Nonno Massimè (Massimino) era nato nel 1904 e faceva il falegname. Era specializzato in cucce per cani, scale e piccoli attrezzi che vendeva al mercato.
Da buon romagnolo era anti-clericale e passava le sere all'osteria a bere e declamare versi in dialetto. Era semi-analfabeta, ma è stato uno degli ultimi raccontatori della Zirudela: un componimento ironico in rima baciata che veniva creato a memoria e declamato in pubblico, alle fiere, ai pranzi o alle feste. Tempo fa ho scoperto che nonno Massimè nel 1978 venne invitato presso la biblioteca pubblica a registrare la sua storia e a declamare le Zirudel che aveva creato nel corso degli anni su vari avvenimenti personali, locali, ma anche nazionali, come la guerra e il fascismo.
Un giorno nel cortile vidi un camion pieno di legna che stava scaricando; mai vista così tanta e chiesi una spiegazione al nonno:
I m'ha det "Piò ca nin tulì, manc la còsta" Alora me: "Dasiman intant che a sén a péra!"Mi hanno detto: Più ne prendete e meno costa. Allora io: "Datemene finché siamo pari".
Quando io e miei cugini lo facevamo incazzare, bisognava correre in fretta perché poteva lanciarci contro qualsiasi cosa bestemmiando in dialetto tutti i santi e i parenti che ci avevano generato. Ben presto però avevamo capito che era solo una mossa intimidatoria, infatti l'attrezzo volava sempre a una certa distanza. Alla fine era diventato un gioco, anche se a volte lo facevamo veramente imbestialire. Il momento migliore era di sera, quando le giornate si allungavano e si poteva uscire a giocare anche dopo cena. A volte capitava di incontrarlo di ritorno dall'osteria; se era di buon umore (e molto spesso lo era grazie a Bacco) era l'unica occasione in cui si riuscivano a scroccare le 500 lire.
Quando io e miei cugini lo facevamo incazzare, bisognava correre in fretta perché poteva lanciarci contro qualsiasi cosa bestemmiando in dialetto tutti i santi e i parenti che ci avevano generato. Ben presto però avevamo capito che era solo una mossa intimidatoria, infatti l'attrezzo volava sempre a una certa distanza. Alla fine era diventato un gioco, anche se a volte lo facevamo veramente imbestialire. Il momento migliore era di sera, quando le giornate si allungavano e si poteva uscire a giocare anche dopo cena. A volte capitava di incontrarlo di ritorno dall'osteria; se era di buon umore (e molto spesso lo era grazie a Bacco) era l'unica occasione in cui si riuscivano a scroccare le 500 lire.
Fulminati dalle gesta di Dwight Stones alle olimpiadi di Monaco, preparammo dei sacconi rudimentali e convincemmo il nonno ad aiutarci a costruire un'attrezzatura per il salto in alto. Nel cortile si radunava tutto il quartiere per provare a saltare, ma fummo noi i primi a sperimentare da autodidatti lo stile fosbury. Il pavido signor Toschi, il prof di ginnastica delle medie, si rifiutava di insegnarcelo: lo riteneva pericoloso perché si cadeva di schiena, ma in realtà si capiva che non ne aveva un'idea. Era ancora un fautore convinto del vecchio stile ventrale. Avvenne invece che ai giochi della gioventù io e miei cugini, nelle rispettive competizioni, stracciammo chiunque saltando un metro e mezzo e spicci, una misura notevole per dei ragazzini delle medie. Dopo qualche tempo sperimentammo anche il salto con l'asta usando le pertiche del nonno come leve. Una roba da accopparsi, ma miracolosamente nessuno si fece mai male. Qualcuno poi continuò alle superiori, entrando a far parte della società di atletica di Lugo di Romagna.
Bel personaggio tuo nonno, da raccontare ancora in altre puntate ... anzi, potrei pensare a raccontare pure il mio.
RispondiEliminaSarebbe bello postare le sue rime che spesso si facevano beffe delle autorità, ma è un lavoro troppo complicato perché sono orali e dovrei trascrivere l'audio in dialetto (che so parlare, ma da scrivere è bestiale... ^__^;
EliminaQuanta triste nostalgia provo . La tua infanzia è stata "terribilmente" uguale alla mia.
RispondiEliminaGiocare la sera, dopo cena, nelle belle e caldissime sere d'estate, fregandosene persino delle zanzare, è un'esperienza che ogni bambino dovrebbe fare obbligatoriamente.
Nel riminese, quella della zirundela era un vero e proprio sport estremo; si procedeva con gare infinite ai tavoli dell'osteria e di solito vinceva chi reggeva di più il vino e non finiva lungo e disteso.
Il nostro dialetto non è proprio uguale, ma è vero che è ugualmente difficile da scrivere .
At salùt, fradel .
Infanzia e adolescenza passate in strada "terribilmente" belle!
RispondiEliminaAt salùt neca me!
io avevo gli zii falegnami, nella loro bottega ad ascoli mi sono costruita letti e armadi per le bambole, ancora oggi l'odore del legno è quasi una droga per me
RispondiEliminaAnch'io trafficavo, ma purtroppo sono sempre stato abbastanza negato per i lavori manuali. Comunque l'odore del legno... ;-)
EliminaMio nonno materno era tirchio e ci dava la mancia solo a natale dopo la recita della poesia.Prendeva il borsellino e tirava fuori la banconota con infinita lentezza.
RispondiEliminaPapà, che al contrario del suocero se ne fregava dei soldi, per prenderlo in giro ci sussurrava: guarda come gli tremano le mani!