'era palco, ma una piattaforma appena rialzata e separata dal pubblico solamente da tre gradini. A fine concerto, nella totale confusione, cominciò a circolare voce che era sparito il basso di Youth. Era vero! Venimmo poi a sapere che un personaggio, noto a molti per essere un po' losco oltre che folle, se l'era svignata da un'uscita di sicurezza con lo strumento in mano.

L'anno dopo fu il mio gruppo, in piena esplosione new wave, ad essere vittima di un furto: evento che ci mise in ginocchio proprio nel periodo in cui stavamo allargando il nostro raggio d'azione e cominciavamo ad incassare qualche soldino (reinvestito in strumenti musicali). Avevamo una casa di campagna adibita a sala prove e spesso venivano a sentirci amici e conoscenti vari. Probabilmente si era sparsa troppo la voce perché una sera trovammo la porta sfondata e la stanza quasi vuota. Era sparito il quattro piste avuto in prestito, oltre a strumenti vari fra cui la Gibson seminuova del nostro chitarrista. 

giovedì 3 giugno 2010

Claudio Lolli e la ca' de camel

I miei amici li ho chiamati piedi, perché ero felice solo quando si partiva.
(da "Analfabetizzazione - Disoccupate le strade dai sogni)

Claudio Lolli venne a suonare nel mio paese alla festa dell’Avanti. In quel periodo il partito socialista locale tentava di contattare i cosiddetti giovani, categoria eternamente tirata in ballo, per coinvolgerli nell’organizzazione delle feste e darsi un tono di modernità. Malgrado le perplessità iniziali io e altri amici accettammo e armati di pennelli e vernici disegnammo all’interno dell’area della festa un murales psichedelico; convincemmo inoltre i responsabili intrallazzoni del partito sulla necessità di far venire Claudio Lolli a suonare. Probabilmente manco sapevano chi fosse!
Erano i mesi successivi agli scontri di Bologna, alla chiusura di Radio Alice e all’uccisione di Lorusso; alcuni di noi frequentavano l’Università, altri gli ultimi anni delle superiori e tutti più o meno eravamo orientati politicamente in un certo modo, perciò la scelta del cantautore bolognese non fu affatto casuale. Malgrado il nostro scetticismo iniziale, il concerto si fece. Era appena uscito il nuovo album, Disoccupate le strade dai sogni, che prendendo spunto proprio dai fatti di Bologna non risparmiava bordate alla sinistra con brani polemici e sarcastici come La Socialdemocrazia. La serata si trasformò in un vero happening underground con la presenza fra l'altro degli amici di Radio Graal, la radio più fricchettona e anarchica di tutta la Romagna, in cui anch'io avevo appena iniziato a trasmettere. Ricordo le discussioni furiose alla fine del concerto con il segretario della FGCI locale che accusava noi e Claudio Lolli di provocazione politica ed esaltazione della violenza. In seguito nessuno ci convocò mai più; probabilmente anche quell’unica volta, dopo aver visto i primi disegni e gli slogan del murales, i responsabili si erano quasi subito pentiti, ma ormai era troppo tardi. L’esperimento del murales ci era piaciuto e qualche giorno dopo con i resti delle vernici pagate dal PSI dipingemmo la facciata della casa dove ci trovavamo. A fine lavoro l'elemento che faceva più spicco era un cammello in primo piano su uno sfondo a tema orientaleggiante. Da allora il cammello divenne a nostra insaputa l’emblema famigerato della casa. La gente del paese aveva soprannominato il nostro covo la cà de camel. Giravano leggende su quel luogo di perdizione da cui entrava e usciva gente di ogni tipo in quello strano periodo che fu il passaggio tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80: fricchettoni, indiani metropolitani, i primi punk (in seguito dark) e varia umanità con cui sono cresciuto negli anni dell'università ciondolando tra Bologna, il bar e la ca' de camel.
Non so se per iniziativa propria o se sollecitato da qualche cittadino, un pomeriggio si presentò alla casa un Ufficiale della Polizia Municipale che in modo informale e con un certo imbarazzo ci invitò a cancellare il murale. Questo non fu mai fatto malgrado altri blandi solleciti e attualmente il murale, seppure sbiadito, è ancora al suo posto.

domenica 17 gennaio 2010

Persi fra le montagne del Marocco

Ogni tanto sfogliare l'album dei propri ricordi è un esercizio gradevole. Sono passati trent'anni e la stesura del racconto che segue l'ho rimandato più volte, poi corretto e rivisto, perché ogni tanto emergevano nuovi particolari che la memoria mi restituiva. In certi momenti è stato come scorrere le sequenze di un vecchio film con un protagonista a me quasi estraneo.

