lunedì 5 ottobre 2009

Conto uno, conto due

Giugno 2008. Da qualche tempo avevo in testa una ventina di storie personali legate alla musica. Un paio in verità le avevo già scritte e giacevano inutilizzate da mesi in un cartella. Nacque così l'idea del blog che all'inizio volevo intitolare Album vissuti. Mai avrei pensato ai bei contatti con tutti coloro che, passando da qui, mi hanno arricchito e stimolato ad andare oltre. Per questo motivo mi piace riproporre alcune di queste storie, scritte quando la teiera volante era appena nato.

ALBUM VISSUTI
David Bowie - Hunky Dory


Secondo anno delle superiori. Avevo già ascoltato qualcosa di David Bowie, ma il giorno in cui andai a casa di Capo (questo era il suo soprannome di cui ignoro le origini), feci una vera full immersion e lì sentii per la prima volta questo splendido disco che contiene capolavori come Life on Mars. Conobbi Capo il giorno in cui mio cugino, detto il Man (più grande di me di un paio d'anni), mi invitò a casa dell'amico dove stava andando a suonare. Io ero perplesso perché era risaputo che erano entrambi un po' sciroccati, però ebbe il sopravvento la curiosità di vedere che cosa riuscivano a combinare. Ricordo che in soggiorno c'era un pianoforte che Capo sapeva suonare da autodidatta, un buonissimo impianto stereo e tanti dischi tra cui tutti gli album, vari singoli, bootleg e spartiti di Bowie. Capo per tutto il pomeriggio suonò il pianoforte, ci mostrò e ci fece ascoltare diversi dischi e non fu difficile cogliere nei suoi atteggiamenti e nella sua enfasi un'insana e maniacale passione per il Duca Bianco. In seguito, incontrandolo altre volte e parlandoci, mi resi conto che la realtà che Capo viveva e percepiva era quasi sempre filtrata attraverso la musica e i testi di Bowie; con lui era molto difficile e complicato conversare di altri argomenti. Avevo la sensazione che vivesse una condizione di fragilità preoccupante. Nei mesi successivi non ci feci molto caso, ma non si fece più vedere in giro e un giorno chiesi al Man se ne sapeva qualcosa. Mi raccontò che era stato ricoverato in preda a crisi depressive e sentendosi un po' in colpa, mi spiegò che forse anche lui aveva contribuito a questa situazione. Con la sua tipica flemma (opposta alla costante febbrile eccitazione dell'amico), mi raccontò che Capo, non si sa in base a quali principi etici, aveva sempre sostenuto fermamente che una persona nella propria vita, una volta ottenuto un lavoro, doveva mantenerlo per sempre, altrimenti era da considerarsi un fallito. Come il Man appunto, additato di continuo come esempio negativo poiché aveva già cambiato più volte posto di lavoro. Ormai non si frequentavano quasi più, ma la morale che Capo si era imposto gli si ritorse contro, perché il Man al primo lavoro perso dell'ex-amico lo aspettò al varco e incontrandolo per strada gli urlò: "Conto uno!". Quando anche il secondo lavoro andò in fumo, fu la volta di "Conto due", parole che il Man gridava con regolarità implacabile ogni volta che si incrociavano, nel bar o lungo la strada. L'epilogo si ebbe quando il Man, consapevole di colpire nel segno, un giorno al termine di una discussione gli gridò: "Tanto si sa che ormai la musica di Bowie la fa Brian Eno al computer!" Capo, sicuramente non solo per questi motivi, andò fuori di testa. I suoi genitori si presentarono addirittura a casa del Man a fare una scenata, attribuendo a lui la colpa per la depressione del figlio e intimandogli di non tormentarlo più con le sue perfide frasi. Rividi Capo in circolazione dopo cinque-sei anni, visibilmente sedato ed ingrassato. Mi salutò e scambiammo qualche parola stentata: due ragazzi, quasi adulti in imbarazzo reciproco.
Il Man un giorno mi fece leggere alcuni suoi scritti stralunati (alla Syd Barrett): erano poesie e testi di canzoni dai titoli improbabili tipo Canto d'addio al cosmico Daniele. Uno mi colpì, perché il finale era divertente: narrava in versi un episodio vero riguardante questo suo amico sprovveduto che per un paio di anni, quando in paese arrivava l'autoscontro gestito da un omone obeso, si faceva assumere come lavorante, sperando di guadagnare qualche soldo. Finiva così: "...ma alla fine della settimana di lavoro il grasso padrone non gli dava dei soldi bensì gli dava del pazzo".

13 commenti:

  1. Mi hai fatto pensare che ne ho parecchie anch'io di storie legate a persone e dischi.Complimenti cmq perchè ho iniziato a leggere il post attratto dal capolavoro del Duca ma alla fine preso dalla storia mi ero completamente diemnticato del disco.Mi aspetto a breve un commento di Diamond Dog.
    In quell'album c'è una delle canzoni manifesto del glam dell'epoca Andy Warhol

    RispondiElimina
  2. E' particolare leggere delle esperienze altrui su dischi che si amano e che sono legati alla propria vita.

    RispondiElimina
  3. ricordi e canzoni un binomio che scandisce la nostra vita.

    RispondiElimina
  4. Un'altra bella storia con personaggi che sembrano usciti da un libro e invece sono incredibilmente esistenti nella realtà. Quasi quasi potresti creare un blog a parte per i tuoi raccontini...

    RispondiElimina
  5. @ Andrea:
    Era quello a cui avevo pensato: poi siete arrivati voi a distrarmi! :-)

    RispondiElimina
  6. tutte le belle storie sono anche un po' tristi, no?

    RispondiElimina
  7. Grande storia, grandissimi personaggi per non parlare del background.
    Talvolta ho temuto anch'io di poter uscire fuori di testa a causa delle mie fissazioni musicali (e Daviddino ne è sicuramente la maggiore ma non l'unica).
    Però poi mi fermo e penso anche che le mie fissazioni musicali mi hanno tenuto lontano da altre cose ben peggiori.
    E allora mi tranquillizzo.
    Capo, che Dio l'abbia in gloria.
    Halleluja!

    RispondiElimina
  8. @Diamond:
    Al di là delle fissazioni, che come hai detto a volte possono essere anche positive, nel suo caso c'era qualcosa di pregresso!
    A volte faceva quasi paura.

    RispondiElimina
  9. A 13 anni, in piena epoca Duran, sognavo di essere Jeff Beck. Sognavo di farmi fare pompini in costose Limousine da formose groupies, di ritorno dai concerti e di venire dentro buste da corrispondenza per non macchiare costosi sedili. Immaginavo di essere amico di Carmine Appice e di Roger Daltrey. Tuttavia la pazzia è tale solo dall'angolazione nella quale viene osservata. Il Capo era capitato dalla parte sbagliata. Syd Barrett era capitato dalla parte giusta. La fine è stata molto simile.

    RispondiElimina
  10. "la pazzia è tale solo dall'angolazione nella quale viene osservata."

    Questa me la segno!

    RispondiElimina
  11. SI CHIAMAVA CAPO perche era il capo della nostra banda io,capo,ciro,serpent,e il furbo
    :)

    RispondiElimina

Welcome