Ci pensa Tobias Jesso, cantautore canadese di Vancouver col suo album d'esordio intitolato Goon. Molto vintage e molto derivativo. Volendo essere obiettivi nei dodici brani la formula non è sempre così indovinata, però la qualità è indiscutibile: prendete Elton John e McCartney, mischiatene le melodie e usciranno delle gran belle canzoni come questa.
Benvenuti a bordo. Suoni, visioni e liberi pensieri dall'universo musicale e da altri mondi paralleli . . . . . .
sabato 28 marzo 2015
mercoledì 25 marzo 2015
Nonno Massimè e l'adolescenza spericolata
Nonno Massimè (Massimino) era nato nel 1904 e faceva il falegname. Era specializzato in cucce per cani, scale e piccoli attrezzi che vendeva al mercato.
Da buon romagnolo era anti-clericale e passava le sere all'osteria a bere e declamare versi in dialetto. Era semi-analfabeta, ma è stato uno degli ultimi raccontatori della Zirudela: un componimento ironico in rima baciata che veniva creato a memoria e declamato in pubblico, alle fiere, ai pranzi o alle feste. Tempo fa ho scoperto che nonno Massimè nel 1978 venne invitato presso la biblioteca pubblica a registrare la sua storia e a declamare le Zirudel che aveva creato nel corso degli anni su vari avvenimenti personali, locali, ma anche nazionali, come la guerra e il fascismo.
Un giorno nel cortile vidi un camion pieno di legna che stava scaricando; mai vista così tanta e chiesi una spiegazione al nonno:
I m'ha det "Piò ca nin tulì, manc la còsta" Alora me: "Dasiman intant che a sén a péra!"Mi hanno detto: Più ne prendete e meno costa. Allora io: "Datemene finché siamo pari".
Quando io e miei cugini lo facevamo incazzare, bisognava correre in fretta perché poteva lanciarci contro qualsiasi cosa bestemmiando in dialetto tutti i santi e i parenti che ci avevano generato. Ben presto però avevamo capito che era solo una mossa intimidatoria, infatti l'attrezzo volava sempre a una certa distanza. Alla fine era diventato un gioco, anche se a volte lo facevamo veramente imbestialire. Il momento migliore era di sera, quando le giornate si allungavano e si poteva uscire a giocare anche dopo cena. A volte capitava di incontrarlo di ritorno dall'osteria; se era di buon umore (e molto spesso lo era grazie a Bacco) era l'unica occasione in cui si riuscivano a scroccare le 500 lire.
Quando io e miei cugini lo facevamo incazzare, bisognava correre in fretta perché poteva lanciarci contro qualsiasi cosa bestemmiando in dialetto tutti i santi e i parenti che ci avevano generato. Ben presto però avevamo capito che era solo una mossa intimidatoria, infatti l'attrezzo volava sempre a una certa distanza. Alla fine era diventato un gioco, anche se a volte lo facevamo veramente imbestialire. Il momento migliore era di sera, quando le giornate si allungavano e si poteva uscire a giocare anche dopo cena. A volte capitava di incontrarlo di ritorno dall'osteria; se era di buon umore (e molto spesso lo era grazie a Bacco) era l'unica occasione in cui si riuscivano a scroccare le 500 lire.
Fulminati dalle gesta di Dwight Stones alle olimpiadi di Monaco, preparammo dei sacconi rudimentali e convincemmo il nonno ad aiutarci a costruire un'attrezzatura per il salto in alto. Nel cortile si radunava tutto il quartiere per provare a saltare, ma fummo noi i primi a sperimentare da autodidatti lo stile fosbury. Il pavido signor Toschi, il prof di ginnastica delle medie, si rifiutava di insegnarcelo: lo riteneva pericoloso perché si cadeva di schiena, ma in realtà si capiva che non ne aveva un'idea. Era ancora un fautore convinto del vecchio stile ventrale. Avvenne invece che ai giochi della gioventù io e miei cugini, nelle rispettive competizioni, stracciammo chiunque saltando un metro e mezzo e spicci, una misura notevole per dei ragazzini delle medie. Dopo qualche tempo sperimentammo anche il salto con l'asta usando le pertiche del nonno come leve. Una roba da accopparsi, ma miracolosamente nessuno si fece mai male. Qualcuno poi continuò alle superiori, entrando a far parte della società di atletica di Lugo di Romagna.