Dopo aver viaggiato e anche lavorato per due mesi nel Nord-Europa (Bruxelles, Londra, Amsterdam) per poi trascorrere il Natale a casa, nel gennaio del 1980, con i soldi risparmiati partii con due amici in treno: destinazione Marocco. Ero iscritto al secondo anno di università, ma la voglia di viaggiare era più forte dei richiami al dovere e delle lamentele dei miei genitori. Lo zaino con il sacco a pelo, qualche indumento, un paio di libri e l'avventura poteva cominciare.
Dopo un interminabile trasferimento di quasi due giorni con pause a Malaga e Casablanca, raggiungemmo Marrakech e quindi in autobus Agadir, nel sud del paese a pochi chilometri dalla nostra meta finale: un villaggio di pescatori senza luce, nè acqua corrente di nome Taghazout. Lì affittammo una stanza con una scala che ci permetteva di salire sul tetto dal quale si godeva la splendida vista dell'oceano; il momento più bello era il tramonto, quando il muezzin chiamava i fedeli alla preghiera. Alla partenza, un amico con qualche anno in più, ci aveva raccontato di una valle sperduta fra le montagne, soprannominata Paradise Valley, dove fin dalla metà degli anni '70 si era formata una comunità di ragazzi provenienti da tutta l'Europa. Palme, piscine naturali con cascate e libertà totale. La zona era quella e così una mattina, dopo aver raccolto informazioni sull'itinerario dalla gente del posto, partimmo a piedi verso l'interno montuoso. Si aggregarono a noi un ragazzo e una ragazza austriaci. Di giorno il caldo si faceva sentire, ma l'escursione termica al calare del sole era notevole. Verso sera, dopo una giornata di cammino, un minimo di preoccupazione cominciò a serpeggiare, perché se non ci eravamo proprio persi, poco ci mancava. Decidemmo così di fermarci a dormire sotto due palme e di accendere un fuoco per scaldarci e cuocere delle patate. I rami di palma bruciavano come fiammiferi e ben presto lasciammo perdere il fuoco per tentare di dormire. Con l'avanzare della notte il freddo aumentò e quasi non riuscimmo a chiudere occhio, anche perché Bruno si lamentò tutta notte:- Dove mi avete portato! Voi siete pazzi, io domani me ne torno in Italia e via dicendo. Al mattino i due ragazzi austriaci decisero di tornare indietro, mentre io ero determinato a proseguire: secondo le indicazioni non dovevamo essere distanti. Il problema era la mancanza d'acqua e di anima viva, inoltre la stradina sterrata era ormai diventata un sentiero. Proseguendo stanchi e assetati, nel primo pomeriggio vedemmo dall'alto una valle dove scorreva un torrente; un luogo incantevole con le palme: una fascia in cui la vegetazione tropicale si mischiava alla macchia mediterranea. Scendendo incontrammo un anziano marocchino a dorso di mulo. Cercai a gesti di fargli capire che morivamo dalla sete, ma lui per tutta risposta aizzò l'animale allontanandosi. Per fortuna, spuntarono alcuni ragazzini che dopo alcune spiegazioni, ci condussero ad un pozzo nascosto dalle pietre.
Nel pomeriggio raggiungemmo quella valle: era splendida, il torrente formava una cascata con una pozza in cui fare il bagno. Il problema era che per una qualche ragione da diversi mesi non ci stava più nessuno; ce lo spiegò un hippie olandese che si era materializzato con il suo furgone lungo la ritrovata strada sterrata. Io non ero convinto e insistetti, chiedendogli se era sicuro e se il posto era proprio quello in cui ci trovavamo. Risposta filosofica:- Ogni posto dove stai bene con te stesso è Paradise Valley. A quel punto, affamati e stravolti, gli chiedemmo di riportarci al nostro villaggio, dove avevamo lasciato una parte delle nostre cose. Un po' scocciato accosentì, ma prima avrebbe fatto il bagno con la sua compagna per poi preparare qualcosa da mangiare (il che non ci dispiaceva). Quando ci venne a chiamare per una fetta di torta ci eravamo assopiti all'ombra delle palme dopo un bel bagno ristoratore. Mi sarebbe piaciuto restare, ma senza tenda e la possibilità di spostarsi su un mezzo proprio non avrebbe avuto senso. Il viaggio di ritorno al tramonto fra colori e paesaggi incredibili fu un'esperienza mistica, nonostante gli strapiombi che lungo i tornanti sembravano sul punto di inghiottirci.
Cercando in rete ho scoperto che quei luoghi unici sono diventati meta di trekking all'interno di circuiti turistici. La grande spiaggia del paese dove avevamo affittato la stanza è ora una rinomata zona di surfisti, che vengono da tutta Europa.
Allora c'eravamo solo noi, pochi altri ragazzi tedeschi e qualche freak sopravissuto. Passammo momenti indimenticabili. Quel viaggio e quei luoghi mi sono rimasti nell'anima insieme forse a qualche frammento di quella voglia di libertà che guidava le mie fughe.

