venerdì 21 maggio 2010

Punk Capitalismo e paradisi musicali

Conosco un sacco di artisti che hanno fatto dischi senza le case discografiche, ma non conosco nessuna casa discografica che ha fatto dischi senza gli artisti. DJ Jazzy Jeff

La fine dell'industria musicale così come l'abbiamo conosciuta negli ultimi quarant'anni è sempre più vicina. Le major stanno ancora resistendo perché possono contare sulla vendita del loro intero catalogo, ma con una gamma di prodotti sempre più simile alla varietà di un menu di McDonald's. Matt Mason nel suo saggio Punk Capitalismo (come e perché la pirateria crea innovazione*) sostiene che: la morte dell'industria musicale è la cosa migliore che poteva accadere al business della musica.
Si potrà obiettare su questa frase, ma non sul fatto che per noi musicofili si sono dischiuse le porte del paradiso e della conoscenza da quando in rete è iniziata quest'opera di demolizione a colpi di mp3, file sharing e banda larga. Un processo che l'autore allarga con esempi concreti ad altri campi della conoscenza e della proprietà intellettuale, a cui oppone il concetto di Creative Commons e l'idea che la pirateria, in una società con leggi sul copyright che risalgono all'Ottocento, sia soltanto un altro modello di business che va ad occupare spazi lasciati vuoti. Clamoroso fu l'errore delle Major quando nel 2001 fecero chiudere Napster con una causa legale alienandosi milioni di utenti invece di cavalcare la novità con un accordo vantaggioso.
Pensavo qualche giorno fa all'inutile doppia cancellazione del blog di Webbatici dal momento che al mondo aprono quotidianamente decine di migliaia di nuovi blog; per non parlare dei servizi che offrono download diretti o della rete torrent che ha raggiunto livelli incredibili di organizzazione e distribuzione di files formato flac e mp3 di qualità.

* Il libro (che ho appena finito di leggere) è uscito in Italia per la Feltrinelli a ottobre 2009, purtroppo un anno e mezzo dopo l'uscita in Inghilterra, dove ha vinto il premio “Best Pirate 2008” attribuito da BusinessWeek. Per testi come questo, che affronta temi legati alla rete dove un anno rappresenta un tempo lunghissimo, sarebbe importante un'uscita più tempestiva.  

5 commenti:

  1. io sto con matt mason. parole più che vere
    death to the musical industry!

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. non so cosa dire, perchè pagare un artista perchè possa continuare a vivere della sua arte mi sembra giusto, e se si riesce a fare ciò senza una casa discografica, ancora meglio. Però non tutti gli artisti sono anche capaci di gestire gli aspetti di distribuzione e pubblicità della propia arte....internet è sicuramente una rivoluzione in questo, e li rende in teoria più autonomi che mai. Ma è pur vero che a scaricare a pagamento un brano, l'artista prende sempre pochissimo (tipo 1 centesimo?) ognuno.
    Le nuove succhiasoldi per artisti saranno dunque i siti di download?

    In ogni caso per ogni artista che mi piace veramente e ascolto spesso in mp3 o su youtube, compero il cd o scarico a pagamento. Mi sento più a mio agio così. Ed è possibile solo grazie al fatto che la musica grazie a internet è molto più "libera" di prima.

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  4. che tanti artisti sedicenti se ne tornino a farsi il culo in tournee per guadagnarsi la pagnotta.
    si sta avverando un sogno degli anni '70: musica aggratis !!

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  5. ...invece di costruirsi luna park o zoo nel cortile.

    mAn

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