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lunedì 23 marzo 2015
Fino a qui tutto bene (o quasi)
Dopo avere ascoltato l'intervista radiofonica di Roan Johnson, che raccontava l'iter produttivo del suo secondo lungometraggio, Fino a qui tutto bene, avevo qualche aspettativa per questa commedia; soprattutto la speranza di ritrovare la freschezza e il divertimento di Smetto quando voglio ed evitare la pesantezza pseudo-intellettuale di Castellitto e consorte, ormai puntuali come le tasse.
Non avendo una vera produzione, il film è stato girato in quattro settimane con 250.000 euro di budget ed è nato come Co-Producers, il meccanismo organizzativo per cui il cast e la troupe si autofinanziano per poi dividersi in percentuale le eventuali entrate.
Il regista anglo-pisano (fino a qualche anno fa solo sceneggiatore) è stato spinto e sponsorizzato da Virzì, entusiasta dopo la lettura della sceneggiatura. La trama è molto semplice e racconta gli ultimi giorni insieme di cinque ragazzi laureati nell'appartamento a Pisa dove hanno studiato e convissuto per anni. E' giunto il momento delle scelte riguardanti il loro futuro: chi tornerà in famiglia, chi andrà all'estero e chi ancora non sa cosa farà...
Il regista anglo-pisano (fino a qualche anno fa solo sceneggiatore) è stato spinto e sponsorizzato da Virzì, entusiasta dopo la lettura della sceneggiatura. La trama è molto semplice e racconta gli ultimi giorni insieme di cinque ragazzi laureati nell'appartamento a Pisa dove hanno studiato e convissuto per anni. E' giunto il momento delle scelte riguardanti il loro futuro: chi tornerà in famiglia, chi andrà all'estero e chi ancora non sa cosa farà...
Tonalità agro-dolci per una commedia molto sentita che è anche un addio alla giovinezza (ormai protratta ad oltranza) di una generazione cresciuta nel ventennio berlusconiano e ora alle prese con la crisi e la disoccupazione. L'umorismo e le situazioni grottesche non mancano, ma il sottotesto è amaro, come l'ombra dell'amico che se n'è andato in maniera tragica.
Fin qui tutto bene, anche se alcune cose non mi hanno del tutto convinto: certi dialoghi a volte forzati (Tu ci andresti mai con una fascista?) situazioni sul filo del patetico (i ragazzi in auto che cantano in coro Morirò d'incidente stradale) o poco convincenti, come la scalcagnata compagnia di teatro alternativo stile anni '70. Di ragazzi ne conosco parecchi e credo di poter dire che alcuni passaggi li ho trovati non del tutto credibili. Nel complesso comunque una commedia positiva e sufficientemente gradevole, dove emerge su tutti la simpatia di Paolo Cioni, ventinovenne pisano doc. Anche se non segnerà la stagione, una ventata d'aria fresca che lascia sperare in una via alternativa ai cliché ammuffiti in cui sta stagnando da troppi anni questo genere in Italia.
martedì 3 marzo 2015
Gli effetti collaterali di Inherent Vice
Gordita Beach, Los Angeles 1970. E' passato solo un anno dall'utopia di Woodstock e gli ideali di pace a amore del movimento hippie stanno cominciando a naufragare, divorati dall'eroina e dispersi in mille rivoli, incluse le derive deliranti come quella di Charles Manson e della sua Family, che diede il colpo di grazia alla controcultura esplosa con la Summer of love del 1967. Milioni di giovani e sognatori si ritrovarono a passare, con un traumatico risveglio, dall'età dell'innocenza agli anni '70 di Nixon. Vedere questo film senza aver presente un minimo di contesto storico e magari non conoscendo la filmografia di Paul Thomas Anderson si può correre il rischio di fare la fine dei due ragazzi seduti al cinema nella mia fila: dopo aver ridacchiato per venti minuti ai dialoghi surreali e alle gag di Phoenix, all'inizio del secondo tempo se ne sono andati scoraggiati.
Riassumere la trama è un esercizio quasi impossibile quanto inutile per la mole dei personaggi e la decostruzione dissacrante del noir che opera Anderson.