domenica 20 dicembre 2009

La testa del premier


Dal sito Carmilla online segnalo La facciata, di Alessandra Daniele: breve racconto (di fantasia?) di ciò che è successo dopo l'aggressione ad un noto primo ministro.

lunedì 5 ottobre 2009

Conto uno, conto due

Giugno 2008. Da qualche tempo avevo in testa una ventina di storie personali legate alla musica. Un paio in verità le avevo già scritte e giacevano inutilizzate da mesi in un cartella. Nacque così l'idea del blog che all'inizio volevo intitolare Album vissuti. Mai avrei pensato ai bei contatti con tutti coloro che, passando da qui, mi hanno arricchito e stimolato ad andare oltre. Per questo motivo mi piace riproporre alcune di queste storie, scritte quando la teiera volante era appena nato.

ALBUM VISSUTI
David Bowie - Hunky Dory


Secondo anno delle superiori. Avevo già ascoltato qualcosa di David Bowie, ma il giorno in cui andai a casa di Capo (questo era il suo soprannome di cui ignoro le origini), feci una vera full immersion e lì sentii per la prima volta questo splendido disco che contiene capolavori come Life on Mars. Conobbi Capo il giorno in cui mio cugino, detto il Man (più grande di me di un paio d'anni), mi invitò a casa dell'amico dove stava andando a suonare. Io ero perplesso perché era risaputo che erano entrambi un po' sciroccati, però ebbe il sopravvento la curiosità di vedere che cosa riuscivano a combinare. Ricordo che in soggiorno c'era un pianoforte che Capo sapeva suonare da autodidatta, un buonissimo impianto stereo e tanti dischi tra cui tutti gli album, vari singoli, bootleg e spartiti di Bowie. Capo per tutto il pomeriggio suonò il pianoforte, ci mostrò e ci fece ascoltare diversi dischi e non fu difficile cogliere nei suoi atteggiamenti e nella sua enfasi un'insana e maniacale passione per il Duca Bianco. In seguito, incontrandolo altre volte e parlandoci, mi resi conto che la realtà che Capo viveva e percepiva era quasi sempre filtrata attraverso la musica e i testi di Bowie; con lui era molto difficile e complicato conversare di altri argomenti. Avevo la sensazione che vivesse una condizione di fragilità preoccupante. Nei mesi successivi non ci feci molto caso, ma non si fece più vedere in giro e un giorno chiesi al Man se ne sapeva qualcosa. Mi raccontò che era stato ricoverato in preda a crisi depressive e sentendosi un po' in colpa, mi spiegò che forse anche lui aveva contribuito a questa situazione. Con la sua tipica flemma (opposta alla costante febbrile eccitazione dell'amico), mi raccontò che Capo, non si sa in base a quali principi etici, aveva sempre sostenuto fermamente che una persona nella propria vita, una volta ottenuto un lavoro, doveva mantenerlo per sempre, altrimenti era da considerarsi un fallito. Come il Man appunto, additato di continuo come esempio negativo poiché aveva già cambiato più volte posto di lavoro. Ormai non si frequentavano quasi più, ma la morale che Capo si era imposto gli si ritorse contro, perché il Man al primo lavoro perso dell'ex-amico lo aspettò al varco e incontrandolo per strada gli urlò: "Conto uno!". Quando anche il secondo lavoro andò in fumo, fu la volta di "Conto due", parole che il Man gridava con regolarità implacabile ogni volta che si incrociavano, nel bar o lungo la strada. L'epilogo si ebbe quando il Man, consapevole di colpire nel segno, un giorno al termine di una discussione gli gridò: "Tanto si sa che ormai la musica di Bowie la fa Brian Eno al computer!" Capo, sicuramente non solo per questi motivi, andò fuori di testa. I suoi genitori si presentarono addirittura a casa del Man a fare una scenata, attribuendo a lui la colpa per la depressione del figlio e intimandogli di non tormentarlo più con le sue perfide frasi. Rividi Capo in circolazione dopo cinque-sei anni, visibilmente sedato ed ingrassato. Mi salutò e scambiammo qualche parola stentata: due ragazzi, quasi adulti in imbarazzo reciproco.
Il Man un giorno mi fece leggere alcuni suoi scritti stralunati (alla Syd Barrett): erano poesie e testi di canzoni dai titoli improbabili tipo Canto d'addio al cosmico Daniele. Uno mi colpì, perché il finale era divertente: narrava in versi un episodio vero riguardante questo suo amico sprovveduto che per un paio di anni, quando in paese arrivava l'autoscontro gestito da un omone obeso, si faceva assumere come lavorante, sperando di guadagnare qualche soldo. Finiva così: "...ma alla fine della settimana di lavoro il grasso padrone non gli dava dei soldi bensì gli dava del pazzo".

lunedì 24 agosto 2009

Il costo dei nostri cellulari

Un articolo letto qualche giorno fa mi ha colpito e mi ha spinto a cercare ulteriori informazioni in rete su un conflitto poco conosciuto che da diversi anni sta devastando la Repubblica Democratica del Congo (ex-Zaire) e coinvolgendo altri stati confinanti dell'Africa centrale nel silenzio quasi totale dei media. Dopo aver consultato varie fonti ho capito che è in atto una vera e propria guerra, il cui scopo è l'approvvigionamento del coltan (contrazione per columbite-tantalite), una specie di sabbia nera da cui si estrae il tantalio: conduttore termico fondamentale per la produzione soprattutto di telefonini ed altri gingilli elettronici presenti in ogni casa. Una massa di poveracci, sfruttati e in seguito spesso schiavizzati sotto la minaccia delle armi, lavora nel sud e nel nord Kivu, la regione in cui dieci anni fa sono stati scoperti enormi giacimenti di coltan. Per capire l'importanza commerciale di questo prodotto basta ricordare che nel 2000 il lancio della play-station 2 subì dei ritardi proprio a causa della carenza momentanea di coltan, estratto nelle miniere australiane e brasiliane. Il suo costo, nel giro di pochi anni è quintuplicato. Questo business delle società occidentali va a finanziare, a seconda delle convenienze, le opposte fazioni di una guerra civile che ha coinvolto oltre al Congo, nazioni confinanti come Ruanda e Uganda che appoggiano le forze ribelli anti-governative. Tutto ciò ha causato la morte di milioni di persone, altrettanti profughi, nonché la distruzione della fauna dei parchi nazionali presenti in quelle zone (nel 1996 erano presenti 3600 elefanti, ora praticamente spariti).
Di fronte a questo e ad altri tragici eventi del genere, non si può fare a meno di sottolineare la stupidità e la grettezza dei nostri governanti che, con l'introduzione del reato di clandestinità, illudono gli italiani di poter arginare il fenomeno dell'immigrazione. Fino a quando le politiche economiche occidentali saranno queste, continueranno ad arrivare persone non solo dall'Africa, ma da ogni angolo del mondo sfruttato e sottosviluppato (un altro esempio attuale è l'Eritrea), nonostante tutto e tutti, anche se gli venissero bombardati realmente i barconi e non solo per finta come invitava a fare in un videogioco il subumano microcefalico figlio di Bossi.
"Siamo la loro carne, le loro bestie". "Voi cosa fareste con una pistola puntata in faccia?"
(Testimonianze di minatori congolesi, da "la Repubblica" 10 agosto 09)
Meditate, voi che possedete più telefonini o che li cambiate dopo pochi mesi di utilizzo.
Per ulteriori approfondimenti
http://www.womeninthecity.articolo21.com/it/notizia.php?id=1268