Sortilège (la cantautrice Joanna Newsom) è la voce narrante, una specie di oracolo capace di entrare nella vita interiore delle persone con una visione d'insieme superiore. Sarà lei a introdurci nella vita incasinata di Doc Sportello (un Joaquin Phoenix incommensurabile vestito come Neil Young), detective privato alternativo, sognatore e accanito consumatore di marijuana. In seguito alla richiesta d'aiuto della sua ex-ragazza, preoccupata per le sorti del suo amante, magnate delle costruzioni, Doc si ritrova in un garbuglio inestricabile di situazioni e personaggi che aumentano inesorabilmente a fronte degli appunti concisi che ogni tanto scrive nel suo taccuino.
Smarrirsi in Vizio di forma è facile ma non è un problema, basta lasciarsi andare al flusso come Doc (gli occhi persi di Phoenix raccontano tutto), anzi è quasi più importante che trovare una bussola, anche perché le indagini passano ben presto in secondo piano per raccontare lo smarrimento di un'epoca e il crollo delle illusioni: dall'amore libero che diventa merce di scambio, al mito delle droghe che liberano la mente soppiantate da quelle pesanti e infine dal pacifismo corroso dalla violenza e dal business. Simbolo evidente è rappresentato da Shasta, l'ex-fidanzata del detective che ha barattato il sogno hippie in cambio di denaro e agiatezza.
Il mio stato d'animo all'uscita della sala? Confuso e felice, come se gli effluvi delle decine di cannoni fossero usciti dallo schermo. Rapito dai dialoghi dilatati e meravigliosi, per una colonna sonora a base di Can, Jonny Greenwood, Neil Young e grazie ad una galleria di personaggi memorabili (Big Foot - Josh Brolin su tutti) che lasciano il segno. Qualche momento di stanca non manca e forse restare nelle due ore non sarebbe stato male. Non è il migliore film di Anderson, Magnolia resta nell'olimpo, ma come al solito siamo ad un livello che in pochi si possono permettere. Nell'America del nuovo millennio, nessuno meglio di lui è riuscito a raccogliere l'eredità di un regista come Robert Altman.
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lunedì 2 marzo 2015
La risata perfetta dei Sycamore Age
In Italia esistono ancora spiriti liberi con la voglia di sperimentare ed esprimersi senza tanti condizionamenti. Un bell'esempio è costituito dai Sycamore Age da Arezzo, appena usciti con il loro secondo album intitolato Perfect Laugher (clic per l'ascolto su spotify). Non un disco facile, dall'architettura sofisticata e con mille sfaccettature che emergono ascolto dopo ascolto in un mosaico che attinge liberamente dalla psichedelia folk alla storia del progressive, per approdare a una sorta di post-rock onirico e spirituale. Quasi impossibile trovare riferimenti nel panorama attuale; mi vengono in mente gli australiani Tame Impala, se non fosse che stiamo parlando di un ensemble di sette polistrumentisti (in parte formati al conservatorio) di difficile inquadratura musicale e questo è uno degli aspetti che mi affascina maggiormente quando incontro artisti che non conosco. La voce è Francesco Chimenti, figlio di Andrea, già frontman dei Moda (senz'accento mi raccomando) uno dei gruppi storici della new wave italiana degli anni '80 che ebbe a Firenze uno dei suoi centri nevralgici (Litfiba, Diaframma, Neon).
I Sycamore Age sono un gruppo molto eterogeneo di sette elementi, con grosse, e fortunatamente proficue, disparità generazionali e formative. C'è chi viene da studi classici, chi dalla "strada"; chi ha delle inclinazioni musicali e chi ne ha altre...in definitiva, abbiamo fatto di questo minestrone di anime il nostro maggiore punto di forza. Tutta l'intervista. Il video di Dalia, terza traccia dell'album con i seguenti protagonisti:
William Worlus
Doctor Dog
Charlie Cat
Bianca Lamb
Lucy Lamb
Clover Cow
Special guest: Gesù Bambino
Un capolavoro di musica, immagini e movimento è il video di Heavy Branches, vincitore due anni fa del PIVI (Premio Italiano Videoclip Indipendente). Il video si avvale della partecipazione di Sayoko Onishi, danzatrice di Butoh.
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