giovedì 30 aprile 2009

Attitudine punk

Il mio primo gruppo musicale aveva un'attitudine new wave. Mentre a Bologna c'era già un certo fermento (Skiantos, Gaznevada), in quel periodo nella bassa romagna le band che cercavano di esprimere qualcosa che non fossero cover anni '70 o hard rock stile Van Halen, erano veramente poche e ci si conosceva tutti. Ci ritrovavamo a suonare in quelle rassegne di gruppi locali che ogni tanto venivano promosse per i "giovani" o alle feste dell'unità. In una di quelle occasioni avevo conosciuto due ragazzi (basso e batteria) che avevano messo su un gruppo e che ci davano giù di brutto, in tutti i sensi. Loro avevano un'attitudine punk innata, non solo nella musica, ma proprio come stile di vita.
Dalle nostre parti c'era una grande discoteca dal target fighetto/tamarro che ogni tanto, avendo intravisto il business, organizzava concerti e così una sera ci ritrovammo insieme a vedere i Damned. Da lì cominciammo a conoscerci e a frequentare saltuariamente questo luogo che in realtà detestavo, di solito a tarda ora. Bastava un pezzo un po' più ritmato e finalmente la serata si movimentava: G e Pier si lanciavano a pogare come forsennati seminando il panico e lo scompiglio nella pista, che ben presto si svuotava, visto anche l'aspetto minaccioso e la stazza notevole dei due soggetti. Bastò che la scena si ripetesse diverse sere perché i ragazzi cominciassero a diventare un problema. Così una sera furono avvicinati da Verdone, uno dello staff (fra l'altro mio amico di infanzia) così soprannominato per la stazza, e invitati nell'ufficio del direttore o del padrone del locale. Quando uscirono, tutti soddisfatti mi invitarono a mangiare nel costosissimo ristorantino della discoteca: in pratica gli era stata offerta una cena con la promessa di non danneggiare più l'immagine del locale. Li seguii perplesso, mi pareva strano conoscendoli che avessero accettato il compromesso. Ci sedemmo, ordinammo da bere e G propose un brindisi, finito il quale lanciò il bicchiere contro la parete, subito imitato da Pier. Ora li riconoscevo! Si metteva male; tempo dieci secondi e Verdone si precipitò al tavolo infuriato, dovendo però mantenere un certo contegno per il bonton del locale. Giuro, mi pareva di essere in un film; può anche darsi che G fosse stato ispirato da Blues Brothers che era uscito in quel periodo, tra l'altro come corporatura e fisionomia ricordava non poco John Belushi. Per concludere, Verdone avvisò che avrebbe chiamato i carabinieri e a quel punto io mi defilai con l'approvazione dei due che non vollero mettermi in mezzo. In effetti si stava andando veramente oltre; loro comunque, malgrado tentassi di convincerli, non si sarebbero mossi dal ristorante. Dopo pochi minuti arrivò la volante e furono accompagnati all'ingresso alla presenza di Verdone per chiarimenti. Fu a quel punto che la situazione precipitò, perché alla domanda delle forze dell'ordine relativa ai bicchieri rotti, G rispose con aria ingenua che non capiva tutto quel caos: erano stati invitati a cena dal padrone e i bicchieri si erano rotti durante un brindisi. Verdone, sentendosi preso per il culo, perse il lume della ragione e all'istante si scaraventò contro G. Entrambi andarono a sbattere con violenza inaudita contro l'auto dei carabinieri ammaccandola in maniera vistosa. I carabinieri basiti rimasero immobili; Verdone resosi conto della cazzata e del fatto che la situazione gli si stava rivoltando contro si calmò immediatamente e tutto finì con pacche sulle spalle. L'unica a rimetterci alla fine fu l'auto dei carabinieri. Non ho mai saputo chi risarcì il danno.
Quando incominciai a frequentare l'università a Bologna li persi di vista, i due fenomeni. Ogni tanto qualcuno mi aggiornava sulle loro gesta. Dopo vent'anni ho rincontrato G per caso all'ospedale, eravamo entrambi in visita ai genitori. Credo che ora faccia il rappresentante; la somiglianza con John Belushi c'è ancora tutta, anche se è svanito lo sguardo truce di un tempo: un ex-punk quarantenne in piena forma, un po' stempiato, con la faccia simpatica e la battuta pronta. Molto più dignitoso di John Lydon.
Dead Kennedys - Too drunk to fuck
mp3

mercoledì 15 aprile 2009

Ti ricordi quando eri di plastica?

Manet - bevitore d'assenzio 1859
Dopo il chiromante, ecco un altro personaggio appartenente alla galleria di strambi fantastici che si potevano incontrare nel mio paese d'origine.
Wilkinson aveva un'età tra i 40 e i 50 anni, era basso di statura e corpulento, portava barba e capelli lunghi ma l'abbigliamento era sempre molto curato, con un tocco di classe dato dai cappelli a tesa larga che quasi sempre indossava. Abitava con la madre, non lavorava e tutti i giorni percorreva il marciapiede del corso principale facendo tappa metodicamente in tutti i bar a bere superalcolici. Un po' ci metteva soggezione, ma era diventato l'idolo di noi giovinastri perché i suoi numeri erano improvvisi ed esilaranti. Di giorno solitamente parlava poco, forse perché troppo impegnato nell'opera di autodistruzione etilica e se si rivolgeva a qualcuno, non lo faceva per dialogare, ma per esprimere un concetto o un ragionamento non sempre di facile interpretazione. Una frase ermetica diventata storica fu quella che pronunciò verso di me in dialetto una volta che lo incrociai sulla porta del bar: - Ti ricordi quando eri di plastica?
Un po' più pesante fu l'invettiva che un pomeriggio urlò rivolto al prete, vedendolo passare: - Le suore le abbiamo già cxxxxxxe tutte, adesso vogliamo inxxxxxxe i preti. Eravamo seduti all'esterno del bar e l'imbarazzo fu totale, ma tutti lo conoscevano e lo tolleravano, tanti lo avevano in simpatia. Con il passare degli anni la sua camminata si fece sempre più lenta e strascicata, il respiro affannoso; l'alcol lo stava debilitando e probabilmente fu proprio in quel periodo, quando fu obbligato a ridurre il suo consumo, che cominciò a soffrire di delirium tremens. Fu visto e sentito mentre urlava guardandosi attorno: - Wilkinson dove sei? Lo so che sei venuto a uccidermi. Chissà da quale incubo era uscito il suo uomo. Brutta bestia l'alcolismo.
Quando era ancora in forma ogni tanto lo si vedeva sfrecciare con il Cavalcone, il motore da cross che ben presto gli venne requisito. Finì anche nelle cronache locali perché un giorno salì senza essere visto su un furgone del latte, lo mise in moto e fuggì. Fu avvistato e inseguito dalla polizia sulla strada per Bologna. Vistosi raggiunto, accostò il furgone, scese e tentò la fuga nei campi. I poliziotti, una volta che l'ebbero catturato e identificato, capirono subito che non era un furto "normale" e quando gli chiesero il motivo del suo gesto, rispose che l'aveva fatto perché voleva andare al concerto di Patti Smith. Il giorno dopo sulla cronaca locale: "RUBA FURGONE DEL LATTE PER ANDARE AL CONCERTO DI PATTI SMITH".
Ci eravamo affezionati e la sua presenza accompagnava i nostri pomeriggi di studenti svogliati e le calde notti estive, quando si tirava tardi davanti al bar già chiuso. Spesso si affacciava e quando era in forma cominciavano discussioni surreali sui massimi sistemi. Quasi mai veniva preso in giro, perché in fondo lo sentivamo come uno di noi; noi che non volevamo integrarci e tentavamo di sfuggire alla vita monotona di provincia. Qualche stupido ogni tanto ci provava, ma Wilkinson aveva una specie di radar: con calma e compostezza, chiudeva gli scuroni e con un cordiale "buonanotte ragazzi" usciva di scena: un vero loser di classe. Una sera vedemmo del fumo uscire dalla finestra e poco dopo arrivarono i vigili del fuoco: Wilkinson aveva dato fuoco al letto. "E brusa ben parò" fu il suo secco commento in dialetto.
Se ne andò per sempre versò la metà degli anni '80. Amici di un gruppo rock locale composero e gli dedicarono una canzone. Chissà quale splendida poesia in musica avrebbe composto Faber se lo avesse conosciuto.